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mercoledì 15 luglio 2009

NELLA SOFFERENZA AVERE FEDE FA LA DIFFERENZA........PER SOPRAVVIVERE!!!

Un'altra estate


di Ferdinando Cancelli


Nella luce di un mezzogiorno estivo i grandi palazzi della periferia gettano ombre più scure di quelle dei viali alberati, ombre più nette e più fredde. Poca gente sui marciapiedi, troppo larghi per zone di poco passeggio in ore nelle quali, da queste parti, la gente suda altrove, per lo più intenta a ribollenti macchinari avvolti di sordido rumore. Il numero 19 è appena più in là dell'ultimo platano, in un angolo tranquillo e assolato dal quale un piccolo uscio immette in un universo di nomi:  non resta che suonare.

Al piano rialzato una porta si apre e lascia intravedere una piccola figura di donna, sulla settantina, un po' troppo curva per la sua età e un po' troppo sorridente per essere la moglie del paziente. "Entrate, prego" - ci dice affabile - "scusate il disordine, abbiate pazienza ma abbiamo appena traslocato". Varcata la soglia si è come investiti da un mondo di odori e di penombra:  le persiane abbassate lasciano filtrare poca luce e nelle stanze spoglie scatoloni di cartone si ammucchiano un po' dovunque in un ambiente ampio ma povero e molto posticcio. Il lettuccio, anch'esso quasi da viaggio, è lì accanto alla porta con il suo carico di dolore umano e di speranza:  vi si trova un uomo anziano, cordiale, con la voce malferma e serena di chi, pur provato, ha già tutto compreso, anche quello che spesso si nega fino all'ultimo.

Un ambiente, una casa, una famiglia, una storia fatta di persone:  nulla si rivela da subito. È piuttosto un lento svelarsi, un travaso di squarci di vita che, colmata spesso la misura, fluiscono nei cuori e nelle mani di chi li sa accogliere. E così la penna traduce sul foglio le confessioni di chi abbiamo incontrato, non davvero per caso, in un giorno d'estate. Non siamo soli ad ascoltare la ferma dignità di chi ha tutto o quasi perduto:  una grande statua della Madonna ci dà le spalle guardando al di là delle grate che separano la stanza da letto dal giardino del palazzo, una fotografia di don Bosco in mezzo ai suoi ragazzi e ad altri sacerdoti, un ritratto di mamma Margherita, un piccolo rosario arrotolato sul tavolo in un punto senza polvere, un breviario.

"Cosa vuole che riesca a fare io - ci dice umilmente la signora indicando il cielo con un dito - è di là che mi viene la forza di andare avanti". Capiamo meglio, vediamo più lontano:  sono fuori dagli scatoloni del trasloco le cose che servono per tirare avanti:  le pentole, le lenzuola, le scarpe e il crocifisso, talmente grande che quasi non si vede, talmente vero che quasi sembra lui quello al quale rivolgere le nostre domande di medico e di infermiera. "Ma pensa davvero di farcela da sola a seguire suo marito?". "Lei non immagina che uomo è Michele, è lui che quando siamo tristi ci consola e ci dice:  "Perché piangete? Ho vissuto fino a settant'anni, cosa mi manca?". E noi ci sentiamo davvero consolati da lui". "Avete figli?". "Sì, due, e anche tre nipotini".

Ci si ferma un attimo, per qualche momento si esita a tradurre anche questo sul foglio:  è un baratro su cui si rimane in punta di piedi, una voragine che solo a guardarla da lontano già fa tremare. "Mia figlia è stata abbandonata dal marito quando era incinta del terzo figlio al settimo mese:  prima ha cercato di farla abortire poi, non riuscendoci, l'ha lasciata per un'altra e adesso siamo tutti qui in questa casa a cercare di tirare avanti".

Le pagine del breviario anche a una prima occhiata dicono delle dita che tante e tante volte le hanno aperte davanti agli occhi che le hanno percorse, quegli occhi che vi hanno trovato la propria storia di piccoli, una storia spesso fatta di draghi che vogliono divorare un bambino e che sono ridotti al nulla da forze che sfuggono al mondo. "Che cosa vi posso offrire?". Due bicchieri su un vassoio sono un'offerta che non si può rifiutare da mani rese tanto pure dalla sofferenza:  "È come bere acqua benedetta" dico tra me, e penso a tutta quell'acqua che nella Scrittura è segno della presenza che salva. "Ecco, anche per me oggi è attinta quest'acqua, anche a me oggi è dato di salvarmi per mezzo di quest'acqua che sgorga dalla roccia in questo deserto che ho davanti". Sono venuto per curare e mi trovo curato, sono entrato malato e mi trovo sulla via della guarigione.

