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Su quel minuscolo neonato lo sguardo che sa vedere un uomo |
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di Assuntina Morresi |
Non ce l’ha fatta, ma ce l’ha messa tutta, il piccolo sopravvissuto a un aborto a ventidue settimane di gravidanza a Rossano Calabro: il primo giorno di vita – sabato – l’ha passato da solo, dimenticato da tutti, abbandonato in un angolo, avvolto in un fagottino da qualche parte nell’ospedale in cui era stato abortito, finché un prete, venuto la mattina dopo a pregare per lui, si è accorto che era ancora vivo e ha dato l’allarme, ma non è bastato a salvarlo. Ed è morto la notte stessa, in un altro ospedale dove era stato trasferito per tentare un salvataggio tardivo, ormai impossibile.
Nel diffondere la notizia, ieri, i media hanno cercato di mascherare l’orrore usando un linguaggio surreale: si tratterebbe di un «errore» del personale sanitario che «non ha monitorato il feto dopo l’espulsione». Ma un essere umano lo chiamano 'feto' finché sta nella pancia della sua mamma: una volta che ne viene fuori è un neonato. E poiché l’aborto a ventidue settimane è in sostanza un parto indotto, la verità è che sabato scorso è venuto al mondo un piccolissimo neonato fortemente prematuro, e nessuno si è accorto che era vivo perché non doveva esserlo: era 'solo' un aborto.
E invece avrebbero dovuto far di tutto per salvargli la vita, addirittura secondo quella stessa legge 194 invocata per abortirlo: se c’è possibilità di vita autonoma per il nascituro – si legge all’articolo 6 – la gravidanza si può interrompere solo se la madre è in «grave pericolo di vita» – si badi bene, solo in questo caso – e il medico deve «adottare ogni misura idonea» per salvare il figlio.
E invece avrebbero dovuto far di tutto per salvargli la vita, addirittura secondo quella stessa legge 194 invocata per abortirlo: se c’è possibilità di vita autonoma per il nascituro – si legge all’articolo 6 – la gravidanza si può interrompere solo se la madre è in «grave pericolo di vita» – si badi bene, solo in questo caso – e il medico deve «adottare ogni misura idonea» per salvare il figlio.
Sostanzialmente, la legge dice che se una donna con una gravidanza avanzata rischia di morire, ma il figlio che ha in grembo ha qualche possibilità di sopravvivere, l’aborto è vietato e il medico la fa partorire per salvarle la vita, cercando di salvare pure il piccolo. Un parere recente del Comitato nazionale per la bioetica – che riguardava le cure riservate ai grandi prematuri, cioè ai nati molte settimane prima del termine naturale della gravidanza – invitava a una adeguata applicazione di questa parte della 194, ribadendone la forte indicazione per una salvaguardia della vita del nascituro, quando ce n’è la possibilità Sembra però che l’aborto sia stato effettuato perché il piccolo era malformato: una pratica eugenetica, quindi, che non è consentita dalla legge ma che purtroppo pare essere la realtà della stragrande maggioranza degli aborti tardivi.
Sicuramente bisognerà verificare con il massimo rigore se la legge è stata rispettata. Ma non è solo questo il punto che ci interessa: la gravità assoluta di quanto successo, se tutti i fatti fossero confermati, è che quando il piccolo è nato, a quanto pare, non l’hanno neppure guardato. L’hanno lasciato in un angolo, come un oggetto senza valore. Forse un minuscolo essere umano, pur abortito e malformato, non merita attenzione? Non a caso, ad accorgersi che era vivo è stata una persona che era andata a pregare per lui, e che voleva farlo accanto a lui: quel sacerdote era andato a pregare per un altro essere umano. Gli è andato vicino, lo ha guardato, e ha visto che era un proprio simile.
Piccolissimo, ma esattamente come lui.
Non è stato un clinico particolarmente abile a riconoscere i segni di vita del piccolo, ma un uomo che ne ha guardato un altro e che lo ha riconosciuto, così diverso e al tempo stesso così uguale. Non servono specialisti per'vedere' il prossimo, né leggi severe, o pareri pensosi: è sufficiente l’umana pietà, che forse è morta ieri notte, insieme a quel neonato.
Fonte:http://www.salutefemminile.it/Template/detailArticoli.asp?IDFolder=176&IDOggetto=7563&LN=IT&Argomenti=1
Piccolissimo, ma esattamente come lui.
