|
|||
Flamigni & Melega, la figuraccia che ti aspetti |
|||
di Assuntina Morresi |
Il livore è un cattivo consigliere: confonde le idee, e spesso fa dire cose imbarazzanti. Di solito spunta fuori quando non si hanno argomenti a sostegno delle proprie tesi, ma non lo si vuole ammettere. E allora ci si arrabbia, e per denigrare coloro ai quali non si riesce a controbattere si usano mezzucci, che però spesso si ritorcono contro chi li attua. È quello che è successo a Carlo Flamigni e Corrado Melega, che in un recente libro sulla Ru486 (Non tutte le streghe sono state bruciate, edizioni L’Asino d’oro) invece di rispondere alle domande ancora aperte sull’aborto farmacologico, tentano di delegittimare chi in questi anni ne ha denunciato le ombre e i pericoli.
Illustrare questi mezzucci retorici è un po’ patetico, ma credo vada fatto, per capire a quali livelli si arriva pur di evitare di ribattere portando argomenti e documentazione, con il necessario rispetto per l’interlocutore.
Per esempio, i due autori, ogni volta che citano Eugenia Roccella e chi scrive, in particolare come autrici del libro La favola dell’aborto facile, miti e realtà della pillola abortiva Ru486 (edito da Franco Angeli), parlano di «due signore», fingendo di dimenticare i rispettivi incarichi professionali. Insomma: la «signora Morresi», e non una docente universitaria di chimica fisica; «la signora Roccella», e non il sottosegretario alla Salute. Il riferimento è così insistito da risultare ridicolo, ma l’intenzione è chiara: due«signore» vuol dire, nel lessico maschilista degli autori, due donne sfaccendate senza alcuna competenza. Il povero Flamigni, in realtà, è già incappato in una figuraccia a causa del suo velato classismo: in un vecchio articolo sull’Unità spiegò che Roccella & Morresi non sapevano fare i conti, e per dimostrarlo utilizzò un esempio basato su cameriere che rubano (citazione letterale: «Se si hanno cento cameriere, e si sa che solo il 4% di loro è onesto...»). Figuraccia doppia, perché i suoi esempi di calcolo erano clamorosamente sbagliati, come dimostrò con facilità un divertente articolo sul Foglio.
Tornando alla Ru486, i risultati delle sperimentazioni sulle donne dei Paesi terzi, le diverse stime di efficacia del metodo e la lotta di tante donne contro la pillola abortiva, a partire dagli scritti di femministe americane, docenti universitarie – ma forse anche loro solo «signore» – come Renate Klein, Janice Raymond, e Lynette Dumble, sono solo alcuni dei temi affrontati nel citato libro sulla «favola dell’aborto facile». Temi che però non vengono mai menzionati da Flamigni e Melega, i quali preferiscono ignorare le obiezioni e si dedicano a commentare la morte delle donne a seguito di farmaci abortivi con molte censure e imprecisioni. Qualche esempio. Parlando della mortalità per aborto chimico, e sostenendo che «non è più elevata di quella da aborto chirurgico», si omette di citare il fondamentale articolo apparso sul New England Journal of Medicine nel dicembre 2005, in cui si chiarisce che, confrontando correttamente i metodi, la mortalità per aborto medico è dieci volte superiore a quella per aborto chirurgico.
Vorrei ricordare che in ambito scientifico chi contesta un dato non lo ignora: lo cita e cerca di spiegare perché non lo considera valido.
I due spiegano che «sembra ormai certo» che le morti da Clostridium Sordelli – il batterio letale associato all’azione della Ru486 – «siano collegate con la somministrazione endovaginale delle prostaglandine»: evidentemente non hanno letto, nella letteratura scientifica, che l’ultima donna morta per questo tipo di infezione aveva preso la prostaglandina per bocca, e dunque la correlazione non può essere affatto data per certa. È bene ricordare che le morti dopo i farmaci abortivi sono state rese pubbliche dopo anni di complesse ricerche, grazie anche al nostro libro, e dopo che il Ministero del Welfare ha espressamente chiesto i dati alla ditta produttrice della pillola abortiva: sarebbe interessante sapere se e quando Flamigni e Melega si siano occupati dell’argomento prima di allora.