Posando una siringa ripasso davanti alla fotografia di don Bosco e lo vedo in mezzo ai suoi ragazzi, sembra di averlo davanti dolce e forte, sereno e profondo, un vero maestro. D'un tratto un vagito, poi un pianto:  da dietro una porta più scura un bambino reclama luce e carezze e trova una nonna che subito lo conforta.


(©L'Osservatore Romano - 15 luglio 2009)

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venerdì 10 luglio 2009

ETICA,TERMINE INFLAZIONATO,SLEGARE QUESTO TERMINE DALLA"VERITAS" E' VOLER IGNORARE LA PRESENZA DI CRISTO NELLA STORIA

ENCICLICA/ Sapelli: carità verità giustizia, la rivoluzione del Papa per rifondare l’economia

venerdì 10 luglio 2009

Continua su ilsussidiario.net il dibattito sulla nuova enciclica sociale di Benedetto XVI, firmata nel giorno dei santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, e presentata martedì scorso. Giulio Sapelli mette in guardia da un rischio molto pericoloso: «togliere dall’etica l’elemento caratterizzante, che è quello della “veritas”, per parlare di etica tout court. Quello che molti giornali hanno già cominciato a fare». Dimenticando così il fondo della questione: è la presenza di Cristo nella storia che fonda il rapporto tra etica ed economia, perché cambia l’uomo.

Qual è la sua opinione ad una prima lettura dell’enciclica?

Mi è parsa molto più complessa di quel che potrebbe sembrare a prima vista. Il fondamento dell’intera riflessione è teologico e sta nel rapporto tra carità e verità e tra carità e giustizia. Proprio per questo c’è da temere che il vero centro dell’enciclica sarà sottovalutato dal dibattito.

In cosa consiste a suo avviso questo centro?

Nella tesi che il rapporto tra carità e giustizia si salda solo nella verità, cioè nell’obbligazione morale verso Dio e verso la presenza di Cristo nella storia. Ed è questo che fonda il rapporto tra etica ed economia: per un cattolico tale nesso è innanzitutto la testimonianza della verità della presenza di Cristo. Anche nell’azione economica.

E il facile fraintendimento di cui ha detto poc’anzi?

In presenza di una crisi finanziaria generata da un crollo morale - quello dell’arricchimento senza freni, della falsa stima del rischio, della falsificazione contabile - l’enciclica ricostruisce il rapporto tra morale e mercato. Ma la forte riappropriazione del nesso tra economia e morale salva al tempo stesso l’irriducibilità dell’etica cristiana al fattore economico e per un motivo molto semplice: che l’etica non è il buon comportamento, ma la verità cristiana e l’uomo cambiato da questa.

E dunque?

Nei primi commenti apparsi sui quotidiani invece si è cominciato a togliere dall’etica l’elemento caratterizzante, che è quello della “veritas”, per parlare di etica tout court. Se sei cristiano il Papa dice: nell’economia devi realizzare l’esperienza di Cristo. Questa è la carità unita alla verità e alla giustizia.

Altri aspetti che l’hanno colpita?

L’enciclica è ricchissima. Per esempio è la prima volta che si parla di una pluralità di forme dell’attività economica: non c’è solo la forma dell’impresa capitalistica, dice il magistero, ma c’è il non profit, la cooperazione. Molteplici forme che si collocano tra il mercato e lo stato, con fini sociali ed economici e soprattutto con diversi possibili assetti di proprietà. Poi la parte dedicata ai sindacati: l’enciclica li invita a superare una visione corporativa, o le parti dedicate al precariato. Basti pensare alla minaccia che questo rappresenta per la stabilità della famiglia.

Il principio di fraternità intende portare dentro l’economia la logica del dono. Ma è realistico?