Non è stato un clinico particolarmente abile a riconoscere i segni di vita del piccolo, ma un uomo che ne ha guardato un altro e che lo ha riconosciuto, così diverso e al tempo stesso così uguale. Non servono specialisti per'vedere' il prossimo, né leggi severe, o pareri pensosi: è sufficiente l’umana pietà, che forse è morta ieri notte, insieme a quel neonato.
Fonte:http://www.salutefemminile.it/Template/detailArticoli.asp?IDFolder=176&IDOggetto=7563&LN=IT&Argomenti=1
la storia di Vittorino
Avvenire 28.4.2010
Venne abortito. Oggi è un ragazzino vispoDA MILANO VIVIANA DALOISO
Anche Vittorino, non doveva na scere. Lo avevano condannato a morte una diagnosi errata – secondo cui sarebbe venuto al mondo con una malformazione cerebrale – e la scelta della sua mamma per l’abor to ‘terapeutico’. Non doveva nascere, Vittorino, ma quel 27 febbraio del 1999 qualcuno si accorse che il piccolo re spirava, e lottava per vivere.
È quasi sera, l’ambulanza entra d’ur genza al Policlinico San Matteo di Pa via, meta la divisione di patologia neo natale e terapia intensiva. Ai sanitari viene raccontato in fretta l’accaduto: quel ‘feto’, ‘abortito’, respira e si muove. Sono le parole della medicina, ma per i medici che le ascoltano, guar dando le manine già ben disegnate del piccolo, suonano subito fuori luogo.
Giorgio Rondini, all’epoca primario del reparto, ha ancora negli occhi il corpi cino: «Era la prima volta in assoluto che ci capitava una cosa del genere – ri corda il professore –. Il piccolo pesava appena 800 grammi, aveva forse 25 set timane, più o meno 180 giorni di vita. E non aveva nessuno, era stato rifiuta to dalla sua stessa mamma. Questo fat to ci commosse subito, bastò un atti mo perché ci sentissimo tutti genitori, e facessimo il nostro possibile per pro teggerlo e salvargli la vita».
L’équipe del San Matteo si concentra sul bimbo, 24 ore su 24: la culla termi ca, la ventilazione artificiale, l’alimen tazione tramite fleboclisi. I giorni pas sano – cinque, dieci – e il piccolo con tinua a respirare, lotta. Le infermiere portano carillon e pupazzetti, colora no il muro dietro i macchinari, attac cano ciondoli e campanelle. E gli dan non no un nome, anche: scelgono ‘Vittori no’, «forse non un gran che per un neo nato d’oggi, ma lui aveva vinto la sua battaglia per la vita, e doveva vincere quella per la sopravvivenza – spiega Rondini –. Ci parve l’idea migliore».
Intanto gli esami portano a una inco raggiante, e insieme sconcertante, ve rità: i medici cercano la malformazio ne cerebrale di Vittorino, di cui a pri ma vista non c’è traccia. La cercano e la trovano. Scoprono so lo una piccola emorragia, un versamento che poteva simu lare all’ecografia l’ipotesi di un idrocefalo (una malforma zione che compromette lo svi luppo del cervello), ma che può essere riassorbito con un piccolo intervento. Vittorino, rifiutato dalla madre perché creduto malato, è sano.
I giorni continuano a passare, la storia del bimbo ‘adottato’ al San Matteo commuove tutti: il 16 marzo in ospe dale arriva l’allora assessore ai Servizi sociali del Comune di Pavia, Sergio Contrini, con un’idea che piace subito a tutti: in accordo con il Tribunale dei minori di Milano, Contrini è pronto a diventare il tutore di Vittorino. «In que sto modo – spiega lo stesso Contrini, oggi presidente dell’Azienda di servizi alla persona di Pavia – in tempi brevis simi sarebbe stato possibile darlo in a dozione ». Già, perché nel frattempo al la storia di Vittorino si è interessata u na coppia. Una coppia che gli assistenti sociali e lo stesso Tribunale trovano i donea ad accogliere il piccolo, consi derando la sua drammatica storia e le difficoltà che avrebbe dovuto affron tare nei primi mesi di vita: «Li incon trai di sfuggita – continua Contrini –, e rano persone straordinarie».
