di Mario Palmaro
25-05-2011
È un’altra pillola per abortire, si chiama EllaOne e sta per arrivare in Italia. Provoca l’espulsione precocissima dell’embrione se assunta entro 120 ore da un rapporto sessuale che sia stato fertile, ed è già disponibile negli Stati Uniti e in altri Paesi europei. Il fronte abortista e le aziende che fanno business con l’aborto chimico premono perché sia presto diffusa anche in Italia.
Per ora, il cammino della “pillola dei 5 giorni dopo” ha incontrato un ostacolo nel Consiglio Superiore di Sanità: dal settembre dell’anno scorso l’organismo doveva fornire un parere decisivo, che per ora non è arrivato. Era stato il ministro Ferruccio Fazio a esigere un chiarimento, che spiegasse se la pillola funziona come contraccettivo o come abortivo, agendo dopo il concepimento. Se infatti di aborto si tratta, lascia intendere il ministero, occorrerà vedere se la pillola “rispetta” la legge 194 sull’aborto.
Inoltre, l’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa) ha espresso «preoccupazione riguardo alle eventuali conseguenze di un uso ripetuto», riferendosi ai rischi per la salute della donna che assuma EllaOne. Secondo il farmacologo.
Ma il fronte abortista preme, classificando EllaOne, come il Norlevo, nella categoria dei contraccettivi d’emergenza. Per sostenere questa tesi, si gioca sull’inizio della gravidanza come criterio guida per poter parlare di aborto: se l’embrione viene espulso prima dell’annidamento in utero, allora si deve considerare la pillola un contraccettivo. Il ragionamento fa acqua da tutte le parti, perché il problema giuridico e morale è se venga o meno distrutta una vita umana che già esiste, a prescindere da dove essa si trovi.
Ma il fronte abortista preme, classificando EllaOne, come il Norlevo, nella categoria dei contraccettivi d’emergenza. Per sostenere questa tesi, si gioca sull’inizio della gravidanza come criterio guida per poter parlare di aborto: se l’embrione viene espulso prima dell’annidamento in utero, allora si deve considerare la pillola un contraccettivo. Il ragionamento fa acqua da tutte le parti, perché il problema giuridico e morale è se venga o meno distrutta una vita umana che già esiste, a prescindere da dove essa si trovi.
Alla fine, però, questo trucco semantico potrebbe funzionare, ed è molto probabile che anche la “pillola dei cinque giorni dopo” andrà ad ampliare lo spettro di strumenti che la scienza moderna mette a disposizione della donna per abortire.
Anche di fronte a questa pillola, si va ripetendo il dibattito che ha già surriscaldato gli animi in occasione della legalizzazione della Ru 486: da una parte i fautori del diritto all’aborto, che si schierano a favore di ogni mezzo che renda più semplice e precoce l’aborto. Dall’altro, chi ha una posizione di sfavore all’aborto, e vuole limitarlo al tradizionale intervento chirurgico.
Anche di fronte a questa pillola, si va ripetendo il dibattito che ha già surriscaldato gli animi in occasione della legalizzazione della Ru 486: da una parte i fautori del diritto all’aborto, che si schierano a favore di ogni mezzo che renda più semplice e precoce l’aborto. Dall’altro, chi ha una posizione di sfavore all’aborto, e vuole limitarlo al tradizionale intervento chirurgico.
Fino ad oggi, nel mondo, il primo fronte ha sempre prevalso sul secondo. E la ragione è molto semplice: se una nazione legalizza l’aborto, e sancisce il principio di autodeterminazione della donna a decidere se e quando far nascere un figlio che c’è già, è del tutto logico che siano sperimentate e proposte strade nuove e più rapide per ottenere lo stesso risultato. Per intenderci: se togliere un molare è un atto lecito, scoprire il modo di farlo più in fretta e senza soffrire è un obiettivo più che naturale. Se abortire è un atto lecito, prima lo si fa e meglio è: così ragiona la diffusa cultura della morte.
Il tentativo di opporsi all’aborto chimico è lodevole, ma le ragioni con cui lo si fa sono perdenti: assomigliano al modulo tattico di una squadra di calcio che sta sempre in difesa, e pensa a non prendere altri gol anche se sta già perdendo.
Il tentativo di opporsi all’aborto chimico è lodevole, ma le ragioni con cui lo si fa sono perdenti: assomigliano al modulo tattico di una squadra di calcio che sta sempre in difesa, e pensa a non prendere altri gol anche se sta già perdendo.
Da un lato, infatti, si sostiene che la salute della donna sarebbe minacciata da EllaOne e dalla RU486. È molto probabile che vi siano controindicazioni, anche serie. Ma tali rischi sono impliciti in ogni farmaco e in ogni intervento chirurgico. Si può tentare un confronto statistico, e si può forse dimostrare che le pillole per abortire siano più pericolose dell’aborto chirurgico: ma è altrettanto vero che, a furia di sperimentare, i rischi verranno ridotti e forse perfino eliminati.
Dall’altro lato, si obietta anche che le pillole comportano una banalizzazione dell’aborto, perché lo rendono “invisibile”. Ma, dal punto di vista di vuole abortire, facilitarlo è un bene. Oltretutto, l’aborto fai da te sposta ogni responsabilità d’azione sulla donna, e supera di slancio il problema dell’obiezione di coscienza dei medici, che in misura sempre più nutrita si rifiutano di uccidere il bambino non ancora nato.
Il vero nodo è un altro: e cioè che queste pillole sono dei veri e propri pesticidi umani - come le chiamava il genetista francese Jerome Lejeune - e che, se possono comportare un rischio incerto per la madre, rappresentano un rischio sicuro per il figlio, che verrà ucciso. Solo questa scomoda verità rende irragionevole l’arrivo di una nuova pillola per abortire in Italia: tacendola, la sconfitta è sicura.
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