È realistico perché è qualcosa che sta già avvenendo in tante piccole imprese dove c’è mutuo aiuto tra titolari e dipendenti; in tutto il mondo molte imprese stanno resistendo alla crisi facendo filiera solidale. Piuttosto sarà difficile che venga capito dai governanti del mondo, sempre più sprofondati in una crisi etica: basta guardare come operano istituzioni come l’Onu e la Fao, dominate dallo spreco e dall’inconcludenza.

Toccando il problema del governo della globalizzazione, il Papa dice che serve più sussidiarietà. Condivide?

Sì. L’unico modo per governare la globalizzazione non può essere centralistico, accentrato, ma sussidiario, prossimo alle persone e alle comunità. La persona, la società naturale che è la famiglia, le comunità, tutto può concorrere ad un governo sussidiario. Sono formule nuove che vanno precisate, ma questo è un compito che spetterà a noi laici di svolgere.

Quanto può aver influito la crisi finanziaria sulla formulazione delle tesi espresse nella Caritas in veritate?

La prima cosa che balza agli occhi nell’enciclica non è l’interpretazione della crisi, ma la sua solidità teologica, dalla quale tutto il resto deriva. L’enciclica a mio avviso è molto meno legata alla crisi di quanto non si pensi: è normale che noi ragioniamo sul breve termine, ma sono le basi teologiche a condizionare l’incontro dell’enciclica cono i tempi e i problemi. Carità, verità, mercato e dono, pluralità delle forme di scambio sono concetti che non vengono messi nero su bianco solo per fronteggiare una crisi, ma anche per rifondare una scienza economica.

Cosa può e deve “imparare” l’economia italiana da questa enciclica?

Non c’è da essere molto ottimisti. Il nostro mondo economico può al massimo dedicarsi all’ultima riforma fiscale, ma non ha più veri intellettuali, uomini del calibro di Guido Carli per esempio. La nostra finanza è troppo ripiegata sul proprio “particulare”, a parte le banche popolari e le casse rurali, che rappresentano invece la parte positiva di cui l’enciclica parla. Certamente Tremonti la leggerà con interesse perché ci sono cose a lui care; come mi attendo molto dal mondo del non profit.

Sempre a proposito di ricezione dell’enciclica. Lei conosce molto bene l’America latina, un mondo che con troppa facilità ha scambiato la fede con la liberazione sociale…

Penso che in America latina l’enciclica avrà un ruolo enorme. Il Sudamerica è animato da una anelito di giustizia che storicamente ha imboccato anche strade sbagliate, ecco perché quei paesi attendevano da tempo un’enciclica come la Caritas in veritate. Ora la Chiesa lancia un messaggio finalmente positivo a quel continente dopo una lotta, secondo me anche troppo dura, contro la teologia della liberazione, teologicamente errata ma con un contenuto sociale cristiano molto elevato. L’enciclica può essere l’occasione storica data all’America latina per conoscersi più a fondo e interpretarsi. Ma questo vale per tutti noi.


QUELLO CHE ACCADE IN CANADA


10-07-09

CANADA: CATTOLICI CONTRO PREMIER,AVREBBE PROFANATO OSTIA. DOMANI DA PAPAStephen Harper




(ASCA) - Citta' del Vaticano, 10 lug - Alla vigilia della sua udienza domani con papa Benedetto XVI, il premier canadese Stephen Harper e' finito nel mirino dei cattolici del suo Paese per aver ''profanato'' un'ostia durante una messa.
Harper - che non e' nemmeno cattolico, ma protestante - stava partecipando ai funerali dell'ex governatore generale Romeo LeBlanc nella chiesa cattolica di Memramcook, nello stato del New Brunswick. Al momento della comunione, il premier si e' messo in fila insieme agli altri fedeli ma - come mostra un video su YouTube che ha fatto esplodere lo scandalo - non si vede se mangi o meno l'ostia. Per alcuni cattolici, Harper l'avrebbe messa in tasca, ''profanando'' cosi' l'ostia; ostia che, comunque, secondo i critici, egli non poteva ricevere in quanto non cattolico.
Mons. Andre Richard, l'arcivescovo di Moncton che celebrava la messa, cerca pero' di minimizzare il caso. ''Nel contesto - ha detto - e' ovvio che non si intendeva mancar di rispetto, ne sono piuttosto certo''. ''Credo si sia trattato di una sorta di sfortunato incidente'', ha aggiunto, dicendosi certo che Harper ''non voleva compiere alcuna dissacrazione o nulla del genere. In qualche modo il gesto e' stato malinteso. Credo che avrebbe dovuto essere informato dal protocollo riguardo a quanto si deve fare in una cerimonia cattolica''.
Ma per mons. Brian Henneberry, vicario generale della diocesi di Saint John, quello di Harper e' stato ''molto peggio di un passo falso, e' uno scandalo dal punto di vista cattolico''. ''Spero - ha aggiunto in un'intervista che ha fatto il giro del Paese - che l'ufficio del primo ministro abbia tanto rispetto per la Chiesa Cattolica e fede in generale per chiarire cosa sia effettivamente successo''.
asp/mar/bra

