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giovedì 12 novembre 2009

RIDATECI L'EUROPA CHE VOGLIAMO

PETIZIONE/ Ridateci l’Europa che vogliamo

Renato Farina

giovedì 12 novembre 2009

 

 

 

La petizione qui pubblicata va stampata, diffusa, propagandata, firmata, spedita.

Amata, soprattutto amata. C’è dentro il respiro dell’Europa così com’è stata pensata dai suoi fondatori: un respiro oggi soffocato da un’istanza europea che fa torto proprio alla sua origine, come un figlio che uccida la madre. Senza quella croce non ci sarebbero né diritti umani, né Europa.

 

La petizione allora rappresenta il modo più semplice, chiaro, forte per far valere le ragioni della nostra libera volontà. Qualche volta il popolo ha diritto di ribellarsi, fa parte anche questo dei diritti umani. E la petizione è il modo più civile, ma non si sottovaluti alla lunga questo primato dato alle burocrazie rispetto alla volontà della gente.

 

Quando ci si ribella persino alle Alte Corti? Accade quando si sente conculcata la propria anima da un potere sentito come estraneo. È il nostro caso. La citata decisione della Corte europea dei diritti umani, che ha multato l’Italia perché espone i crocifissi sulle pareti delle aule scolastiche, pretende di estirpare dal petto la fotografia di chi ci è caro, il più caro di tutti. E lo fa in nome della giustizia, come nel nome della giustizia quel Tale fu messo in croce.

Un’assurdità che pretende di avere il sigillo della legalità più alta.

 

Per questo Cristiana Muscardini e Mario Mauro, del Pdl, e David Sassoli, del Pd, lanciano la petizione popolare perché sia restituito al popolo il diritto di essere se stesso, di poter scegliere i simboli in cui riconosce se stesso e la propria storia. I due eurodeputati hanno preso questa iniziativa dal luogo decisivo dell’Europa unita, là dove l’ideale europeo di democrazia ha i suoi rappresentanti eletti dai cittadini dei 27 Paesi. Non c’è bisogno di disquisizioni sottili. La petizione ha una eloquenza che non va addolcita o interpretata.

 

 

Di certo i diritti umani non possono più essere esclusiva prerogativa di magistrati che ragionano sulla base della loro ideologia, dove la libertà è intesa come appartenente al singolo individuo al quale viene assegnato il diritto di veto sui simboli di una società. Sarà interessante quando ci sarà qualcuno che si sentirà offeso dalla croce che dà forma e consistenza alle bandiere di molti Paesi europei, come la Svezia, la Danimarca. Tra i 47 Paesi del Consiglio d’Europa, su cui ha giurisdizione la Corte di Strasburgo, c’è la Svizzera che ha la croce in cielo, sulle ali degli aerei. Che si fa, li si abbatte?

 

E solo una piccolissima minoranza può sentirsi in realtà offesa da quella visione, ma lo fa perché odia la nostra stessa essenza europea. “Europa, ricordati il tuo battesimo”, ammoniva Giovanni Paolo II. Per questo chiedeva nella Costituzione la citazione delle radici cristiane, non per vuoto nominalismo, ma per lealtà verso noi stessi, e come garanzia perché non ce le strappino con le tenaglie dei falsi diritti umani, che da quel simbolo tra l’altro non possono prescindere.

 

Per rispettare il senso di fastidio di chi odia il nostro stesso cuore, va spogliata la nostra vita dall’icona di Cristo, lavare le nostre pareti dalla memoria? Bisognerebbe allora per coerenza purificare il panorama dalle croci, ripulire i quadri dei musei, i libri di arte, strappare dal petto le medagliette dei bambini e dei vecchi. 

Questo fa capire che razza di mondo assurdo, senza fremiti, senza passione e amore, si figurino come culla dei diritti questi magistrati la cui bilancia deve avergli schiacciato il cuore e la testa quand’erano piccoli.

 

Intanto mandiamo la petizione. Facciamoci sentire.


