ITALIA: CALO DEMOGRAFICO
Prima che sia troppo tardi
Il Rapporto-proposta curato dal Comitato per il progetto culturale Cei
Oggi pomeriggio viene presentato a Roma il volume “Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia” (Editori Laterza), a cura del Comitato per il progetto culturale della Cei, presieduto dal card. Camillo Ruini. Anticipiamo alcuni passaggi della prefazione a cura del card. Camillo Ruini e una sintesi del Rapporto-proposta.
Analisi quantitativa e motivazioni. Nel Rapporto-proposta, ricorda il card. Camillo Ruini nella prefazione del volume, “vengono presi in attento esame la diminuzione delle nascite e i mutamenti delle strutture familiari, la sconfitta della mortalità precoce e l’invecchiamento della popolazione, le conseguenze demografiche dell’aborto, il ritardo nel passaggio all’età adulta, la disoccupazione giovanile e le difficoltà delle giovani famiglie e di quelle numerose, in particolare la fatica delle donne nel conciliare cura dei figli e lavoro”. Si affronta anche “il tema del rapido aumento dell’immigrazione, con la sua incidenza ma anche con i suoi limiti nel contrastare il declino demografico dell’Italia”. Per ciascuno di questi sviluppi “l’analisi quantitativa è accompagnata dall’indagine sulle motivazioni, sia socio-economiche sia culturali e ‘simboliche’”. Proposte concrete. L’intento principale del Rapporto-proposta è presentare proposte, anche “molto concrete”, che “sembrano in grado di poter correggere, più o meno profondamente, il declino demografico in atto in Italia ormai da alcuni decenni”. “Non ci si nasconde – ammette il cardinale – la grandissima difficoltà e i possibili rischi di un simile compito, ma non lo si ritiene a priori irrealizzabile. Il confronto con altre nazioni non troppo dissimili da noi – come in particolare la Francia –, che si sono mostrate in grado di affrontarlo, aiuta a non cedere alla rassegnazione, sebbene il Rapporto-proposta non trascuri di mettere in luce le profonde differenze tra le due situazioni italiana e francese”. Per il card. Ruini, “rimane in ogni caso la certezza che, se non si pone rimedio al declino demografico, l’Italia, già nel medio periodo, non potrà far fronte utilmente ad alcuna delle altre impegnative sfide che stanno davanti a lei”. Due ordini di fattori. Il Rapporto-proposta individua due ordini di fattori capaci d’influire sull’andamento delle nascite. Il primo, spiega il porporato, “è costituito dagli interventi pubblici, cioè da una serie organica di provvedimenti di lungo periodo rivolti non a premere sulle coppie perché mettano al mondo dei figli che non desiderano, bensì semplicemente ad eliminare le difficoltà sociali ed economiche che ostacolano la realizzazione dell’obiettivo di avere i figli che esse vorrebbero. Giustificare una politica di questo genere è abbastanza facile: i figli, o le nuove generazioni, sono una necessità essenziale per il corpo sociale e quindi rappresentano un bene pubblico, e non soltanto un bene privato dei loro genitori”. Il secondo ordine di fattori si colloca “a un livello più profondo, quello delle mentalità, degli insiemi di rappresentazioni e sentimenti, in altre parole dei vissuti personali e familiari e della cultura sociale, che influiscono potentemente sui comportamenti demografici”. Tra questi due ordini di fattori, sottolinea il cardinale, “il secondo appare quello maggiormente decisivo per le scelte concrete delle coppie, ma anche il primo è necessario, perché senza di esso il desiderio di procreare spesso non si traduce in comportamenti conseguenti. I due ordini di fattori sono quindi interdipendenti e non vanno separati l’uno dall’altro”. Ritardi e vantaggi. Quanto al primo ordine di fattori, secondo il card. Ruini, “l’Italia è certamente in grave ritardo, un ritardo da riparare iniziando subito col mettere in campo un impegno adeguato alla posta in gioco e molto prolungato nel tempo”. Riguardo al secondo ordine di fattori, “l’Italia ha invece due vantaggi potenziali, che finora non hanno potuto produrre i loro effetti soprattutto per la carenza – e talvolta perfino la contrarietà – degli interventi pubblici. Mi riferisco alla perdurante solidarietà interna e rilevanza sociale delle famiglie italiane, rispetto alle situazioni prevalenti negli altri Paesi europei, e al desiderio di figli, che in Italia rimane alto”. Perciò, conclude il porporato, “se vogliamo superare progressivamente la crisi della natalità e ridare al Paese una non effimera prospettiva di crescita, dobbiamo guardare in maniera positiva a queste specificità dell’Italia”. Struttura dell’opera. Il volume si articola in tre capitoli. Il primo è orientato a fornire una oggettiva lettura del cambiamento, attraverso l’analisi della dinamica dei fenomeni demografici e delle trasformazioni strutturali della popolazione e delle famiglie, mentre nel secondo ci si spinge alla riflessione sulle sue cause e sulle relative conseguenze di ordine economico e socio-culturale. Il terzo capitolo apre la via al difficile terreno delle proposte e affronta la questione del governo del cambiamento demografico. In tale ambito si prospettano indirizzi e azioni di politica demografica, con i necessari riferimenti alle specifiche aree di attenzione e il richiamo al tema delle politiche familiari e di conciliazione; non solo come strumento di equità e come doveroso riconoscimento sul piano dei diritti individuali, ma ancor più come strategia efficace e funzionale nel contrasto delle prospettive di regresso demografico.