martedì 7 luglio 2009

ENCICLICA CARITAS IN VERITATE : ESSERE SEGNO NEL MONDO




Martedi 07 Luglio 2009

CARITAS IN VERITATE - Essere segno nel mondo
La prospettiva principale indicata dall’enciclica



L’enciclica sociale “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, presentata il 7 luglio, trasforma la dottrina sociale della Chiesa nientemeno che nel rapporto tra la Chiesa e il mondo, dato che essa tratta dello “sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”, dilatando all’estremo il tema dello sviluppo della “Populorum Progressio” di Paolo VI della quale ricorda il quarantesimo anniversario. È quindi una grande enciclica perfettamente inserita nel pontificato di Benedetto XVI, che non solo ha fatto dei due termini carità e verità il cuore del suo magistero – essendo essi, secondo il Papa, il cuore stesso del cristianesimo – ma ha anche posto nel modo più radicale il tema di “Dio nel mondo”, ossia se il cristianesimo sia solo utile o anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano.
Il Papa pensa che sia indispensabile e in questa enciclica dice perché.


È un’enciclica coraggiosa, quindi, in quanto elimina ogni possibile perplessità sul ruolo pubblico della fede cristiana e sul fatto che da essa derivi una coerente visione della vita, in concorrenza con altre visioni. Il mondo, secondo la “Caritas in veritate” non è solo da accompagnare nel dialogo e mediante una carità senza verità, ma è da salvare mediante la carità nella verità. Per ottenere questo risultato il Papa ha da un lato “riabilitato” Paolo VI e dall’altro ha indicato il punto di vista teologico dal quale la Chiesa deve considerare i fatti sociali. Si tratta di due puntualizzazioni dal grande valore strategico che il cardinale Martino e il vescovo Crepaldi, presentando l’enciclica hanno puntualmente ben evidenziato.

L’intero primo capitolo dell’enciclica è dedicato a Paolo VI, appunto per ricordare la sua “Populorum Progressio” del 1967. Paolo VI non era incerto sul valore della dottrina sociale della Chiesa, come molti hanno detto e continuano a dire, e non ha per nulla ridimensionato l’importanza di una presenza pubblica del cristianesimo nella storia. Anzi, dice Benedetto XVI, egli ha gettato le basi del grande rilancio che di lì a poco avrebbe fatto Giovanni Paolo II. Viene così tolto di mezzo uno dei principali argomenti dei teologi che hanno contestato il presunto carattere ideologico della dottrina sociale della Chiesa. Essendo Paolo VI il Papa del Concilio, va da sé che le precisazioni della nuova enciclica riguardano la valutazione di un intero periodo. Queste affermazioni del Papa hanno la stessa importanza della condanna dell’ermeneutica della frattura circa il Vaticano II da lui fatta nel dicembre 2005. La “Caritas in veritate”, infatti, afferma che non esistono due dottrine sociali una preconciliare ed una postconciliare, ma un’unica dottrina sociale della Chiesa. Pio IX o Leone XIII non si erano sbagliati.

