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martedì 30 giugno 2009

TAV E SPARTIZIONE DELLA COSA PUBBLICA SECONDO IL GIUDICE IMPOSIMATO

 SINTETICHE DICHIARAZIONI SULLA TAV DI  SERGIO CUSANI

QUANTE VOLTE,OGNI GIORNO, CRISTO VIENE NUOVAMENTE CROCEFISSO DA TUTTI NOI CON LE NOSTRE AZIONI ???


venerdì 12 giugno 2009

170 MILIONI HANNO DETTO DI NO ALL'EUROPA



n. 141 del 2009-06-12 pagina 1
Quei 170 milioni di no all’Europa

di Ida Magli
A giudicare dalla faccia compunta e addolorata del conduttore di «Ballarò», mentre faceva rilevare ai suoi stupiti ascoltatori che Berlusconi «aveva conservato per due giorni il silenzio sui risultati delle elezioni», se ne sarebbe dovuto dedurre che nessuna Waterloo fosse mai stata più grave di questa. Se ogni tanto qualcuno dei presenti non avesse fatto lo sforzo di risalire alla concretezza dei numeri, ci si sarebbe facilmente convinti che lo scontro elettorale fosse finito con la sconfitta del Pdl. Ma non si tratta soltanto di «Ballarò». Tutta la sinistra ha impostato la sua battaglia del dopo-elezioni sullo stesso principio con il quale ha condotto quella del «prima»: parlare sempre e soltanto di Berlusconi; «creare», parlandone, i problemi di Berlusconi, le amarezze di Berlusconi, le sconfitte di Berlusconi; far nascere, infine, nella mente e nell’anima degli ignari cittadini, la convinzione che si nascondano, nell’oscuro orizzonte nel quale si muovono i passi dell'uomo Berlusconi, i fatali precipizi di una nemesi inevitabile. Purtroppo i rappresentanti del Pdl, così come le persone più vicine a Berlusconi, sono caduti, e continuano a cadere, nella ben nota trappola del «la poveretta rispose». La regola, infatti, è che non si deve mai rispondere. Ma la cosa più sorprendente di questa situazione, è che vi si siano lasciate irretire persone espertissime dei mezzi di comunicazione di massa quali quelle che si muovono intorno a Berlusconi; senza contare lo sconcerto anche dei più semplici cittadini, ai quali era sufficiente il buon senso per comprendere come fosse un errore seguire la sinistra nel suo modo di falsare la realtà.

Un altro errore, però, è stato fatto da tutti, a destra come a sinistra: mettere a confronto i risultati delle elezioni europee con quelli delle ultime politiche. Un errore clamoroso, ma che nasce dallo scarsissimo valore che politici e giornalisti danno all'Unione europea. Ne sono così convinti che attribuiscono lo stesso disinteresse agli elettori, non riuscendo perciò a fare un’analisi obiettiva dei risultati delle elezioni. È invece soltanto se si mette in rilievo come motivazione più importante il dato «Unione Europea» che si possono comprendere i comportamenti dell’elettorato.

Come è noto ha votato in media fra tutti i 27 paesi poco più del 43% degli aventi diritto. In democrazia, una vera e propria disfatta. Ma qui c’è molto di più di una disfatta democratica. Si tratta di oltre 170 milioni di cittadini, appartenenti a nazioni diverse, a lingue diverse, a idee, religioni, costumi diversi che, pure non essendosi messi d’accordo fra loro e non avendo avuto nessuna comunicazione e nessun ordine dall’alto, hanno preso una identica decisione e si sono comportati nello stesso modo. (Sarebbe sufficiente, a far temere per il futuro democratico dell’Europa, l’irresponsabilità dei governanti, i quali si apprestano, senza essersi fermati neanche un attimo a riflettervi, a governare 170 milioni di persone di cui non hanno il consenso). È questa la cosa più importante: 170 milioni di persone hanno detto «no» all’Europa, utilizzando l’unica possibilità loro concessa: non votare. Non è stato permesso, infatti, ai popoli di esprimere nessun parere negativo sul progetto di unificazione degli Stati d’Europa, per cui la grande massa dei contrari o non vota oppure si riunisce sotto le ali dei partiti «euroscettici», i quali paradossalmente partecipano al Parlamento europeo allo scopo di eliminarlo, o almeno di limitarne al massimo i danni, come i Verdi dei paesi scandinavi, le destre e i nazionalisti presenti in Francia, in Austria, in Polonia e in diversi altri Stati dell’Est post comunista.

