Quelle imprese che per "sopravvivere" a Monti lasciano l'Italia
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INT.Paolo Preti domenica 29 aprile 2012
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Fa un certo effetto, indubbiamente. Basta superare la frontiera tra Lombardia e Svizzera, vicino a Varese, e incontrare su una strada del Canton Ticino il comune di Stabio, dove ci sono 4mila residenti e contemporaneamente una serie di capannoni industriali, di aziende italiane, tanto che ogni giorno 4.700 italiani ci vanno a lavorare.
Esiste la delocalizzazione in Svizzera, non solo quella in Romania e in altri Paesi in via di sviluppo? A vedere questo piccolo centro, ci si rende conto che è tutto vero. E il motivo di questo strano fatto? Molto semplice: le tasse e la burocrazia. Se in Italia aprire un’impresa è già “un’impresa”, perché richiede tempi lunghi e pratiche burocratiche sfibranti, a Stabio si riesce ad aprire una fabbrica in 40 giorni. Ma soprattutto, se prima della frontiera le tasse su chi fa impresa sono le più alte del mondo ocidentale, a Stabio la pressione fiscale è del 25 percento.
La Svizzera è famosa per tante cose, per la sua antica neutralità ( dal 1815 non conosce una guerra, e non è appartiene neppure all’Europa), per la solidità e la ricchezza soprattutto finanziaria, anche se non può certo insegnare a qualcuno, tanto meno agli italiani, l’arte di produrre buoni prodotti. È evidente che in una situazione come quella che stiamo vivendo, Stabio diventa un “piccolo scandalo”, dove c’è occupazione, posti lavoro, professionalità italiana e una pressione fiscale che non solo non ti ammazza, ma ti fa guadagnare. LEGGI TUTTO