La coppia di autori afferma che la descrizione delle morti del nostro libro«ricorda in modo ammirevole i romanzi di Liala», e che «la stampa cattolica ha chiamato a testimoniare gli afflitti genitori delle ragazze scomparse...». Qualcuno dovrebbe spiegare ai due che l’ironia in questo caso è davvero fuori luogo: dovrebbero avere il coraggio di scrivere queste cose ai genitori di Holly Patterson (18 anni), alla madre di Rebecca Tell Berg (16 anni) e a tutti gli altri familiari che hanno denunciato pubblicamente quelle morti, non certo su suggerimento della stampa cattolica italiana ma cercando un ascolto che troppo spesso veniva loro negato.
Lo stile del nostro libro non deve essere poi tanto simile a quello rosa di Liala, se gli autori aggiungono che «le signore Roccella e Morresi fanno qualche riferimento – un po’ gran-guignolesco, a dire il vero – allo sgomento che coglie un gran numero di donne che, abortendo nella fredda desolazione del proprio bagno, scoprono che quello che è stato appena espulso dalla loro vagina è il loro bambino, proprio lui, il cadavere di colui che hanno tradito e ucciso: portano, a riprova di ciò, persino dati della letteratura medica. E lasciano capire che quel piccolo cadavere è loro familiare, forse assomiglia addirittura un po’ al loro papà, cosa che fa sempre molta tenerezza». Frasi che si commentano da sole. Bisogna però considerare che a scrivere così è anche il presidente della Commissione regionale Percorso nascita dell’Emilia Romagna, cioè Melega, il che non fa onore alla sanità emiliano-romagnola. Invito comunque i due autori a indicare i passi del libro che risentono di accenti «gran-guignoleschi». Avrei voluto riferirmi anch’io ai due autori come ai «signori» Flamigni e Melega, ma ho resistito alla banale tentazione. Piuttosto, chiedo loro un dialogo pubblico sulla pillola abortiva e sui rispettivi libri. Proviamo a fare davvero un confronto tra signori.
Fonte: http://www.stranocristiano.it/2010/06/il-livore-e-un-cattivo-consigliere-a-proposito-di-ru486/
Illustrare questi mezzucci retorici è un po’ patetico, ma credo vada fatto, per capire a quali livelli si arriva pur di evitare di ribattere portando argomenti e documentazione, con il necessario rispetto per l’interlocutore.
Per esempio, i due autori, ogni volta che citano Eugenia Roccella e chi scrive, in particolare come autrici del libro La favola dell’aborto facile, miti e realtà della pillola abortiva Ru486 (edito da Franco Angeli), parlano di «due signore», fingendo di dimenticare i rispettivi incarichi professionali. Insomma: la «signora Morresi», e non una docente universitaria di chimica fisica; «la signora Roccella», e non il sottosegretario alla Salute. Il riferimento è così insistito da risultare ridicolo, ma l’intenzione è chiara: due«signore» vuol dire, nel lessico maschilista degli autori, due donne sfaccendate senza alcuna competenza. Il povero Flamigni, in realtà, è già incappato in una figuraccia a causa del suo velato classismo: in un vecchio articolo sull’Unità spiegò che Roccella & Morresi non sapevano fare i conti, e per dimostrarlo utilizzò un esempio basato su cameriere che rubano (citazione letterale: «Se si hanno cento cameriere, e si sa che solo il 4% di loro è onesto...»). Figuraccia doppia, perché i suoi esempi di calcolo erano clamorosamente sbagliati, come dimostrò con facilità un divertente articolo sul Foglio.
