Il Cortile dei gentili del card. Ravasi a Stoccolma
(di Fabrizio Cannone 25 settembre 2012) «Due giornate indimenticabili di rispettoso dialogo tra credenti e non credenti. Con queste parole potrebbe sintetizzarsi l’incontro del Cortile dei gentili che si è tenuto a Stoccolma il 13 e il 14 settembre, grazie alla collaborazione tra Pontificio Consiglio della Cultura, Ambasciata di Svezia presso la Santa Sede e due istituzioni locali, l’Accademia Reale delle Scienze e l’organizzazione giovanile Fryshuset»: così inizia l’ampia presentazione, curata dal gesuita Ulf Jonsson, della discutibile iniziativa “ecumenica” e “interculturale” (cfr. “Osservatore Romano”, 19 settembre 2012, p. 5).
Facendo seguito ad una pericope biblica, usata a suo tempo da Benedetto XVI, il cardinal Gianfranco Ravasi ha dato vita ad una sorta di istituzione stabile, il Cortile dei gentili appunto, quasi un nuovo coordinamento per il rilancio dell’ecumenismo, il quale ha già radunato i membri delle varie religioni ad Assisi, con l’insolita aggiunta, rispetto alle tradizionali assemblee ecumeniche, di esponenti dell’ateismo e del relativismo etico. “Sette rappresentanti molto noti della vita scientifica e culturale svedese hanno incontrato il cardinale Ravasi”: prolusioni di tendenza antropocentrica e laica, dibattiti sui diritti umani, sul rapporto tra religioni e violenza, etc. etc.
Certo nel mondo di oggi è importante per ogni cattolico discutere e confrontarsi con i milioni di cittadini che professano o l’ateismo esplicito o ancor più spesso lo scetticismo comune circa i valori fondanti della vita (famiglia, educazione, sessualità, moralità, etc.). Ma quale può essere il risultato pratico di questi incontri interculturali, se non la ricerca di ciò che unisce (atei e cristiani) a danno di ciò che divide (la fede, la morale, etc.) ? E se questo ne è il senso ultimo, ricercato da entrambe le parti, anche della parte cattolica, come può essere giustificato alla luce del mandato evangelico di «ammaestrare tutte le genti» ? Non si rischia forse nell’ambito di questi dialoghi di mettere tra parentesi la fede e la verità, nel tentativo di non dispiacere alla controparte? Ed è possibile amare il prossimo (non credente) escludendo a priori, come avviene in riunioni siffatte, la volontà di guidarlo verso l’unica via della salvezza?
Dopo la due giorni, il padre Jonsson ha voluto ringraziare l’ambasciatrice svedese presso la Santa Sede, Ulla Gudmundson, «per il successo avuto dall’iniziativa». Il successo, in un ambito come questo, dovrebbe consistere non nell’aver «parlato assieme», ma nell’aver detto le stesse cose, perché la verità è una. Ma quale successo ravvisare dal fatto per esempio che Ulf Danielsson, docente di astrofisica e Ingemar Ernberg, docente di biologia, entrambi dichiaratamente atei, hanno ammesso di non avere «la minima idea del perché le cose esistono» ? Ciò che è un puro rigetto della Parola di Dio (cfr.Gen. 1). E che dire dello scrittore P.C. Jersil «ateo impegnato» (!) il quale ha detto che «la mancanza di conoscenza scientifica non implica che vi sia spazio per le risposte religiose»?
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