 

CROCIFISSO/ Il testo della petizione popolare al presidente del Parlamento europeo

Redazione
giovedì 12 novembre 2009

PETIZIONE POPOLARE AL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO

Il crocifisso va rispettato

Signor Presidente,

la recente sentenza della Corte europea dei diritti umani turba, inquieta e disturba la nostra coscienza di cittadini europei. Se l’Europa, con una sentenza del potere giudiziario, elimina il crocifisso, immagine dell’uomo-Dio in cui credono milioni di cittadini, dalle scuole, il nostro essere europei riceve un colpo mortale. Non potremmo più riconoscerci in un’Europa che cancella per via giudiziaria i valori ed i simboli che hanno contribuito a fare dei nostri Paesi ciò che essi hanno rappresentato per la civiltà universale.

Non siamo contro i valori rappresentati da altre visioni del mondo, ma desideriamo che la nostra cultura e le nostre tradizioni vengano rispettate e tutelate. Non possiamo accettare, come cittadini europei, che l’Unione mortifichi ed annulli le differenze. La nostra “differenza” va convintamene salvaguardata e l’iconografia che tradizionalmente esprime i nostri valori va assolutamente rispettata.

Il Parlamento europeo, che è l’espressione della volontà popolare, deve garantire il rispetto della nostra tradizione, altrimenti l’Europa sarebbe percepita soltanto come una organizzazione mercantile, senza anima e vuota di senso. Non erano queste le ragioni e le finalità che hanno spinto i Padri fondatori a dar vita alle Comunità europee.

Essendo un diritto umano anche quello che pretende il rispetto di sé, della propria storia, della propria cultura e della propria tradizione, facciamo appello alla sua autorità perché questo nostro diritto non venga così volgarmente calpestato.

Primo Firmatario : Cristiana Muscardini

Mario Mauro

lunedì 9 novembre 2009

LA CORTE DI STRASBURGO,ALQUANTO MIOPE,HA COMPATTATO GLI ITALIANI CHE SI SCHIERANO A STRAGRANDE MAGGIORANZA PER IL CROCIFISSO

a proposito della sentenza sul crocifisso

Novembre 8th, 2009

Se veramente avessero voluto eliminare il crocifisso da tutti gli edifici pubblici, avrebbero dovuto essere minimamente intelligenti, i giudici della sedicente Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e non avrebbero mai dovuto formulare quella sentenza. Il crocifisso lo stavano togliendo piano piano da tutte le parti, senza polemiche, silenziosamente. Nell’indifferenza, o al massimo, ad essere buoni, nella inconsapevolezza dei più.

Con la sentenza, invece, hanno scatenato una specie di rivolta popolare, obbligando anche i più tiepidi a schierarsi per lasciarlo dov’è. E adesso, dopo la sentenza, tutti quelli che vanno in qualsiasi edificio pubblico – scuola, comune, tribunale, etc. – controllano se il crocifisso c’è, e dove non lo trovano ce lo rimettono.

Il giorno dopo la sentenza, per esempio, io ero in treno, e con il giornale aperto ho cominciato a parlare ad alta voce, protestando in modo abbastanza colorito sulla faccenda, con tutto il vagone dalla mia parte e nessuno che osasse dire il contrario. Annuivano tutti, aggiungendo epiteti non proprio gentili e tantomeno caritatevoli nei confronti dei giudici suddetti. Uno seduto dietro di me ha chiarito di essere totalmente d’accordo con me, pur non entrando in chiesa da tantissimo tempo.

