Politica Italiana: il funerale dello Stato nazionale
(di Roberto de Mattei)
Chi avrebbe mai immaginato che il 150esimo anniversario dell’unità italiana si sarebbe concluso con un pesante esproprio di sovranità nazionale?
E come immaginare che il principale artefice del commissariamento del nostro Paese da parte di “poteri forti” sovranazionali sarebbe stato quello stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, più di ogni altro, si era adoperato per celebrare la nascita dello Stato nazionale italiano?
Chi avrebbe mai immaginato che il 150esimo anniversario dell’unità italiana si sarebbe concluso con un pesante esproprio di sovranità nazionale?
E come immaginare che il principale artefice del commissariamento del nostro Paese da parte di “poteri forti” sovranazionali sarebbe stato quello stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, più di ogni altro, si era adoperato per celebrare la nascita dello Stato nazionale italiano?
Per risolvere la situazione di “emergenza economica” in cui versa il nostro Paese, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato la guida del governo ad un personaggio, Mario Monti, che è la più pura espressione di quei “poteri forti” ai quali si deve la crisi economica in cui si trovano oggi l’Italia e l’Europa. Il paradosso è solo apparente. Le “appartenenze” di Mario Monti a lobby e “fraternità” di vario genere sono a tutti note. Basterebbe però il ruolo da lui svolto di membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale europea dalla sua istituzione, nel 1998, al 2006.
La BCE nacque quando, in applicazione al Trattato di Maastricht, undici Paesi dei 15 Paesi dell’Unione Europea, tra i quali l’Italia, rinunciarono alla loro sovranità monetaria per dar vita all’euro, la nuova moneta unica che vide ufficialmente la luce il primo gennaio dell’anno successivo. La Banca Centrale Europea, insediatasi il 1° giugno 1997 costituiva il motore di un processo, presentato come «irreversibile» dal Trattato di Maastricht, che comportava la definitiva abdicazione ad ogni sovranità in campo monetario.
Il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi, celebrava «la prima rinuncia formale piena ad una parte di sovranità nazionale in favore di una sovranità europea» (intervista a “La Repubblica” 1 maggio 1998). Si trattava, per inciso, dello stesso Ciampi che, come Governatore della Banca d’Italia, per evitare la svalutazione della lira, che avrebbe rallentato il cammino verso la parità del cambio tra le monete europee, tra l’agosto e il settembre del 1992, bruciò una colossale quota (mai esattamente definita) delle riserve ufficiali nazionali.
Ciampi venne quindi premiato con la nomina, il 18 maggio 1999, a presidente della Repubblica italiana. Non è un caso che il suo biografo e portavoce Paolo Peluffo (Carlo Azeglio Ciampi. L’uomo e il presidente, Rizzoli, Milano 2007) sia stato nominato Sottosegretario di Stato del governo Monti. Né stupisce il fatto che Carlo Azeglio Ciampi, come Giorgio Napolitano, abbiano esaltato il Risorgimento nazionale, in maniera altrettanto fanatica della costruzione europea.
Gli stessi “poteri forti” che, per liquidare i sovrani legittimi diedero nell’Ottocento il loro sostegno ideologico e finanziario all’unificazione, oggi vedono nello smantellamento dello Stato nazionale una nuova tappa per realizzare l’utopia della mazziniana Repubblica universale.
Il processo di esproprio della sovranità nazionale avviato dal Trattato di Maastricht aveva solo la sua prima fase nella moneta unica europea. Mentre ascendeva e altrettanto rapidamente tramontava il sogno di una “costituzione europea” (si veda il mio De Europa. Tra radici cristiane e sogni postmoderni, Le Lettere, Firenze 2006), l’euro mostrava, fin da subito, le sue prevedibili crepe. Ma il prof. Mario Monti, allora Commissario europeo, oltre che membro della BCE, già annunciava la «fase 2» dell’Unione (“La Repubblica”, 5 maggio 1998), avvertendo che, una volta avviata la moneta unica, l’unico strumento per far fronte ai prevedibili squilibri economici sarebbe stato quello del prelievo e della ridistribuzione fiscale.
L’unificazione monetaria era presentata in Italia, dai governanti e dai mass media, come imposta dall’urgenza di correggere i nostri squilibri e a risanare la nostra economia. Gli addetti ai lavori sapevano però che non è sufficiente trasferire la sovranità monetaria ad una Banca Centrale per assicurare la stabilità dei prezzi e l’equilibrio in un mercato comune dove convivono Paesi dalle strutture economiche e produttive diverse, con differenti tassi di crescita e di sviluppo.
Il 1° maggio 1998, alla vigilia della fatidica riunione di Bruxelles che avrebbe dato vita all’Euro, il ministro Ciampi, in un Forum a “Repubblica”, lo ammetteva con queste parole: «L’Euro ha un’importanza eminentemente politica. Con il 2 di maggio cambia qualcosa di sostanziale per l’Italia e per l’Europa. È la prima rinuncia formale piena ad una parte di sovranità nazionale in favore di una sovranità europea. Ma io penso che sarebbe veramente una costruzione zoppa, se oltre alla moneta e alla Banca centrale, l’Europa non mettesse in comune anche altro: l’importante è proseguire sulla strada dell’unificazione».
Quando nel 1992 denunciammo, tra i primi, il Trattato di Maastricht con una lettera a parlamentari europei, sostenemmo che, a differenza di quanto allora veniva detto, si trattava di un progetto non economico, ma politico, che si sarebbe attuato attraverso fasi strettamente concatenate. Per gli “eurofanatici”, come Ciampi, Monti e Napolitano, l’euro è stato, fin dall’inizio, un meccanismo economico destinato a produrre, dopo la cessione della sovranità monetaria, la sovranità fiscale, che costituisce l’essenza della sovranità democratica.
Il principio che guidò il processo di indipendenza delle colonie americane dal governo britannico fu, nel XVII secolo, proprio la formula «no taxation without representation»: “nessuna tassazione senza rappresentanza”. In una democrazia moderna, il potere sovrano di tassare i cittadini può essere esercitato solo da chi questi cittadini, per mandato parlamentare, legittimamente rappresenta.
Cosa pensare allora della richiesta del presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi che, intervenendo il 1° dicembre al Parlamento Europeo di Bruxelles, ha reclamato una politica di bilancio e fiscale comune europea, come completamento del processo che ha portato alla nascita della BCE? La medesima richiesta è stata fatta dal Cancelliere tedesco Angela Merkel al Parlamento tedesco, per salvare l’euro, ed è condivisa ovviamente da Monti e Napolitano. Ma con la consegna ad un organismo privo di qualsiasi mandato elettorale, quale è la Banca Centrale Europea, del potere di decidere, anche indirettamente, come e quanto tassare i cittadini europei si celebrano i funerali della democrazia rappresentativa.
Come potrebbero, d’altra parte, i “poteri forti”, procedere ad un gigantesco furto su scala europea, qual è il prelievo fiscale che ci attende, senza negare con la sovranità degli Stati nazionali, anche le regole primarie della democrazia occidentale? E, infine, che cosa devono pensare gli elettori del centro-destra di un partito come il PdL, che ha fatto proprio della difesa delle libertà economiche dei cittadini il suo programma di governo e che oggi si appresta a sostenere il socialismo mondialista di Mario Monti? (Roberto de Mattei)
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