Nessun commentatore però ha voluto mettere in luce il fatto che uno dei principali motivi della crescita di questi partiti in tutta Europa si trova proprio nell'aumento dell’ostilità nei confronti del governo sovrannazionale. Neanche Berlusconi, entusiasta dell’Europa, ha capito che i voti che gli sono mancati sono quelli non degli astensionisti, come è stato detto, ma degli antieuropeisti astensionisti. Perfino davanti al tracollo dei laburisti in Gran Bretagna non si è messo in luce il motivo più grave, ossia il tradimento della fiducia dei cittadini compiuto prima da Blair e poi da Brown, i quali avevano ambedue promesso il referendum per l’Europa. Anzi, il governo Brown, del tutto incurante della promessa, ha ratificato il Trattato di Lisbona con la stessa silenziosa arroganza di tutti gli altri governi. Il fatto è che nell'ambito dell'organizzazione europea si sono accumulate in questi ultimi anni, davanti agli occhi dei cittadini impotenti e ridotti al ruolo esclusivo di spettatori, decisioni gravissime come l’eliminazione dei confini fra gli Stati, l’incredibile allargamento dell’Unione a molti paesi dell'Est cui nessuno in principio aveva mai pensato, l’adozione di una Costituzione-Trattato quasi del tutto sconosciuta a coloro che avranno il dovere di obbedirle e di metterla in atto. Si è assistito inoltre alla lunga inerzia della Banca centrale, fintamente ignara dei crimini finanziari perpetrati in tutto il mondo e incapace di una efficace reazione di difesa. È stato svelato, infine, con il continuo invito a favorire l’immigrazione, a superare le differenze fra le nazioni e a puntare in assoluto sul libero scambio delle merci e dei capitali, il vero scopo dell'unificazione europea: fare dell’Europa la copia esatta dell’America o, per meglio dire, un tutt’uno con l'America. Obama è talmente sicuro di questa sostanziale unicità che non ha esitato a presentarsi nei due Stati leader dell’Ue proprio nei giorni delle elezioni politiche, cosa che nessun altro capo di Stato si sarebbe permesso di fare. In Germania, poi, come in Francia, Obama ha ricordato, senza riguardi per nessuno, che sono stati gli americani a liberare l’Europa; e che l’America si aspetta la rapida ammissione della Turchia nell’Unione al fine di saldare i confini europei con quelli della Nato.

L’aspetto più imbarazzante, però, di questo disinteresse per l’Ue da parte dei politici, è lo svuotamento del ruolo delle sinistre. Una cosa è certa: nessun popolo, così come nessun individuo, può volere la propria morte. Dunque la sinistra avrebbe una sola possibilità di stare dalla parte del popolo: combattere contro l’Unione europea. Siccome, viceversa, ha sposato la causa dell’Ue, si ritrova a non poter combattere per nessuna delle cose che avrebbe dovuto combattere: il liberalismo capitalistico, il governo dell’alta finanza e dei banchieri, la tecnologizzazione che le sottrae gli operai... Si ripresenta, perciò, sotto un altro aspetto, il problema dello svuotamento della democrazia che già incombe con i 170 milioni di non elettori. La sinistra deve mettersi a pensare in fretta sul da farsi. Siamo tutti con lei.

giovedì 11 giugno 2009

RISOLVERE LA CRISI SENZA AFFAMARE I POPOLI.... POTREBBE ESSERE POSSIBILE

Cari amici,
prendetevi un po'di tempo e leggete con attenzione e meditate anche su queste brevi frasi di personaggi famosi  molto significative.
Buona giornata a tutti.
Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione.

(Henry Ford)

“Pochi comprenderanno questo sistema, coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi” [Rothschild, 1863]


RISOLVERE IN MODO SEMPLICE E FACILE L'ODIERNA CRISI ECONOMICA
Data: Domenica, 07 giugno @ 19:00:00 CDT

Argomento: Economia



IN AMERICA E NEL MONDO



STEPHEN LENDMAN

Global Research



Spesso le idee migliori sono le più semplici e se questo si applica alla crisi economica globale la soluzione è più semplice di quanto non si immagini. Il nodo Gordiano, in realtà, è avere la volontà politica di risolverla. Persino nodi cosi grandi possono essere sciolti con un colpo deciso. Come nell'epica soluzione Alessandrina quando, con un colpo di spada, Alessandro Magno tagliò il nodo a metà. Applicare tale metafora alla crisi economica globale significa affrontarla con politiche efficaci e non con quelle che stanno distruggendo sia gli Stati Uniti che altri paesi del mondo. 

