di Antonio Socci
Un prete infedele che trafuga documenti esplosivi dal Vaticano per consegnarli ad estranei, oltre le mura leonine. Essendo questo l’incipit del mio romanzo “I giorni della tempesta” mi sono sentito chiedere in questi giorni se ho preso spunto dalla cronaca. In realtà ho scritto la storia l’estate scorsa, quindi ben prima che – in autunno – iniziasse la valanga dei cosiddetti Vatileaks.
Non sono un indovino. L’idea mi era venuta semplicemente percependo certi scricchiolii nei sacri palazzi e un grave sfilacciamento generale della macchina di governo vaticana che faceva presagire esplosioni di guerre intestine.
Non potevo però immaginare che il crollo e l’inondazione sarebbero state di queste dimensioni. Infatti i documenti pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi, “Sua Santità” sono un fatto inedito.
Se perfino le carte private di papa Benedetto XVI hanno potuto essere prelevate, fotocopiate, portate fuori dai sacri palazzi e passate per la pubblicazione a un giornalista, significa che nemmeno più la riservatezza del Santo Padre è protetta, che il Vaticano ormai sembra una macchina fuori controllo e che è scoppiata una guerra aperta senza precedenti, la quale finisce colpisce la Chiesa stessa.
Ieri il Vaticano ha reagito con estrema durezza alla pubblicazione del libro di Nuzzi. Il comunicato della Sala Stampa parla addirittura di “atto criminoso”, afferma che stavolta sono stati “violati” i “diritti personali di riservatezza e di libertà di corrispondenza” del Papa e di altre persone. Infine preannuncia denunce.
Mentre in qualche precedente “fuga” di carte il Vaticano ostentò noncuranza, subito rilanciata da qualche vaticanista ingenuo (o rosicone per gli scoop altrui), in questo caso l’allarme scoppiato oltretevere emerge esplicitamente, in tutta la sua drammaticità.
Il comunicato ufficiale infatti parla di “atti di violazione della privacy e della dignità del Santo Padre – come persona e come suprema Autorità della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano” e minaccia durissime azioni legali. LEGGI TUTTO
(....) Alla vigilia della sua elezione al pontificato, nella via crucis del 25 marzo 2005, davanti a Giovanni Paolo II, in mondovisione, il cardinale Ratzinger pronunciò parole pesantissime, invitando a riflettere su “quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa”.
Invitò a meditare su
“quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote!
Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!
Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute!
Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore”.
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