Quanto alla visione teologica da cui partire, il Papa chiarisce che questa è la fede apostolica e non qualche problema sociologicamente inteso. Insomma la Chiesa non parte “dal mondo” ma dalla fede degli apostoli. Solo così essa può essere utile al mondo. Questa è la prospettiva centrale di tutta l’enciclica e spiega l’insieme delle valutazioni che vi sono contenute. Che lo sviluppo vero non possa tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia; che non si possa lottare per la salvaguardia della natura dimenticando la superiorità della persona umana nel creato; che l’eugenetica è molto più preoccupante della diminuzione della biodiversità nell’ecosistema; che l’aborto e l’eutanasia corrodono il senso della legge e impediscono all’origine l’accoglienza dei più deboli, rappresentando una ferita alla comunità umana dalle enormi conseguenze di degrado; che l’economia abbia bisogno di gratuità e che questa non si deve aggiungere alla fine o a latere dell’attività economica ma deve essere elemento di solidarietà dall’interno dei processi economici, dato che ormai, tra l’altro, l’attività redistributiva dello Stato è pressoché impossibile. Queste ed altre valutazioni l’enciclica le trae dal Vangelo e mentre con il Vangelo illumina queste realtà – società, economia, politica – le restituisce anche a se stesse, all’autonomia della loro dignità, riscontrando impensate convergenze tra la visione cristiana e i bisogni autentici della società umana. Pensiamo, per esempio, all’economia: la globalizzazione impedisce di fatto agli Stati di organizzare la solidarietà “dopo” la produzione. Bisogna organizzare la solidarietà già dentro la produzione come cerca di fare per esempio, tra mille contraddizioni, il movimento della responsabilità sociale dell’impresa. Qui si incontrano i bisogni concreti dell’economia globalizzata di oggi e le indicazioni della fede cristiana secondo le quali l’economia è sempre un fatto umano e comunitario e, quindi, la dimensione etica non la riguarda solo “dopo” ma fin dall’inizio.

In questa enciclica per la prima volta vengono trattati in modo sistematico i temi della globalizzazione, del rispetto dell’ambiente, della bioetica e della sua centralità sociale, che nelle precedenti encicliche erano stati solo sfiorati. È un’enciclica che guarda decisamente al futuro con il coraggio del realismo della sapienza cristiana. Lo schema Nord-Sud è superato, dice Benedetto XVI, la responsabilità del sottosviluppo non è solo di alcuni ma di tanti, compresi i Paesi emergenti e le élites di quelli poveri, talvolta anche le organizzazioni umanitarie e gli organismi internazionali sembrano più interessati al proprio benessere e a quello delle proprie burocrazie che non allo sviluppo dei poveri, il turismo sessuale è sostenuto non solo dai Paesi da dove partono i “clienti”, ma anche da quelli che lo ospitano, la corruzione la si ritrova in tutta la filiera degli aiuti umanitari, se i Paesi occidentali sbagliano a proteggere eccessivamente la proprietà intellettuale specialmente per i farmaci nelle culture dei paesi arretrati ci sono superstizioni e visioni ancestrali che bloccano lo sviluppo, e così via. È un’enciclica che condanna le ideologie del passato ed anche quelle nuove: dall’ecologismo al terzomondismo. Essa affronta però soprattutto una ideologia, l’ideologia della tecnica, alla quale è dedicato l’intero capitolo sesto. Dopo il crollo delle ideologie politiche si è consolidata l’ideologia della tecnica, tanto più pericolosa in quanto si alimenta di una cultura relativista, alimentandola a sua volta.

Il punto di vista centrale dell’enciclica è stato riassunto dal vescovo Crepaldi come la “prevalenza del ricevere sul fare”. E siamo così tornati al problema di fondo: senza Dio gli uomini sono frutto del caso e della necessità e nulla possono ricevere. Ma il mondo – il mercato come la comunità politica – ha bisogno di presupposti che esso stesso non si sa dare. La pretesa cristiana rimane sempre la stessa.
Stefano Fontana
 “Caritas in Veritate” (testo integrale in .pdf: clicca qui).

mercoledì 1 luglio 2009

DON GIUSSANI: AMICI MIEI,SIAMO IN UN'EPOCA DI UNA PERICOLOSITA' STERMINATA

Don Giussani contro il “gulag” della modernità

mercoledì 1 luglio 2009

«Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?». Forse nessuno più di Dostoevskij ne I fratelli Karamazov ha posto in modo sintetico e perentorio la sfida davanti alla quale si trova il cristianesimo nella modernità. Don Giussani ha avuto il coraggio di misurarsi con questa sfida storica, radicalizzandola, se possibile.

Infatti, scommette tutto sulla capacità della sua proposta educativa di generare un tipo di soggetto cristiano per cui «anche se andassero via tutti - tutti! -, chi ha questa dimensione di coscienza personale (che la fede genera) non può fare altro che ricominciare le cose da solo». E la stessa, identica, scommessa che lo stesso Gesù non ebbe paura di correre coi suoi. Che cosa avrebbe fatto Gesù nell`ipotetico caso che, davanti alla sfida: «Anche voi volete andarvene?», tutti i discepoli l`avessero abbandonato? Nessuno ha alcun dubbio: avrebbe ricominciato da solo.

