di Assuntina Morresi 2 Settembre 2012
Era inevitabile che la morte del Card. Martini avesse una grande eco, visto il personaggio, ma il rispetto che sempre la morte di una persona impone non deve distorcere la realtà dei fatti successi.
Innanzitutto, le polemiche intorno alla sua morte, e sul fatto che avrebbe rifiutato il cosiddetto “accanimento terapeutico”: non ho ben capito chi sia stato a diffondere per primo questa notizia, che, data in pasto ai media in questi termini, era ovvio che andasse a finire così come è andata, e cioè con il paragone fra il Card. Martini e Welby ed Eluana Englaro.
Niente di tutto questo, naturalmente: Martini NON è morto di fame e di sete, come Eluana, e non è stato staccato da nessuna macchina, come Welby. Il Card. Martini era un malato terminale (mentre Welby ed Eluana non lo erano): stava morendo, e quindi nei suoi ultimi giorni, quando non poteva più deglutire, non è stato nutrito con sondino o PEG, ma con una flebo. Semplicemente, come tanti altri malati terminali. Presentare questo come un “rifiuto di cure salvavita”, imbastirci su tutto questo polverone, è semplicemente aberrante.
Ma bisogna anche riconoscere che questo è successo perché il Card. Martini da sempre, e soprattutto in questi ultimi anni, è stato il rappresentante di un certo cattolicesimo “progressista”, di quelli aperti al cosiddetto “dialogo” inteso spesso in contrapposizione con la tradizione della Chiesa, con posizioni sui temi eticamente sensibili spesso diverse da quelle della CEI. Basta vedere cosa ne ha scritto ieri De Bortoli, il direttore del Corriere della Sera (il giornale più laicista che c’è): “Se lo avesse voluto, magari attenuando qualche sua posizione riformatrice, avrebbe potuto varcare il soglio pontificio. Ma a Roma preferì Gerusalemme. E al potere, gli studi e la gente”, come se tutti quelli che sono diventati Papa lo avessero fatto in nome del Potere. (Tra l’altro, alimenta una storia non vera: al conclave del 2005, l’unico in cui poteva diventare Papa, Martini aveva già il morbo di Parkinson, la stessa malattia di cui era appena morto Giovanni Paolo II. Come era possibile eleggere un Papa già malato?).
E sui temi eticamente sensibili, in un’onesta intervista su Avvenire (qua il testo intero), ieri, il Card. Ruini ha spiegato molto chiaramente, rispondendo alle domande di Marina Corradi:
Su temi etici come fecondazione artificiale e unioni omosessuali, Martini sembrava più aperto alle ragioni di certa cultura laica. Avete avuto un dialogo, o magari uno scontro?
Abbiamo avuto all’interno del Consiglio permanente della Cei un dialogo amichevole e a più voci, mai uno scontro. Non sono mai emerse del resto divergenze profonde.
Negli ultimi anni però il cardinale Martini ha espresso pubblicamente posizioni chiaramente lontane dalle sue e da quelle della Cei.
Non lo nego, come non nascondo che resto intimamente convinto della fondatezza della posizioni della Cei, che sono anche quelle del magistero pontificio e hanno una profonda radice antropologica
Che le posizioni di Martini su certi temi fossero lontane da quelle della CEI e del Magistero pontificio, purtroppo, non è una novità, e ce lo ricordiamo bene. Così come quelli che leggevano il Sabato ancora ricordano il processo ai due giornalisti che osarono criticare Lazzati, processo che Martini poteva evitare, respingendo la denuncia al Tribunale ecclesiastico da parte di quelli della Rosa Bianca, e che invece non evitò, alla faccia del dialogo. Qua un riassunto dei fatti, dall’archivio del Corriere della Sera, scritto in tempi non sospetti.
Antonio Socci oggi su Libero mette il dito sulla piaga, ricordando tutto questo e molto altro.
Sarà pure urticante, ma è tutto vero.
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