Abolire il contante? No, Grazie!! |
Francesco Carbone usemlab LUNEDÌ 14 NOVEMBRE 2011 16:58 |
L'articolo è stato originariamente pubblicato sul blog dell'autore: Ashokacorner.
Lo riprendo e lo ripubblico perché riguarda una questione molto interessante, quella dell'uso del contante al quale da diverso tempo si sta facendo una vera e propria guerra. Davvero non c'è limite alle proposte demenziali in arrivo da ogni dove, soprattutto quando si comincia a parlare di moneta e denaro, temi sui quali il delirio raggiunge picchi notevoli e davvero insuperabili. D'altronde se il confusionismo economico dilaga a partire già da questioni più banali, molto spesso sfatate anche secoli fa, figuriamoci di quali perle sono capaci alcuni soggetti quando si entra nel merito delle questioni monetarie, indubbiamente le più difficili e delicate da comprendere.
Il mio invito rimane quello di cominciare a STUDIARE SERIAMENTE la scienza economica, prima possibile! E lo raccomando soprattutto a questi giornalisti che provano a fare gli economisti senza neanche conoscere non solo l'ABC, ma neppure la A dell'alfabeto economico. A tal proposito devo comunicare che purtroppo non riuscirò a pubblicare il libro delle lezioni di Huerta entro Natale. Conto tuttavia di riuscirci per il decimo compleanno del sito che, come molti sanno, si compirà a fine gennaio. Potete continuare comunque a trovare le lezioni sempre online nella sezione EDU(cational).
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Milena Gabanelli, conduttrice della trasmissione Report su Raitre, propone, dalle pagine del Corriere della Sera, la sua ricetta per risanare i conti dello Stato. Pur apprezzando spesso le inchieste del suo programma, devo dire che in questo articolo la giornalista cade vittima di tutta una serie di fallacie economiche che purtroppo hanno messo radici nel pensiero main stream. A partire da queste considerazioni sviluppa poi una soluzione che a prima vista pare la panacea a tutti i mali del paese mentre in realtà la “cura” è di gran lunga peggiore del “male”. Leggiamo insieme.
"Non sono un economista, non sono un’esperta di finanza, ma una giornalista generica che ogni tanto prova a capire temi complessi, per poi spiegarli agli utenti. Oggi, come tutti, mi pongo questa domanda: “Come se ne esce?” Il debito italiano conta 1.843 miliardi, il PIL 1.548. I mercati non si fidano del fatto che l'Italia possa ripagare i propri debiti".
Perchè non si fidano?
"Perché gli investitori pensano che tale avanzo (avanzo primario) sparirà in presenza di una recessione (italiana, europea, mondiale). Il nodo è il rapporto debito/PIL, che per l’Italia è troppo elevato. Tant’è vero che la Gran Bretagna, con un deficit più che doppio rispetto al nostro, riesce a farsi prestare soldi ad un tasso di interesse che è meno di un terzo di quello che paghiamo noi, proprio perché la Gran Bretagna ha un rapporto debito/PIL che è circa la metà del nostro".
In realtà la questione è un po’ più complicata ma in sostanza è vero: abbiamo il terzo debito pubblico al mondo.
La “complicazione aggiuntiva” è che la Gran Bretagna emette debito in una valuta, la sterlina, che viene “stampata” dalla Bank of England, così come gli Stati Uniti con il dollaro. L’Italia invece emette debiti in euro e quindi lo Stato non può seguire la via “facile” della monetizzazione del debito e della svalutazione per tirarsi fuori dai guai. Le tesi per cui sia “tutta colpa dell’euro che non possiamo stampare”, proposte della nostra classe dirigente nascono proprio da questa idea.
In pratica non possiamo “barare” sul debito, quindi cosa possiamo fare?
"Siamo dentro un circolo vizioso: più è alto il rapporto debito/PIL, più è necessario tagliare la spesa pubblica, più diventa più difficile evitare una recessione. In presenza di forti tagli alla spesa pubblica la crescita può derivare solo dal settore privato, in altre parole: o da maggiori investimenti, o da maggiori consumi dei cittadini, o da maggiori esportazioni".
Non è detto, se non forse nel brevissimo termine. L’esperienza di molti paesi dimostra che un taglio della spesa pubblica può anzi essere un motore per la crescita economica mentre le dimensioni dell’apparato statale ne sono sicuramente un freno. In sostanza i paesi con una spesa pubblica che eccede il 40% del PIL fanno fatica a crescere. L’Italia è intorno al 50%. Il problema è semmai capire dove tagliare la spesa pubblica e come rendere l’Italia un ambiente più favorevole alla crescita del settore privato.