L'economista Michael Hudson spiega che " è stata la leva del debito a causare l'attuale collasso globale" e continuare ad accatastare debito su debito ("Il Piano di Risanamento verso l'Inferno", come lo chiama lui) non fa che peggiorare le cose, specialmente per il modo in cui ciò viene implementato:



-- negli Stati Uniti dal cartello di banche private che fanno capo alla Federal Reserve e che salva e arricchisce i propri membri, il maggiore dei quali si chiama Wall Street;



-- dal dipartimento dell'Economia che ha fatto esattamente la stessa cosa. Ha lasciato che il debito pubblico assumesse dimensioni stratosferiche confermando quanto affermato da Adam Smith in "The Wealth of Nations" [La Ricchezza delle Nazioni, n.d.t.] ovvero che nessun paese ha mai pagato i suoi debiti, e certamente non quelli di stati controllati da un cartello di banche private. Ed è proprio qui che risiede il problema altrimenti facilmente risolvibile con un colpo deciso, che non può avvenire se non sotto pesante pressione da parte dell'opinione pubblica. 

Questa è la ragione per cui questo articolo è stato da me scritto e ispirato dal lavoro di altri. Mi riferisco all'economista Michael Hudson, a Michel Chossudovsky editore di Global Research, nonché alla famosa autrice e scrittrice Ellen Brown per il suo straordinario libro "Web of Debt" [La Ragnatela del Debito, n.d.t.] e per la sua trattazione in "Cash-Starved States Need to Play the Banking Game" [Gli Stati Affamati di Contante Devono Partecipare al Gioco Bancario, n.d.t.]. Ricordo infine lo stato del Nord Dakota.

Effettuata a livello statale o federale può non solo salvare l'economia dalle pratiche predatorie di Wall Street ma eliminare il 'debt overhang' [situazione nella quale il debito eccede la capacita di essere ripagato, n.d.t.], ridurre il debito, finanziare prosperità sostenibile e priva di processi inflattivi. Non è sogno, ma è realtà. E' gia accaduto e può accadere ancora. 



In breve, secondo Hudson: "essere asserviti al debito esclude la spesa per beni e servizi e impedisce il rilancio economico. La deflazione debitoria precipita l'economia e concentra ulteriormente la ricchezza nelle mani del 10% più ricco della popolazione (in particolare quell'1% più in alto) che opera nel settore finanziario".



Successivamente l'economia collassa e mentre Wall Street ne beneficia supportata da amministratori pubblici corrotti al servizio della parassitaria Federal Reserve, l'America si trasforma in ciò che Hudson definisce una "economia di zombie" e una repubblica delle banane.

Quello che Funziona in Nord Dakota, Può Funzionare in Altri Stati, in America, Dovunque

Lo scorso 2 marzo, Brown ha illustrato il "gioco bancario" del Nord Dakota chiedendo, "Cosa ha lo Stato del Nord Dakota che gli altri stati non possiedono…la sua banca" ed è qui la sua unicità e la sua forza. In un momento in cui solo quattro dei 50 stati sono solventi, il Nord Dakota sta accantonando un surplus e secondo il Centro per le Politiche Monetarie, questa tendenza continuerà anche negli anni fiscali 2009 e 2010.

Nel gennaio 2009 durante lo State of the State address [discorso annuale del governatore a camere riunite e riassuntivo delle condizioni economiche dello stato, n.d.t.] il governatore John Hoeven ha spiegato, "Dal 2000, lo Stato del Nord Dakota ha aumentato i posti di lavoro e ora stiamo incrementando anche la popolazione. Il reddito individuale è cresciuto del 43%, quasi il 15% più velocemente della media nazionale. Il reddito pro-capite è di fatto salito di ben 12 posti, dal 38mo al 26mo tra tutti gli stati (tutto questo nonostante una popolazione di soli 641,481 abitanti, secondo i dati dello US Census Bureau 2008 [Istituto di Statistica Nazionale, n.d.t.]).

I salari sono cresciuti del 34%, comparato al solo 26% del resto del paese. Dal 2000 il prodotto statale lordo è aumentato di quasi $10mld., dai $17.7mld. a oltre $27mld. dello scorso anno, un aumento del 56%, e anche questo il più veloce a livello nazionale. Le nostre esportazioni verso l'estero sono cresciute del 225% dal 2000 superando per la prima volta nella storia del Nord Dakota il tetto dei $2mld.