Il popolo italiano si è sentito offeso, insomma, e si è compattato, perché l’impressione, netta, è stata che un microscopico gruppo di inutili giudici stranieri - l’unico italiano presente ha un cognome tanto noto quanto impronunciabile, straniero pure lui, insomma - che “lavora” per quella cosa inutile che è l’Europa – smettiamola con la retorica, per il 95% degli italiani il più grande vantaggio dell’Unione europea è che non bisogna più usare i travel check -  viene ad impicciarsi di quello che facciamo a casa nostra, e vuole imporci quel che pensa.  Ed è pure abbastanza inutile, anche se è corretto, spiegare che la sedicente Corte dei Diritti Umani non c’entra un bel niente col parlamento europeo. Per il cittadino quadratico medio basta la parola: Europa, roba lontana e, nella migliore delle ipotesi, inutile. Spesso, purtroppo, dannosa.

Non hanno fatto un gran servizio alla causa europea, insomma, i giudici della sedicente corte dei diritti umani. E neanche hanno risollevato la categoria dei giudici, che ultimamente non va per la maggiore.

E invece a noi che in quel Crocifisso crediamo, la sentenza che ce lo vuole togliere ha fatto un gran favore. Ci ha ricordato che averLo davanti non è scontato. E che i segni della Sua presenza non debbono ridursi ad arredi decorativi, oramai familiari. Di un arredo se ne può fare a meno. Del Suo segno, no.

Fonte:http://stranocristiano.it/2009/11/a-proposito-della-sentenza-sul-crocifisso/


giovedì 5 novembre 2009

CARD.CAMILLO RUINI INTERVISTATO DA CARLO MELATO DEL SUSSIDIARIO.NET

ESCLUSIVA/ Ruini: rifiutando Dio si dissolve l'uomo



INT.
Camillo Ruini giovedì 5 novembre 2009





In un momento storico nel quale la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo stabilisce che la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce "una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni" è utile fare un passo indietro e interrogarsi sull'idea di educazione che viene proposta dalla società, dai media e dalle istituzioni. 

Da anni la Chiesa richiama l’attenzione sull’"emergenza educativa", forse la sfida antropologica più impegnativa del nostro tempo, in cui la società sembra aver abdicato al suo compito «in nome di una sterile neutralità». A partire da questa preoccupazione è nato il Comitato per il Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana, presieduto dal cardinale Camillo Ruini, che ci ha gentilmente concesso un'ampia intervista su questi temi. 



Eminenza, il Progetto culturale della Cei nasce dalla preoccupazione di offrire un contributo per rispondere alle sfide più urgenti delle persone e della società in Italia. Quali sono oggi le esigenze e i pericoli che interrogano maggiormente i cristiani e la Chiesa?



Per il cristiano autentico è innanzitutto fondamentale il suo rapporto con Dio, che passa attraverso Gesù Cristo. Questa è la prima preoccupazione che deve avere, anche nel campo della cultura. La cultura contemporanea tende spesso, infatti, a lasciare Dio fuori dal proprio orizzonte e ad allontanare noi stessi da Lui. 



A partire da questa esigenza quali obiettivi si pone il Progetto culturale? 



Il Progetto Culturale vuole tenere aperto il rapporto dell’uomo con Dio. Un rapporto che ha due direzioni: da Dio all’uomo, innanzitutto, perché Dio per primo viene in cerca di noi e, in secondo luogo, dall’uomo a Dio. 

Con questo Progetto la Chiesa riafferma la validità della fede in quel Dio che si rivela, concetto purtroppo scomparso dall’orizzonte della cultura contemporanea, e, in secondo luogo, lascia spazio alla ricerca di Dio. L’uomo, interrogandosi, giunge di fronte alla questione di Dio e soltanto rispondendo ad essa in maniera positiva trova un compimento del suo percorso, anche intellettuale. 



Quali sono i principali campanelli d’allarme della cosiddetta “emergenza educativa” a cui lei sta dedicando da anni molta attenzione? Chi deve sentirsi chiamato a rispondere a questa emergenza?



Tutti devono sentirsi chiamati a rispondere: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, ma anche i politici, i giornalisti, il mondo dello sport, dello spettacolo e del tempo libero. Ogni persona ha responsabilità educative, compresi gli stessi ragazzi. 



Cosa intende per educazione? 