Che cosa può consentire una tale capacità di ripresa, nelle attuali circostanze storiche? Possiamo incominciare a intravedere la risposta, se cerchiamo di immedesimarci con Gesù: che cosa l`avrebbe potuto fare ripartire da capo? È evidente che Lui non si sarebbe potuto appoggiare su una logica di gruppo, dal momento che, nella nostra ipotesi, era rimasto da solo. Per potere affrontare questa sfida occorre passare «da una logica di gruppo a una dimensione di coscienza personale».

Gesù sarebbe stato costretto a poggiare tutto sul contenuto della sua autocoscienza, della sua appartenenza al Padre. «Qual è il contenuto di questa dimensione di coscienza personale? La definizione dell`io è "appartenenza". L’appartenenza definisce ciò che sono; come l`essere figli è definito dall’appartenenza al padre e alla madre; e non è schiavitù, perché tale appartenenza non è estrinseca. Dire che l’io è rapporto con l’Infinito vuole dire che l’essenza dell’io, nel senso stretto della parola, è appartenenza a un Altro».

Così don Giussani indica che quello che potrebbe far ripartire da capo ciascuno è la stessa cosa per cui Gesù ha cominciato: la coscienza della sua appartenenza al Padre. Non è, dunque, una capacità nostra, una energia propria, una nostra bravura, ma è l’esito di una appartenenza.

In questo modo don Giussani non fa altro che identificare lo scopo ultimo dell’opera salvifica di Cristo. Infatti Lui è diventato uomo, è morto e risorto, perché mediante il dono dello Spirito potessimo vivere con la coscienza di figli, come “figli nel Figlio”. Prendere consapevolezza del nostro essere figli, cioè della nostra appartenenza al Padre, è il compito di ogni educazione cristiana, che ha la verifica della sua verità nella capacità dell’io - così educato - di ricominciare da capo, se tutti se ne andassero. Questo chiarisce la strada che ognuno di noi deve cercare di percorrere: che la vita diventi un cammino che ci renda sempre più certi e consapevoli della nostra appartenenza.

Ma acquistare questa consapevolezza è possibile soltanto se essa è verificata nelle circostanze della vita: «L’impatto con le circostanze, il rapporto con la realtà, non è nient’altro che l’avvenimento della vita come vocazione, in cui il “soggetto” è l’appartenenza a ciò che è accaduto - Cristo dentro la fragilità effimera della comunità - mentre il contenuto “oggettivo”, su cui questo soggetto è chiamato ad agire, è l’incontro con quel complesso di circostanze finalizzate che si chiamano appunto “vocazione” perché Dio non fa nulla per caso. Il complesso di circostanze sollecita il soggetto e questo agisce secondo l’origine totalizzante che ha dentro, secondo quel principio formale, quel principio determinante, che è stato l’incontro».

Raggiungere questa coscienza è una lotta che chiede a ciascuno di noi la disponibilità alla conversione, vale a dire a vivere secondo un`altra mentalità. La ragione è evidente. Questa posizione entra in contrasto con l`atteggiamento diffuso in questo preciso momento storico, in cui siamo chiamati a vivere la fede, e ci penetra molto più di quanto pensiamo: «L’uomo moderno ha creduto di evitare tutto dicendo: "L’uomo appartiene a se stesso", che è la più grande menzogna, perché prima non c`era, perciò va contro l`evidenza più chiara. “L’uomo appartiene a se stesso” vuole dire: l’uomo diventa possesso del potere, appartiene al potere, cioè appartiene agli uomini che lo determinano».

Le conseguenze di questa scelta adesso sono più documentabili di quando furono dette queste parole, a metà degli anni Ottanta: «Amici miei, siamo in un`epoca di una pericolosità sterminata. Siamo in un`epoca in cui le catene non sono portate ai piedi, ma alla motilità delle prime origini del nostro io e della nostra vita. L’Occidente sta, non lentamente, ma violentemente spingendo tutta la realtà umana, anche nostra, verso il "gulag" di un asservimento mentale e psicologico inaudito: la perdita dell`umano, di cui Teilhard de Chardin segnalava già il sintomo più impressionante, che è la perdita del gusto del vivere».