A questo si aggiunge che crescita economica e diversificazione, unite alla buona gestione finanziaria, hanno consentito di creare un surplus e una robusta riserva finanziaria per il futuro....la situazione del nostro stato è solida (nel momento in cui) l'economia nazionale è afflitta da un ciclo negativo...."

Il 23 maggio, il Bismark Tribune e altri giornali locali riportarono la notizia che il tasso di disoccupazione in Nord Dakota era pari al 4%, il più basso a livello nazionale. E' palese che il Nord Dakota è un passo avanti rispetto agli altri stati e tale fatto dovrebbe essere notato dagli altri governatori e dagli amministratori, sia a livello locale che a Washington. Quel che funziona in Nord Dakota può infatti funzionare dovunque.



La Banca del Nord Dakota è l'unica banca statale negli Stati Uniti. Secondo Brown che cita il consulente amministrativo Charles Fleetham in un articolo pubblicato nel suo stato, il Michigan, nel febbraio 2009, la banca fu fondata nel 1919 "per liberare gli agricoltori e le piccole imprese dal giogo del banchieri di altri stati e dalle imprese ferroviarie". 



Brown continua, "Tre cariche elettive controllano e gestiscono la banca: il Governatore, il Procuratore Generale, e il Commissario all'Agricoltura. La missione della banca è fornire servizi finanziari per promuovere l'agricoltura, il commercio, e l'industria (e operare) come 'banca delle banche' collaborando con le banche private nel prestito di denaro agli agricoltori, alle imprese edilizie, alle scuole e alle piccole aziende". A questi si aggiungano studenti e privati cittadini dello stato, a tutti ad un tasso di interesse accessibile.



La chiave per comprendere come la Banca del Nord Dakota possa mantenersi solvente mentre cosi tante altre istituzioni nazionali sono sull'orlo della bancarotta finanziaria, viene così spiegata da Brown, "Alle banche certificate è permesso ciò che nessun altro può fare, ovvero creare 'credito' tramite voci contabili nei propri registri". Attraverso la pratica del "fractional reserve banking" [riserva bancaria frazionaria, n.d.t.] il denaro si trasforma in credito e moltiplica magicamente ogni dollaro depositato per 10 in forma di prestiti o di fondi generati dal computer. E' denaro letteralmente inventato affinché la banca possa ri-prestarlo numerose volte. E maggiore è il deposito, maggiore sarà l'ammontare del prestito. 



Come ha scritto Brown il 29 dicembre nell'articolo, "Prestare da Peter per Pagare Paul: Lo schema Ponzi di Wall Street ovvero la Riserva Bancaria Frazionaria", la questione infatti è se il credito debba essere privato o pubblico. "Sin dall'epoca delle 13 colonie, il credito prontamente disponibile ha fatto degli Stati Uniti il paese delle opportunità". Brown continua, "Ciò che ha trasformato tale sistema di credito nello schema Ponzi, il quale necessita costantemente di iniezioni di denaro pubblico, è che il potere di credito è stato assegnato alle banche private. Tali banche necessitano di più denaro di quanto ne abbiano in realtà creato" in quanto impongono interessi elevati al fine di ottenere un profitto. 
Differentemente quando è il governo a prestare il denaro, il profitto non è un fattore cruciale e quindi il tasso di interesse può essere mantenuto basso e accessibile alle imprese, agli agricoltori, ai privati, o addirittura a tasso zero quando prestato per necessità proprie dell'amministrazione pubblica.



Brown e altri hanno spiegato che il "la riserva bancaria frazionaria" risale al 17mo secolo. All'epoca era prevalentemente in monete d'oro e d'argento, ma i primi banchieri compresero abbastanza velocemente che era più facile emettere una ricevuta di deposito (chiamata nota) come mezzo di pagamento. In seguito iniziarono a creare denaro tramite il prestito con promessa di pagamento. In questo modo si poteva prestare molto più denaro di quante in realtà fossero le monete in deposito. E questo è esattamente l'odierno concetto di riserva bancaria. 



Ciò che iniziò a quel tempo come nota, 
oggi sono voci contabili atte a creare denaro dal nulla. Questo vale sia per i governi che per le banche private con la sola eccezione delle istituzioni pubbliche, le quali hanno uno statuto interamente differente. Esse infatti non hanno il dovere di fare profitti; non hanno obblighi nei confronti di Wall Street o degli azionisti; e infine l'unica cosa per loro importante è che il rischio sul debito dello stato si mantenga basso. Fino a oggi, in più di 230 anni, nessuno stato ha mai dichiarato fallimento e, anche quando malamente governato, ha mai omesso di pagare i propri debiti.