La formazione della persona, che avviene attraverso il dialogo tra due libertà, quella di colui che educa e quella di colui che viene educato. Anzi, più propriamente, di colui che cerca di educarsi attraverso l’uso positivo della sua intelligenza e della sua libera volontà, per indirizzare positivamente gli impulsi che sente dentro di sé. La responsabilità è quindi universale, anche se naturalmente ha diversi gradi di intensità.



Nel Rapporto dal titolo “La sfida educativa” si avverte la preoccupazione antropologica della Chiesa, che interviene quando avverte il pericolo che l’uomo perda se stesso. Mettere al centro l’uomo può costituire un terreno comune per un dialogo tra cattolici e laici? 


Il Concilio Vaticano II lo dice chiaramente: credenti e non credenti si pongono come domanda fondamentale chi sia l’uomo, anche se le risposte che danno sono diverse. In questa direzione si erano già mossi Paolo VI, Giovanni Paolo II e, oggi, Papa Benedetto XVI. La questione dell’uomo è centrale, come sempre, ma nel tempo lo sarà sempre di più. 



Per quale motivo? 



Perché oggi l’uomo in quanto tale rischia di essere ridotto al dato naturale, dissolvendo l’uomo come soggetto, che era stato al centro della cultura moderna e che, secondo la parola di Kant, deve essere considerato sempre come un fine e mai soltanto come un mezzo. Vorrei poi far notare che c’è un rapporto profondo tra la questione dell’uomo e la questione di Dio. 



Cosa intende? 



Giovanni Paolo II nella sua seconda enciclica, Dives in Misericordia, afferma che il teocentrismo e l’antropocentrismo non sono alternativi fra loro, come pensa spesso il pensiero non credente, ma sono intimamente congiunti, e congiunti in Cristo. Se l’uomo non fosse veramente soggetto sarebbe difficile pensare a un Dio personale e libero, allo stesso tempo se Dio non ci fosse sarebbe ben difficile non ridurre l’uomo al resto della natura. Da dove potrebbero venire infatti la sua intelligenza, la sua libertà, la sua irriducibilità in quanto soggetto, se non vi fosse una realtà originaria che abbia carattere personale? 



Con queste premesse la Chiesa rilancia il dialogo con tutti coloro che vorranno confrontarsi. Ritiene possibile la ripresa di un serio dibattito culturale, in un contesto di contrapposizione permanente e a tutti i livelli? 



Penso che questa ripresa sia già in atto. Naturalmente il dibattito culturale si articola in maniera diversa a seconda degli interlocutori. Non dobbiamo considerare i laici, nel senso di coloro che non si considerano in senso proprio appartenenti alla Chiesa, come un blocco monolitico e omogeneo. Come già sottolineava l’allora Cardinale Ratzinger, in un suo libro in dialogo con Marcello Pera, gli atteggiamenti dei laici nei confronti della fede sono molto diversi. Del resto anche coloro che si professano “credenti” non sempre hanno dentro di sé una profonda adesione di fede. 



A quali posizioni si riferisce? 



Ci sono laici, ad esempio, che intendono la loro laicità come rifiuto di ogni ruolo pubblico della Chiesa e spesso anche come rifiuto di qualsiasi possibilità dell’esistenza di Dio. 



Questo impedisce ogni possibilità di dialogo?

Con queste posizioni inevitabilmente il dialogo diventa un confronto critico, nel quale il terreno comune è difficile da trovare. 

In questi casi occorre sostenere le ragioni della fede con quella generosità, pazienza e carità, che sono richieste sempre al cristiano, ma anche con rigorosità e fermezza, secondo la prima Lettera di San Pietro: sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi, con dolcezza e rispetto.



Quale posizione realmente laica rende invece possibile il dialogo? 



Esistono moltissimi laici, in Italia e nel mondo, tra le persone comuni o gli intellettuali, che hanno una posizione aperta e con cui è facile trovare dei punti di incontro, soprattutto, come dicevamo prima, riguardo alla questione dell’uomo. 