Tornando alla Ru486, i risultati delle sperimentazioni sulle donne dei Paesi terzi, le diverse stime di efficacia del metodo e la lotta di tante donne contro la pillola abortiva, a partire dagli scritti di femministe americane, docenti universitarie – ma forse anche loro solo «signore» – come Renate Klein, Janice Raymond, e Lynette Dumble, sono solo alcuni dei temi affrontati nel citato libro sulla «favola dell’aborto facile». Temi che però non vengono mai menzionati da Flamigni e Melega, i quali preferiscono ignorare le obiezioni e si dedicano a commentare la morte delle donne a seguito di farmaci abortivi con molte censure e imprecisioni. Qualche esempio. Parlando della mortalità per aborto chimico, e sostenendo che «non è più elevata di quella da aborto chirurgico», si omette di citare il fondamentale articolo apparso sul New England Journal of Medicine nel dicembre 2005, in cui si chiarisce che, confrontando correttamente i metodi, la mortalità per aborto medico è dieci volte superiore a quella per aborto chirurgico.
Vorrei ricordare che in ambito scientifico chi contesta un dato non lo ignora: lo cita e cerca di spiegare perché non lo considera valido.
I due spiegano che «sembra ormai certo» che le morti da Clostridium Sordelli – il batterio letale associato all’azione della Ru486 – «siano collegate con la somministrazione endovaginale delle prostaglandine»: evidentemente non hanno letto, nella letteratura scientifica, che l’ultima donna morta per questo tipo di infezione aveva preso la prostaglandina per bocca, e dunque la correlazione non può essere affatto data per certa. È bene ricordare che le morti dopo i farmaci abortivi sono state rese pubbliche dopo anni di complesse ricerche, grazie anche al nostro libro, e dopo che il Ministero del Welfare ha espressamente chiesto i dati alla ditta produttrice della pillola abortiva: sarebbe interessante sapere se e quando Flamigni e Melega si siano occupati dell’argomento prima di allora.
La coppia di autori afferma che la descrizione delle morti del nostro libro«ricorda in modo ammirevole i romanzi di Liala», e che «la stampa cattolica ha chiamato a testimoniare gli afflitti genitori delle ragazze scomparse...». Qualcuno dovrebbe spiegare ai due che l’ironia in questo caso è davvero fuori luogo: dovrebbero avere il coraggio di scrivere queste cose ai genitori di Holly Patterson (18 anni), alla madre di Rebecca Tell Berg (16 anni) e a tutti gli altri familiari che hanno denunciato pubblicamente quelle morti, non certo su suggerimento della stampa cattolica italiana ma cercando un ascolto che troppo spesso veniva loro negato.
Lo stile del nostro libro non deve essere poi tanto simile a quello rosa di Liala, se gli autori aggiungono che «le signore Roccella e Morresi fanno qualche riferimento – un po’ gran-guignolesco, a dire il vero – allo sgomento che coglie un gran numero di donne che, abortendo nella fredda desolazione del proprio bagno, scoprono che quello che è stato appena espulso dalla loro vagina è il loro bambino, proprio lui, il cadavere di colui che hanno tradito e ucciso: portano, a riprova di ciò, persino dati della letteratura medica. E lasciano capire che quel piccolo cadavere è loro familiare, forse assomiglia addirittura un po’ al loro papà, cosa che fa sempre molta tenerezza». Frasi che si commentano da sole. Bisogna però considerare che a scrivere così è anche il presidente della Commissione regionale Percorso nascita dell’Emilia Romagna, cioè Melega, il che non fa onore alla sanità emiliano-romagnola. Invito comunque i due autori a indicare i passi del libro che risentono di accenti «gran-guignoleschi». Avrei voluto riferirmi anch’io ai due autori come ai «signori» Flamigni e Melega, ma ho resistito alla banale tentazione. Piuttosto, chiedo loro un dialogo pubblico sulla pillola abortiva e sui rispettivi libri. Proviamo a fare davvero un confronto tra signori.
Fonte: http://www.stranocristiano.it/2010/06/il-livore-e-un-cattivo-consigliere-a-proposito-di-ru486/
Nessun commento:
Posta un commento