(Pubblicato su Avvenire 1 luglio 2009)

BOND PER 134,5 MILIARDI DI DOLLARI SEQUESTRATI A CHIASSO SONO VERAMENTE AUTENTICI ???


30/06/2009 10:34
ASIA-ITALIA

Tutto fa pensare che siano autentici i titoli americani sequestrati a Chiasso
Fonti ufficiali Usa continuano ad affermare che sono falsi, ma non si ha notizia che esperti americani li abbiano visionati di persona. Arrestato per un’altra vicenda il direttore di una radio statunitense secondo il quale si tratta di autentici bond, che il Giappone ha tentato di vendere in Svizzera, non fidandosi della capacità degli Stati Uniti di onorare il proprio debito pubblico. 


Milano (AsiaNews) - Sono passate quattro settimane circa dalla confisca di titoli americani a due giapponesi che viaggiavano su un treno per pendolari diretto a Chiasso, in Svizzera, e mentre su alcuni punti, molto pochi, si è fatta un po’ di chiarezza, su tutto il resto continua il silenzio delle autorità italiane.
Per di più la strana coincidenza temporale dell’arresto del direttore di una radio via internet che aveva delle rivelazioni sulla vicenda aumenta le già forti stranezze del caso. Una nuova rivalutazione del fatto che tra i titoli sequestrati vi fossero dei “ Kennedy Bond “ fa propendere per l’autenticità di quanto sequestrato dalla Guardia di Finanza (GdF) all’inizio di giugno.
I maggiori quotidiani anglosassoni avevano ignorato la vicenda per un paio di settimane. Ne hanno iniziato a dare notizia dopo il lancio dell’agenziaBloomberg del 18/6: un portavoce del Tesoro, Meyerhardt, aveva dichiarato che i titoli, sulla base dalle foto disponibili via internet, sono “chiaramente falsi”. Lo stesso giorno il Financial Times (FT) pubblicava un articolo il cui titolo attribuiva alla mafia italiana la responsabilità della (presunta) contraffazione, senza che nel testo stesso dell’articolo vi fosse alcuna possibile connessione alla vicenda di Chiasso. Nonostante ciò, la versione del FT è stata ripresa anche da altri perché “appropriata” (secondo un ben comune cliché sull’Italia e trattandosi di un sequestro avvenuto in Italia) ed in fondo “colorita”. Peccato solo che andasse a scapito della logica: che la mafia cercasse di passare inosservata cercando di piazzare titoli falsi per 134,5 miliardi di dollari e per di più si facesse “pizzicare” ad un passo da casa è non molto credibile.
La scorsa settimana, il 25/6, da ultimo anche il New York Times ha dato notizia della vicenda riportando le affermazioni di un portavoce della CIA, Darrin Blackford: i servizi segreti statunitensi avevano svolto delle verifiche, come richiesto dalla magistratura italiana, ed avevano appurato che si trattava di strumenti finanziari fittizi, mai emessi dal “governo USA”. Non è chiaro però come siano state svolte le verifiche di cui parla Blackford e se anch’esse siano state eseguite via internet. Dalle fonti ufficiali italiane non risulta, infatti, che la commissione di esperti americani, attesa in Italia, vi sia ancora giunta. Inoltre i titoli erano accompagnati da una documentazione bancaria recente ed in originale. Non è chiaro perciò come possano le autorità americane definire falsa anche tale documentazione non originata dalla Fed o dal Ministero del tesoro statunitense.
Ad affermare viceversa l’autenticità dei titoli, il 20/6 spuntava la Turner Radio Network (TRN), una stazione radio indipendente diffusa via internet. Con una clamorosa rivelazione la TRN in tale data affermava che i due giapponesi fermati a Ponte Chiasso dalla Guardia di Finanza (GdF) e poi rilasciati erano dipendenti del Ministero del tesoro giapponese. Anche adAsiaNews erano giunte segnalazioni simili: uno dei due giapponesi fermati a Chiasso e poi rilasciati sarebbe Tuneo Yamauchi, cognato di Toshiro Muto, fino a poco fa vice governatore della Banca del Giappone. Sul suo sito l’ideatore e conduttore della radio, Hal Turner, aveva anche asserito che le sue fonti gli avevano rivelato che le autorità italiane riterrebbero autentici titoli e che i due giapponesi sarebbero funzionari del ministero delle Finanze giapponese. Avrebbero dovuto portare i titoli in Svizzera perché il governo nipponico avrebbe perso la fiducia nella capacità statunitense di ripagare il debito pubblico. Le autorità finanziarie giapponesi avrebbero perciò cercato, prima di un’imminente catastrofe finanziaria, di vendere una quota dei titoli in proprio possesso attraverso canali paralleli, grazie all’anonimità che, a dire di Turner, sarebbe garantita dalle leggi svizzere.
