pensionato di 74 anni di Bari che prendeva 700 euro al mese e che si è buttato dal balcone quando l’Inps gli ha chiesto di restituirne 5mila. Il titolare di uno dei più importanti concessionari di moto di Catania che la notte di Capodanno ha prima ingerito barbiturici e poi si è impiccato per il peso di vedersi costretto a licenziare i suoi otto dipendenti. L’allevatore schiacciato dai debiti e stritolato dagli usurai che si è sparato un colpo in testa a Santa Venerina, alle pendici dell’Etna. Senza contare chi si è suicidato dopo aver perso il posto di lavoro, chi non lo ha mai trovato, chi si scopre all’improvviso povero nel Paese con la settima economia del mondo ma che sta per licenziare altre 400mila persone.
La crisi non solo morde. La crisi umilia. E spesso uccide.Dall’inizio del 2012, quindi solo negli ultimi tre giorni, gli imprenditori che si sono tolti la vita sono già una decina. La maggior parte di loro lo ha fatto durante la notte di Capodanno. Forse per non voler vedere come sarebbe andato a finire. Lo racconta Luca Peotta, 44 anni, fondatore di “Imprese che resistono”, associazione nata nella primavera del 2009 dopo il periodo più difficile della vita di questo piccolo imprenditore di Cuneo che fin da ragazzino produce forni industriali a Villa Falletto.
(...) “Ma suicidarsi no, mai”. Perché no? “Perché è un ripiego troppo superficiale. Suicidarsi vuol dire lasciare la propria famiglia non solo nella disperazione, ma anche nei guai. Piuttosto gli imprenditori si rivolgano a Imprese che resistono, magari non ci saranno soldi, ma si può trovare supporto morale e anche scambiarsi lavoro”.
Quello di Peotta è un appello senza retorica a chi sta pensando di mollare. E arriva da uno che a fondo ci è andato anche lui: “Non isolatevi, a tutto c’è rimedio”. Piuttosto dite: domani voglio suicidarmi. Benissimo, 24 ore prima, però, parliamone”.
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