Suicidio degli imprenditori; andare oltre le belle parole.
InGlass-Steagall su aprile 18, 2012 a 5:48 AM
Finalmente, nei media si comincia a parlare di uno dei risvolti più drammatici della crisi economica degli ultimi anni: il numero non piccolo di imprenditori che schiacciati dai debiti e di fronte alla perdita dell’attività per cui hanno speso una vita, decidono di farla finita.
Per chi avesse voluto ascoltare, il tema era stato sollevato ripetutamente dal movimento ICR – ImpreseCheResistono già quasi 3 anni fa; ora si comincia a sentirne parlare di più, in seguito all’attenzione data anche da alcuni noti giornalisti.
Ci preme dire la nostra sul tema in questo momento, perché mentre è fondamentale fare capire alla gente e alle istituzioni la vera portata della crisi, vorremmo che si evitasse di creare l’ennesimo momento strappalacrime pieno di apparente empatia, ma senza un atteggiamento serio per affrontare il problema.
Se ascoltiamo le storie degli imprenditori che vengono spinti ad un gesto di questo tipo, troviamo praticamente sempre un denominatore comune: il problema con le banche.
Sì, le banche, quelle stesse banche che prendono i soldi all’1% dalla BCE, allo 0% dalla Fed per molte banche internazionali, ma poi li rimettono in luoghi “sicuri”, oppure li utilizzano per operazioni speculative che rendono un profitto immediato, senza il rischio dell’economia reale.
A grandi linee, i problemi delle PMI sono legati a due fattori: il crollo del mercato, a causa della crisi e della globalizzazione che spinge la produzione verso zone con lavoro a basso costo, e l’impossibilità di trovare fiducia da parte del sistema creditizio.
I liberisti ci diranno che questa è la nuova realtà: chi non è competitivo non potrà farcela.
O ci si adegua al nuovo mercato, oppure si vada a fare qualcos’altro (magari il commesso all’ipermercato che ora sarà aperto sempre la domenica… ma chi comprerà quando non ci sarà più il lavoro?).
Ma la realtà è innegabile. Il sistema è fatto persalvare le grandi banche, le grandi società (sempre meno produttive) che gestiscono la globalizzazione. Il “libero” mercato significa che non conviene investire laddove ci sono incertezze. Se l’economia è in crisi allora è chiaro che un imprenditore non potrà più garantire i risultati del passato. Quindi, cosa si fa?
Con il sistema attuale, si agisce più o meno come i professori di Harvard che hanno suggerito di chiudere tutte le imprese poco produttive nei paesi dell’ex Unione Sovietica. Tutti a casa. E’ la realtà economica. Quando dimostri di poter competere con i più forti ripresentati. Negli ultimi anni si sono fatte pure le regole bancarie per garantire che i deboli non potranno accedere al credito.
Così però si fa solo il gioco della speculazione finanziaria.
E’ il dirigismo speculativo: teniamo i soldi dove rendono di più, subito. Mentre le attività produttive muoiono.
L’alternativa è il ritorno ad un sistema in cui si investe nell’economia reale, non per fare i soldi facili, ma per dare lavoro, per costruire il futuro. Significa privilegiare chi produce qualcosa, chi contribuisce al mantenimento e al progresso fisico della nazione. Occorre un sistema bancario che investa proprio laddove ce n’è bisogno. Altrimenti, chi ha bisogno di soldi non li può avere, che non ne ha bisogno sì; questa è la situazione attuale.
Il cambiamento che serve sarà pure “dirigista”, ma se vogliamo sopravvivere è d’obbligo.Prestiti a lungo termine e a basso tasso di interesse per l’economia reale, con un regime privilegiato rispetto alle attività non-produttive.
Occorre separare le banche, rimuovere la parte speculativa e sostenere le banche ordinarie, attraverso una riforma Glass-Steagall.
E poi serve il volano: progetti infrastrutturali, ricerca scientifica, sviluppo di nuove tecnologie.
Tutto questo è stato fatto in passato, dall’America diFranklin Roosevelt all’Italia del dopoguerra. Solo negli ultimi decenni si è deciso che le vere regole dell’economia non valgono più; ora ci sono gli esperti al comando.
In conclusione, ci dispiace sentire che la gravissima questione del suicidio di molti imprenditori venga ridotta ad una pedina nella demagogia politica.
L’economia va male? Allora diamo i soldi dei partiti agli imprenditori!
Ben vengano i soldi, ma creare qualche fondo per chi non ce la fa più non rappresenta una soluzione vera.
Il problema è sistemico, serve ribaltare la folle politica di austerità e riforme “strutturali” imposte dalla BCE e dai suoi portavoce in Italia, o ci saranno ancora moltissime aziende che arriveranno alla fine delle energie nel prossimo periodo.
I risultati ultimi del “risanamento” sono davanti ai nostri occhi, in Grecia, in Spagna, in Africa. Dobbiamo proprio arrivare fino a lì prima di cambiare strada?
Riformiamo la finanza, salviamo la gente.
Da adesso in avanti NOBIGBANKS (siamo presenti su Facebook e su Twitter) passa alla fase due, per allargare la conoscenza della separazione bancaria e arrivare alla popolazione.
Vi invitiamo a usare per Twitter gli hashtag #separazionebancaria e #nobigbanks.
Teniamo sempre dritta la barra: “Salviamo la Gente, Riformiamo la finanza”.
Difendiamoci dalle minacce per la salute pubblica come l’EMS.
Ma ricordiamoci sempre che per costruire l’alternativa alla folle politica di austerità il primo passo è Glass-Steagall.
Frattanto, continua la campagna di raccolta firme per Glass-Steagall, vi invitiamo a diffonderla e socializzarla tra i vostri contatti: http://www.firmiamo.it/nobigbanks
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