AsiaNews non sa che credibilità attribuire alle rivelazioni di Turner, visto che anche in questa ipotesi è difficile supporre che $134,5 miliardi passino inosservati ovunque nel mondo. Sembrerebbe più logico supporre che i titoli, se autentici, fossero diretti alla Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, BRI, la banca centrale delle banche centrali in vista dell’emissione di titoli in una nuova valuta sovranazionale. Turner aveva ad ogni buon conto soggiunto che come prova delle sue rivelazioni avrebbe fornito i numeri di serie dei titoli sequestrati. Prima che potesse farlo è stato però incarcerato.
Hal Turner è colui che tempo fa per primo aveva dato notizia di un piano segreto per sostituire il dollaro, dopo una grave crisi finanziaria, con una moneta comune nordamericana, l’Amero. In una drammatica telefonata dall’interno del penitenziario in cui è rinchiuso in attesa del processo, diffusa via internet, Hal Turner afferma chiaramente che il suo arresto è di natura politica ed è in relazione ai titoli sequestrati a Chiasso, perché le autorità sarebbero terrorizzate dalle sue rivelazioni sull’autenticità dei titoli. Le accuse rivoltegli niente hanno a che vedere, è ovvio, con la vicenda e così, ad un quadro già molto intricato, si aggiunge perciò ulteriore complessità. Turner afferma di non essere stato lui personalmente ad aver formulato le minacce per le quali è stato incarcerato. Sebbene fosse evidentemente sua responsabilità vigilare, è anche vero che i blog di tutto il mondo e degli USA stessi sono pieni di minacce e provocazioni. La coincidenza temporale, l’insolita solerzia ed i particolari del suo arresto procurano quindi non pochi sospetti sulle reali motivazioni della polizia federale americana. Anzi, proprio questo arresto induce a pensare che i titoli confiscati dalla GdF siano davvero autentici.
Un ulteriore elemento a favore dell’autenticità dei titoli è dato da quelli che la GdF nel comunicato del 4 giugno aveva definito “ Bond Kennedy “ e di cui aveva fornito delle foto. Da esse è evidente che non si tratti di obbligazioni – cioè Bond - ma di Biglietti di Stato, Treasury Notes, perché si tratta di titoli immediatamente spendibili per un controvalore in merci o servizi e perché sono privi di cedola per gli interessi. Sul verso è riprodotta l’immagine del presidente americano e sul retro una navicella spaziale. Da fonti confidenziali, solitamente ben informate, AsiaNews aveva avuto notizia che tale tipo di cartamoneta era stata emessa meno di dieci anni fa (nel 1998), anche se non si poteva sapere se quelli sequestrati a Chiasso erano biglietti autentici. Il fatto però che l’emissione di tale Biglietto di Stato non fosse assolutamente di dominio pubblico tende a far escludere le ipotesi di contraffazione. È poco ragionevole supporre che un falsario riproduca un biglietto non comunemente in circolazione e di cui non vi sia pubblica conoscenza. Per tale ragione si può pertanto ritenere che anche i 124,5 miliardi di dollari suddivisi in 249 titoli da 500 milioni ciascuno siano autentici. Questi ultimi titoli, pur essendo denominati “Federal Reserve Notes” in realtà sono obbligazioni – bond – perché maturano interessi e sono redimibili a scadenza. In merito ad essi, rimane però un quesito insoluto. Non si capisce infatti per quale ragione, i titoli, da subito apparsi alla GdF indistinguibili dagli originali, abbiano tutte le cedole. Qualsiasi normale investitore, anche uno Stato, avrebbe incassato annualmente le cedole degli interessi, per non perdere potere d’acquisto.