Molti di questi laici sono preoccupati di conservare, difendere e rilanciare il carattere umanistico della nostra civiltà, la centralità dell’uomo e la sua non riducibilità a “semplice particella della natura”, per usare un’espressione del Concilio Vaticano II, nella 
Gaudium et Spes. 



A volte però il dibattito che lei auspica sembra difficile da realizzare. Si assiste spesso al muro contro muro e gli interventi della Chiesa, soprattutto sui temi etici, vengono bollati di intolleranza, ingerenza e integralismo. Perché avviene questo? 



A causa di un concetto troppo stretto di laicità, che comporta l’esclusione della trascendenza, di ogni apertura verso Dio, ma anche il rifiuto di una morale oggettiva, fondata sulla natura stessa dell’uomo. 

La Chiesa interviene su questioni che riguardano l’ordine politico e legislativo, quando questo ordine tocca problematiche che hanno innanzitutto una dimensione di etica pubblica, circostanza divenuta molto più frequente negli ultimi decenni, non per volontà della Chiesa.



Quali sono allora le cause?



Da una parte gli sviluppi scientifici che riguardano l’uomo, le questioni bioetiche, dall’altra i cambiamenti avvenuti nel costume, per cui ciò che per secoli, anche da parte dei laici, era accettato sebbene avesse storicamente una matrice cristiana è stato sistematicamente negato e avversato. Se non si accetta una morale oggettiva, fondata sulla natura dell’uomo, non si accetta nemmeno che la Chiesa intervenga. Se invece si riconosce che vi sono delle leggi non scritte che stanno prima del nostro libero arbitrio, viene riconosciuto anche il diritto-dovere della Chiesa di ricordare all’uomo queste verità. 



A proposito degli sviluppi scientifici, poco tempo fa Lei si è pronunciato sul dibattito tra fede e scienza, destinato a diventare sempre più attuale. Può ricordare il motivo della sua preoccupazione?



La fede non è affatto ostile alla scienza. L’intelligenza è il grande dono che Dio ha fatto all’uomo, e la scienza è un suo prodotto insigne. La scienza moderna e contemporanea, da Galileo in poi, è una nuova tappa del percorso intellettuale dell’umanità. Ha un grande valore e non deve avere limiti. Tutti noi vogliamo che cresca. Se da un lato però non si devono mettere limiti al conoscere, dall’altro bisogna accettarne sull’uso delle capacità tecnologiche, di cui ci ritroviamo a poter usufruire. 



Quale criterio permette di stabilire i limiti appropriati?
  
Quando l’applicazione tecnologica della scienza contemporanea riguarda la vita stessa dell’uomo, il criterio in base al quale discernere sul suo impiego è quello dell’uomo come fine e non come strumento. Ciascuna persona umana è fine in sé e non può mai essere usata come mezzo per ottenere altri risultati. 



Quali conseguenze porta l’uso della persona come mezzo? Questo sta già accadendo? 



In base a questo errore di fondo si stanno distruggendo embrioni per curare malattie, una pratica che tra l’altro la scienza stessa ha scoperto di poter evitare attraverso la riprogrammazione delle cellule staminali adulte, che diventano così pluripotenti. Lo stesso errore si commette sul tema del “fine vita”. Non si tratta di ricadere nell’accanimento terapeutico, ma semplicemente di rispettare la vita umana senza strumentalizzarla per altri scopi.



Affrontando questi temi non può non tornare alla mente il Caso di Eluana Englaro, la contrapposizione di quei giorni e la tragica conclusione della vicenda. Cosa ha significato questo fatto e quali conseguenze ha avuto? 



Al di là delle questioni sul testamento biologico, nel caso Englaro ci fu un aspetto molto grave: Eluana non aveva lasciato un tale testamento, ma questo è stato presupposto. Un fatto di una gravità enorme. L’esperienza poi insegna che bisognerebbe andare cauti sull’idea di testamento biologico. 