Come invertire la rotta?
La ricerca di nuovi equilibri in una società che invecchia
“La ricerca di nuovi equilibri in una società che invecchia” richiede azioni politiche che mettano ancora una volta “al centro la famiglia e le scelte che ne accompagnano i processi di formazione e di sviluppo”. Sono le conclusioni cui pervengono gli autori de “Il cambiamento demografico. Rapporto-proposta sul futuro dell’Italia” (Laterza, Bari-Roma 2011), curato dal Comitato per il progetto culturale della Cei (www.progettoculturale.it) e presentato oggi (5 ottobre) a Roma. Al volume, con prefazione a firma del card. Camillo Ruini, presidente del Comitato, hanno lavorato demografi e studiosi di diverse discipline, i quali aggiungono: “Occorre diffondere una nuova mentalità che renda più generativa ed equa la società italiana”, preoccupandosi “dell’ecologia umana, cioè del rispetto di quelle forme sociali di vita che rendono dignitosa la nascita dei figli e la possibilità di allevarli ed educarli in un contesto che non ha sostituti o equivalenti funzionali: il contesto familiare”. A tale fine “dobbiamo però rivedere il concetto di sostenibilità e includere in esso le relazioni umane e sociali, che rendono la popolazione non soltanto numericamente equilibrata, ma anche socialmente coesa e giusta nelle relazioni fra i sessi e fra le generazioni”.
Cambiamenti e nodi critici. Suddiviso in tre parti, il Rapporto prende il via dalla convinzione che “l’incuria italiana degli ultimi quarant’anni nei confronti del problema demografico” abbia “prodotto gravissimi danni sociali, economici e politici”. La prima sezione, corredata da tabelle e grafici, ripercorre il cammino demografico nel nostro Paese, dove da molti anni nascono meno di 600 mila bambini l’anno (561.944 nel 2010, secondo l’Istat, dato in progressivo calo dagli anni Settanta quando toccava i 900 mila), 150 mila in meno di quanto sarebbe necessario “solo per garantire” nel tempo “l’attuale dimensione demografica”, mentre la fecondità “si è attestata attorno alla media di 1,4 figli per donna”. La seconda parte offre una riflessione sui cambiamenti e i principali nodi critici, tra cui l’allungamento della vita, la convivenza con gli oltre 5 milioni di immigrati, le difficoltà dei giovani adulti a raggiungere l’autonomia e il disagio per dover rimanere ancora in famiglia, le conseguenze della Legge 194 e l’influenza dei media sulla società. L’ultima è dedicata alle proposte e alle azioni e politiche sociali per governare questi mutamenti. Protagonista la famiglia. Gli autori della ricerca ritengono che nonostante la diffusa concezione antropologica che privilegia “un’idea individualistica della persona umana” e “relega nell’ambito del privato tutto ciò che appartiene agli affetti, alla sessualità, alla filiazione e alla famiglia”, dietro “alle grandi trasformazioni demografiche” ci sia “una vera grande protagonista: la famiglia” nella quale “si concretizza il risultato dei comportamenti riproduttivi della popolazione italiana”. Proprio “nelle difficoltà familiari” trova “normalmente ragione il divario” di cui il rapporto dà conto “tra la fecondità voluta – gli oltre due figli che le madri vorrebbero – e quella di fatto realizzata, i circa 1,3-1,4 figli per donna”. Quanto al “rallentamento dei processi di formazione di nuove coppie – dagli oltre 400 mila matrimoni degli anni Settanta agli attuali poco più di 200 mila”, esso “va di pari passo” con il “diffuso prolungamento della permanenza dei giovani adulti nella casa dei genitori”, l’innalzamento “oltre i 30 anni dell’età media al primo matrimonio, sino al rinvio delle scelte procreative sempre più verso la soglia dei 40 anni”. L’allarme invecchiamento. Tuttavia, secondo gli studiosi, “il grande fenomeno che fa da sfondo al panorama del cambiamento demografico nell’Italia del XXI secolo” resta quello dell’invecchiamento della popolazione: “la transizione dal sorpasso (già realizzato) tra nonni e nipoti a quello (in un futuro non così lontano) tra bisnonni e pronipoti”. Un aspetto che “suscita molto allarme” per la tenuta del sistema di welfare, la salvaguardia del sistema produttivo e “la capacità di garantire una pacifica convivenza sociale”. Definendo “selettive e frammentate” le misure fino ad oggi adottate in Italia per sostenere la natalità, il Rapporto afferma che “la misura più significativa in tal senso” è “l’equità fiscale”, intesa come “modalità strutturale di trattamento equo della famiglia sotto il profilo del reddito effettivamente spendibile dai suoi membri”. Di qui la proposta di adottare il quoziente familiare, oppure il “fattore famiglia” con la determinazione di una “no tax area”. Si devono inoltre “potenziare i servizi di qualità per la primissima infanzia”, in particolare i nidi, e valorizzare il ruolo dei consultori. Ma occorre soprattutto “un piano nazionale per la famiglia” con “carattere sussidiario”, oltre ad “una strategia dinamica e di lunga durata che la collochi al centro della società” come “una dimensione di tutte le politiche sociali, economiche, educative”. Una sorta di family mainstreaming, per il quale gli autori della ricerca invitano inoltre a conciliare famiglia e lavoro e a elaborare adeguate politiche abitative. |
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