Martedì 22 maggio la Corte costituzionale dovrà decidere sulla questione di legittimità del divieto di fecondazione eterologa (creare cioè embrioni con un donatore di seme esterno alla coppia), sollevata dai tribunali di Milano, Firenze e Catania. Si tratta di una norma di civiltà giuridica che merita di essere confermata. Ora un nuovo fronte contro tale divieto sembrava essersi aperto dopo la decisone della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva stabilito l’incompatibilità con la Convenzione europea (segnatamente del richiamo al «diritto alla vita privata e familiare» e al «divieto di discriminazione» di cui agli artt. 8 e 14) di un divieto in parte analogo previsto dalla legge austriaca. Decisione che però è stata annullata il 3 novembre 2011 in seconda istanza dalla Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Occorre fare un po’ di chiarezza. Come ricordato dagli stessi giudici della Corte europea, pur potendo le loro decisioni incidere sulla giurisprudenza degli Stati che hanno aderito alla Convenzione europea (e tra questi, l’Italia), esse non possono travalicare «un chiaro margine di discrezionalità degli Stati membri nella materia specifica». Ora le ordinanze di rimessione – specie quella di Milano – richiamano a conforto dell’ammissibilità dell’eterologa un presunto «diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familiare e il diritto di autodeterminazione in ordine alla medesima» (indebitamente compattando l’espressione della Convenzione, che pone la congiunzione "e" tra "privata" e "familiare").
Tale ipotetico diritto, tuttavia, incontra in Italia un dato invalicabile: l’art. 29 della nostra Costituzione, che indica quale famiglia di diritto quella fondata su due sole figure genitoriali, e non tre, come accadrebbe ove si ammettesse un padre civile, coniugato con la gestante dell’ovulo fecondato dal seme del padre naturale-donatore. E tale disposizione, dopo il rigetto della questione sul divieto austriaco da parte della Corte europea, esce rafforzata. L’esclusiva competenza in materia di famiglia, infatti, come ricordato dalla Carta dei diritti dell’Unione europea è lasciata alle «leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». Si tratta dunque di prerogativa del Parlamento italiano che sul punto ha legiferato in chiara armonia con la propria Carta costituzionale, stabilendo il divieto di fecondazione eterologa. LEGGI TUTTO
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