Vittorino cresce, si rafforza, arriva alle 30 settimane, le supera: al San Matteo non hanno più dubbi, il pericolo è scampato. «Ricordo ancora il giorno che arrivò l’ambulanza per portarlo via – ricorda Rondini –. Lo trasportarono in un ospedale di Milano, forse più vi cino alla sua nuova famiglia. Oggi sappiamo solo tramite gli assistenti so ciali che sta bene, che ha compiuto da poco undici anni, che non sa e non sa prà mai nulla della sua storia, o di noi». Di quei medici che hanno cre duto nella sua vita, e lo chiamano an cora Vittorino.
Fonte:http://www.stranocristiano.it/2010/05/la-storia-di-vittorino/
È quasi sera, l’ambulanza entra d’ur genza al Policlinico San Matteo di Pa via, meta la divisione di patologia neo natale e terapia intensiva. Ai sanitari viene raccontato in fretta l’accaduto: quel ‘feto’, ‘abortito’, respira e si muove. Sono le parole della medicina, ma per i medici che le ascoltano, guar dando le manine già ben disegnate del piccolo, suonano subito fuori luogo.
Giorgio Rondini, all’epoca primario del reparto, ha ancora negli occhi il corpi cino: «Era la prima volta in assoluto che ci capitava una cosa del genere – ri corda il professore –. Il piccolo pesava appena 800 grammi, aveva forse 25 set timane, più o meno 180 giorni di vita. E non aveva nessuno, era stato rifiuta to dalla sua stessa mamma. Questo fat to ci commosse subito, bastò un atti mo perché ci sentissimo tutti genitori, e facessimo il nostro possibile per pro teggerlo e salvargli la vita».
L’équipe del San Matteo si concentra sul bimbo, 24 ore su 24: la culla termi ca, la ventilazione artificiale, l’alimen tazione tramite fleboclisi. I giorni pas sano – cinque, dieci – e il piccolo con tinua a respirare, lotta. Le infermiere portano carillon e pupazzetti, colora no il muro dietro i macchinari, attac cano ciondoli e campanelle. E gli dan non no un nome, anche: scelgono ‘Vittori no’, «forse non un gran che per un neo nato d’oggi, ma lui aveva vinto la sua battaglia per la vita, e doveva vincere quella per la sopravvivenza – spiega Rondini –. Ci parve l’idea migliore».
Intanto gli esami portano a una inco raggiante, e insieme sconcertante, ve rità: i medici cercano la malformazio ne cerebrale di Vittorino, di cui a pri ma vista non c’è traccia. La cercano e la trovano. Scoprono so lo una piccola emorragia, un versamento che poteva simu lare all’ecografia l’ipotesi di un idrocefalo (una malforma zione che compromette lo svi luppo del cervello), ma che può essere riassorbito con un piccolo intervento. Vittorino, rifiutato dalla madre perché creduto malato, è sano.
I giorni continuano a passare, la storia del bimbo ‘adottato’ al San Matteo commuove tutti: il 16 marzo in ospe dale arriva l’allora assessore ai Servizi sociali del Comune di Pavia, Sergio Contrini, con un’idea che piace subito a tutti: in accordo con il Tribunale dei minori di Milano, Contrini è pronto a diventare il tutore di Vittorino. «In que sto modo – spiega lo stesso Contrini, oggi presidente dell’Azienda di servizi alla persona di Pavia – in tempi brevis simi sarebbe stato possibile darlo in a dozione ». Già, perché nel frattempo al la storia di Vittorino si è interessata u na coppia. Una coppia che gli assistenti sociali e lo stesso Tribunale trovano i donea ad accogliere il piccolo, consi derando la sua drammatica storia e le difficoltà che avrebbe dovuto affron tare nei primi mesi di vita: «Li incon trai di sfuggita – continua Contrini –, e rano persone straordinarie».
Vittorino cresce, si rafforza, arriva alle 30 settimane, le supera: al San Matteo non hanno più dubbi, il pericolo è scampato. «Ricordo ancora il giorno che arrivò l’ambulanza per portarlo via – ricorda Rondini –. Lo trasportarono in un ospedale di Milano, forse più vi cino alla sua nuova famiglia. Oggi sappiamo solo tramite gli assistenti so ciali che sta bene, che ha compiuto da poco undici anni, che non sa e non sa prà mai nulla della sua storia, o di noi». Di quei medici che hanno cre duto nella sua vita, e lo chiamano an cora Vittorino.
Fonte:http://www.stranocristiano.it/2010/05/la-storia-di-vittorino/
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