A quale esperienza si riferisce? 



L’uomo, quando si trova nel pericolo, normalmente vuole continuare a vivere e accetta anche condizioni inferiori e diverse, che probabilmente da sano non avrebbe pensato di poter accettare. In ogni età e condizione le nostre attese e pretese si modellano anzitutto sulla realtà, ma il desiderio fondamentale di ogni esistente rimane quello di continuare a vivere. Vorrei però sottolineare il fatto che non sono in gioco soltanto l’origine e la fine della vita, ma l’uomo in quanto tale. 



Quali pericoli intravede su questa strada? 



Fra non molti anni le biotecnologie saranno capaci di modificare profondamente il soggetto umano: c’è chi tende a una specie di superuomo, illudendosi così di fare il bene dell’umanità. È importante che le biotecnologie vengano usate per curare il soggetto umano, non per trasformarlo o per distruggerlo, secondo un disegno prometeico che si rivolgerebbe contro l’uomo stesso. 



Quale responsabilità hanno i cattolici impegnati in politica riguardo a questi temi?Ultimamente in alcune formazioni sembrano non avere il diritto a una posizione dettata dalla coscienza su temi sensibili, dove prevale la linea di partito. 



Penso che l’indicazione data da Giovanni Paolo II al Convegno Ecclesiale di Palermo del 1995 sia ancora pienamente valida. I cattolici devono essere coerenti con i valori umani essenziali anche nel campo legislativo e politico. Nella misura in cui questa coerenza è esercitabile nell’una o nell’altra formazione politica, i cattolici possono svolgervi il loro compito. Se invece constatano che in una determinata formazione non ci sia più spazio, allora per coerenza dovrebbero rinunciare a quella collocazione politica. 



Seguendo il suo ragionamento, in ogni circostanza la Chiesa rimette l’uomo al centro, questo vale anche sulle questioni economiche, come la crisi che stiamo attraversando. Anche questa crisi ha cause antropologiche? 



Certamente. Come la crisi del comunismo fu una crisi economica che aveva però profonde cause antropologiche, una visione riduttiva dell’uomo, come scriveva Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus, così anche la crisi del sistema economico attuale ha come causa una visione soltanto economicistica. Il fattore umano in quanto tale, e la sua centralità non sono stati tenuti abbastanza in conto, così come la centralità dell’etica. L’etica non è qualcosa di aggiunto dall’esterno, ma un’esigenza interna alla stessa economia. Se viene meno, alla lunga non possono che arrivare risultati negativi. Questo è anche il senso profondo dell’Enciclica Caritas in veritate. 



Da ultimo qual è il richiamo della Chiesa invece davanti alla questione morale tornata all’ordine del giorno dopo i numerosi scandali che vedono protagonista la politica? 



Il richiamo della Chiesa è ben noto, dai 10 comandamenti in poi. La Chiesa però non deve lasciarsi coinvolgere nell’uso strumentale di queste questioni, come spesso accade nel dibattito politico.



(Carlo Melato)

 

MARIO MAURO : UNA SENTENZA DEGNA DEL PEGGIOR REGIME TOTALITARIO

Una sentenza contro l’Europa



mercoledì 4 novembre 2009


Cari Lettori, nel mese di Ottobre abbiamo tagliato un altro traguardo importante: abbiamo superato i 2.100.000 lettori unici. Vi ringraziamo per averci seguito così numerosi. La Redazione


La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha depositato ieri una sentenza con la quale condanna l’Italia per le norme che prevedono l’esposizione obbligatoria nelle aule scolastiche del Crocifisso.
Mi preme sottolineare che la Corte dei diritti dell'Uomo non è un organismo dell'Unione Europea, infatti nel collegio dei sette giudici che ha emesso la sentenza sono presenti anche un giudice turco e un giudice serbo. Sui giornali e telegiornali appariranno titoli ingannevoli che incolperanno o esalteranno l' Europa che "rifiuta il Crocifisso nelle aule di scuola".
Questa sentenza è il frutto del lavoro di una Corte che, sotto l'egida del Consiglio d'Europa, rischia di travisare il senso stesso del progetto europeo.