"In una situazione di incertezza economica mondiale è difficile pensare che senza particolari incentivi un imprenditore possa decidere di investire";
Gli incentivi sono “utili” soltanto a dirigere la produzione in particolari direzioni che il mercato altrimenti non seguirebbe. Creano, tra l’altro, effetti imprevisti ed indesiderati che poi rischiano di peggiorare la situazione. Abbiamo visto cosa è successo per gli incentivi alla rottamazione delle automobili.
Piuttosto lo Stato deve creare un ambiente non ostile agli investimenti e agli imprenditori, in modo che possano sviluppare la propria attività produttiva. La storiella che raccontava le gesta di Stefano Lavori, ovvero cosa sarebbe successo se Steve Jobs fosse nato in Italia, è purtroppo verosimile e gli ostacoli che i nostri imprenditori incontrano sono in gran parte dovuti all’interventismo pubblico, non alla sua assenza.
"è più probabile che decida di rendere più efficiente la propria azienda facendo dei tagli. E allora, di fronte alla mancanza di sicurezza del proprio posto di lavoro, le famiglie sono portate a ridurre le spese, piuttosto che incrementare i consumi".
Se ridimensionare l’azienda la rende più efficiente e profittevole allora sarebbe sbagliato impedirglielo. Vogliamo che le risorse scarse siano impiegate per produrre beni e servizi utili e richiesti oppure solo mettere gente al lavoro e dar loro uno stipendio? Le risorse non più utilizzate dall’azienda A per produrre X, potranno essere utilizzate dall’azienda B per produrre Y, l’importante è appunto non ostacolare la dinamica del cambiamento in atto ma favorirne il corso.
In parole povere, se una azienda ha una capacità produttiva di 100 e riesce a vendere solo 60 è inutile e dannoso accanirsi e spendere denaro pubblico per costringere la gente a comprare 100. Ciò che si vede, della politica dei sussidi, è che l’azienda che fa profitti e dà lavoro ai suoi operai ma ciò che non si vede è ben più importante. Non si vede il costo sopportato dal contribuente, che si accolla il peso degli incentivi con le tasse che paga, non si vedono le risorse produttive che sono allocate alla produzione del bene favorito dai sussidi e quindi non possono essere impiegate nella produzione di altri beni più richiesti, non si vede infine il costo ambientale di certe scelte politiche: rottamare auto con pochi anni e km di servizio per costruirne di nuove non fa certo bene all’ambiente!
Inoltre l’idea per cui l’economia va bene quando si consuma perchè così il denaro circola e fa aumentare la produzione va poi decisamente riconsiderata. Purtroppo è una fallacia economica che oramai ha messo radici nel pensiero contemporaneo.
Vediamo ora le opzioni che la Gabanelli propone per ridurre il debito pubblico di 350 miliardi e portare il rapporto debito/PIL al 100%.
"AUMENTARE IL GETTITO IRPEF NON DAREBBE MOLTO - Gli italiani sono 60 milioni (di cui solo il 38% lavora). Ogni italiano dovrebbe pagare 162 euro al mese per tre anni. Difficile pensare che sia possibile. Anche aumentare le tasse sui redditi servirebbe a poco. Coloro che dichiarano oltre 100.000 euro, sono lo 0,9% del totale, e sopra i 70.000 euro arriva appena il 2% degli italiani".
Fin qui ci siamo, aumentare le tasse in un paese che ne paga già tante (dopo la recente manovra arriveremo al 45% del PIL) non è la soluzione ai problemi di eccessivo indebitamento di un paese. Lo mostra anche lo studio di Alesina e Ardagna che ho citato prima.
"CI SAREBBE LA STRADA DELLA PATRIMONIALE - Secondo i dati della Banca d’Italia, la ricchezza in edifici e terreni degli italiani (al netto di passività/relativi debiti) è pari a 8.600 miliardi. Una patrimoniale del 4% del valore produrrebbe quindi un’entrata di cassa straordinaria pari a 344 miliardi".
Una patrimoniale di 400 miliardi l’aveva proposta anche Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredt, ex prima scelta di Enrico Letta come canditato premier del Pd e .... indagato per frode fiscale (da che pulpito!).
In ogni caso, lo scrive anche la stessa Gabanelli, una patrimoniale così punitiva sarebbe inattuabile e dalle conseguenze tragiche, come ben spiegato da Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano.
Veniamo ora a quella che la giornalista di Report considera l’unica soluzione attuabile.