La decisione della Corte di Strasburgo costituisce un classico esempio di impostazione laicista volta a rinchiudere la religione, in particolare quella cristiana, in un vero ghetto. In questa prospettiva si inquadrano le motivazioni della sentenza, sotto riportate, secondo la quale l’esposizione di ogni simbolo religioso lede il diritto di scelta dei genitori su come educare i figli, quello dei minori di credere o meno, e lede anche il “pluralismo educativo”.

«La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e una violazione alla libertà di religione degli alunni».

E ancora: «La Corte non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana».

Il giudizio della Corte risulta illogico e quanto meno appare incerto nel suo più profondo contenuto. Se non si è in grado di capire in che modo l'esposizione del Crocifisso possa servire al "pluralismo educativo", non si comprende come la Corte possa decidere tramite sentenza che lo Stato Italiano abbia violato lo stesso "pluralismo educativo". 

Il Crocifisso rappresenta un simbolo religioso, culturale e identitario e proprio per questo non ha mai assunto una valenza coercitiva, come invece sembra ammettere la Corte nella sua sentenza. Come hanno testimoniato le precedenti decisioni prese dai giudici in Italia, il Crocifisso rappresenta un elemento di coesione in una società che non può prescindere dalla sua tradizione cristiana.

Se togliessimo il crocifisso dalle scuole, in quanto luoghi pubblici, dovremmo togliere tutte le croci e le magnifiche opere sacre che sono presenti nelle nostre strade e nelle nostre piazze, il che sarebbe senza dubbio assurdo.

La sentenza disconosce il ruolo della religione, in particolare quella cristiana, nella costruzione dello spazio pubblico e promuove un indifferentismo religioso che è in profonda contraddizione con la storia, la cultura e il diritto del popolo italiano.

A questo proposito, mi limito a richiamare il fatto che la Costituzione italiana rifiuta l’impostazione laicista, di matrice illuministica, per la quale il fatto religioso ha una natura meramente individuale ed è destinato a restare nell’ambito della sfera esclusivamente privata. La Costituzione valorizza, invece, il ruolo della religione e delle singole Confessioni religiose, come dimostrano gli articoli 7, 8, 19 e 20.

La disciplina costituzionale, dunque, pur assicurando a tutti la libertà religiosa, riconosce le singole confessioni come si trovano nella realtà sociale. Dunque, la Costituzione, come si evince chiaramente dal testo, riconosce alle confessioni religiose eguale libertà, ma non eguaglianza di trattamento.

È singolare che la Corte, anziché richiamare questo assetto costituzionale, faccia invece riferimento ad alcune posizioni laiciste della giurisprudenza della Corte costituzionale.

È forse un caso che nel collegio della Corte di Strasburgo sieda un giudice italiano e che tale giudice sia il fratello di un ex presidente della Corte costituzionale che tanta parte ha avuto - vedi le sentenze sul giuramento - e ha - vedi gli articoli sulla Chiesa cattolica - nell’affermare una concezione illuminista e laicista del ruolo della religione nella vita pubblica?

Un'autentica integrazione civile non può prescindere da una proposta educativa che abbia il coraggio e l'ambizione di proporre a tutti gli studenti i punti di riferimento che fondano la nostra società. Siamo di fronte a una sentenza che è il manifesto politico di chi vuole il declino definitivo di un progetto che ci ha regalato più di 50 anni di pace e benessere, in nome di un’ideologia che ha come obiettivo quello di privare un popolo della propria identità e di consegnare tutti i cittadini europei alla dittatura del nulla.

Auspico che tutte le forze politiche italiane ed europee sostengano senza esitazioni il ricorso che verrà presentato dal Governo italiano contro una sentenza degna del peggior regime totalitario.