"La caccia ai grandi evasori è l’obiettivo numero uno, che deve però fare i conti con l’esistenza degli stati canaglia, i tempi lunghi delle procure e delle rogatorie, mentre noi di tempo ne abbiamo poco. Invece si sa che almeno il 20% del PIL è sommerso. Una legge che lo facesse emergere genererebbe entrate allo Stato e farebbe diminuire il nostro debito molto velocemente".
"L’UNICA VIA È LA TRACCIABILITÀ DEI PAGAMENTI - Ad oggi solo pagamenti superiori a 2.500 euro devono essere fatti mediante assegno, bonifico, carta di credito, o bancomat. Ben al di sopra della tipica fattura che un privato riceve da un professionista, un commerciante o un artigiano".
Si va a parare sempre lì, sull’evasione fiscale colpa di tutti i mali dell’Italia e che va eliminata con ogni mezzo, anche invocando misure orwelliane. Come ha ben spiegato Ricolfi qualche settimana fa sulla Stampa, ci sono due tipi di evasione fiscale: quella odiosa di chi “chi potrebbe benissimo pagare le tasse, e non lo fa semplicemente perché vuole guadagnare di più” e quella invece di quanti “se facessero interamente il loro dovere fiscale, andrebbero in perdita o dovrebbero lavorare a condizioni così poco remunerative da rendere preferibile chiudere l’attività”.
Dal momento che vogliamo che si puniscano i primi e si permetta ai secondi di portare avanti la loro attività in modo legale, continua Ricolfi, dobbiamo combatterla sì con più controlli ma anche con aliquote ragionevoli. Io aggiungerei anche con un fisco più semplice perchè essere costretti a rivolgersi (e pagare) ad uno specialista per sapere quante tasse devi pagare è folle
La Gabanelli va diretta e propone il controllo supremo, quello che renderebbe impossibile l’evasione fiscale, ovvero l’abolizione il contante. In realtà parla di una tassazione che ne renda sconveniente l’uso ma la finalità è quella lì, niente contante uguale niente evasione.
La giornalista di Report si chiede:
"Quali categorie hanno assolutamente bisogno di contante? Lo spacciatore, il tangentista, il riciclatore. Tutte le attività criminali esistono solo grazie all’uso del contante, e non contribuiscono alla ricchezza dello Stato, ma generano un costo in termini sociali, di polizia, di burocrazia, ecc".
Ce ne sono anche altri.
Ad esempio i i bambini che vendono la limonata per tirar sù qualche euro, i ragazzi che tagliano l’erba del vicino, i babysitter, gli studenti che danno ripetizioni. Tutti “evasori fiscali” che però giustamente sono tollerati.
Che dire poi dei venditori ambulanti che magari potrebbero avere qualche difficoltà ad acquistare la strumentazione adatta per permettere pagamenti con carta di credito o bancomat? E vogliamo dimenticare le persone anziane o con poca dimestichezza con la tecnologia? Per non parlare dei problemi tecnici e di sicurezza che si accompagnano all’uso di uno strumento elettronico.
Quello che però ritengo il problema più grande è però il seguente: se tutte le mie transazioni sono registrate allora un database centrale può facilmente raccoglierle e catalogarle, un analista governativo può scrutinarle ed individuare non solo i miei redditi ma anche, ad esempio, le mie preferenze politiche, la mia fede religiosa, la mia appartenza a certi gruppi. Se ciò che l’analista scopre non è gradito al governo, quest’ultimo può semplicemente decidere di far pressione sulle banche perchè mi “spengano” le carte e congelino i conti. E con un click io sono rovinato.
Improbabile distopia orwelliana? Prima di buttare alle ortiche la nostra libertà individuale per combattere l’evasione fiscale, ricordiamoci che la logica del “chi non ha nulla da nascondere non ha niente da temere” è stata fedele compagna di tutti i totalitarismi e anche nella democratica Italia contemporanea gli esempi di chi usa il fisco per rovinare le persone ed appropriarsi del suo patrimonio purtroppo esistono.
In conclusione il debito pubblico va ridotto e per farlo è meglio che per una volta lasciamo perdere il lato delle entrate ed il facile bersaglio degli “evasori” e ci concentriamo su quello della spesa.
La Gabanelli sa benissimo che lo Stato spreca denaro in continuazione e Report è stato in prima linea nel portare alla luce e svelare al grande pubblico gli sprechi e gli scandali delle nostre amministrazioni pubbliche. Per questi motivi spero che concordi sul fatto che si può mettere in sicurezza il debito pubblico tagliando la spesa in modo deciso ma circostanziato ed al contempo riformare il fisco in modo da renderlo più semplice e meno oppressivo.
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