Tali istituzioni possono inoltre emettere prestiti a se stesse e ad altre municipalità a tasso d'interesse zero, mentre alle imprese, agli agricoltori, e ai privati possono offrire un tasso basso e accessibile che garantisca la crescita interna e una prosperità sostenibile.. In un tale sistema, più il prestito si rinnova, più denaro privo di debito si crea con il risultato di minimizzare il rischio di processi inflattivi.



Fintanto che il denaro produce beni e servizi l'inflazione è sotto controllo in quanto sono i disequilibri a causare i problemi "ogni qualvolta la domanda (denaro) eccede l'offerta (beni e servizi)."
 La stabilità del prezzo è assicurata quando sia la domanda che l'offerta crescono proporzionalmente come avveniva nelle 13 colonie e come illustrato da Brown in "Web of Debt" durante l'amministrazione Lincoln all'epoca della Guerra Civile.



Nel 1691 lo stato del Massachusetts fu "il primo governo locale a emettere denaro cartaceo...." chiamato 'scrip' [banconote emesse a titolo temporaneo o di emergenza, n.d.t.]. Le altre colonie si accodarono tra cui la Pennsylvania che emise nuovo denaro privo di inflazione o tassazione fiscale. Per i successivi 25 anni lo stato non riscosse tasse, con il risultato che la popolazione aumentò numericamente e il commercio prosperò. Il "segreto infatti era nel non emettere troppo (credito) e nel restituire il denaro al governo in forma di capitale e interesse su prestiti emessi dal governo stesso". In altre parole mantenendo un sistema proporzionalmente equilibrato al fine di non dover pagare interessi a finanziatori predatori privati ovvero quel sistema che oggi sta distruggendo gli Stati Uniti e altre economie controllate dalle banche centrali private.



Nonostante le minacce di morte prima della sua inaugurazione e a dispetto dell'accusa di "tradimento, insurrezione, bancarotta nazionale" durante il suo primo anno di presidenza, Lincoln applicò il medesimo criterio. E considerati i rischi da lui corsi quel che riuscì a realizzare è davvero ammirevole: la creazione del più grande esercito del mondo; la sconfitta del Sud; la trasformazione del paese nella "maggiore potenza industriale" del mondo; il decollo dell'industria dell'acciaio, la realizzazione del sistema ferroviario continentale, e una nuova era di macchine agricole e attrezzature economiche; l'istruzione superiore gratuita; attraverso l'Homestead Act lo sviluppo del territorio e la garanzia del diritto di proprietà ai coloni; il supporto governativo a tutte le branche della scienza; la standardizzazione dei metodi di produzione di massa; e l'aumento della produttività lavorativa del 50/75%. Tutto questo fu realizzato nonostante "un dipartimento dell'Economia al fallimento e un Congresso che non percepiva salario".



Lincoln realizzò tutto questo nazionalizzando il sistema bancario affinché fosse il governo a stampare, a interesse zero, il proprio denaro così da non dover ricorrere ai prestiti a tasso d'usura dal 24 - 36% applicati dai banchieri privati. "L'economia registrò immediatamente una crescita della spesa pubblica e del credito per la produzione pari al 600%" risultato questo reso possibile con denaro emesso dal governo centrale. Fu finanziata la guerra, pagate le truppe, e rilanciata la crescita nazionale una volta liberato il paese da quel sistema che oggi ne devasta l'economia garantendo prosperità ai parassiti delle banche private. 



In "Web of Debt" Brown spiega che nei primi anni del ventesimo secolo anche l'Australia operava in un sistema bancario pubblico dove la Commonwealth Bank creava denaro, emetteva prestiti, e raccoglieva interessi ad una frazione del tasso applicato dalle banche private. Il sistema funzionava al punto di garantire al paese, a quell'epoca, uno dei migliori standard di vita nel mondo. Quando poi le banche private presero il sopravvento, l'Australia si indebitò pesantemente tanto che il suo standard di vita precipitò al a 23mo posto. Chiara dimostrazione del potere distruttivo del denaro creato dalle banche private a paragone dei grandi benefici prodotti dal denaro stampato dai governi.



Oggi gli Stati Uniti potrebbero godere dei medesimi vantaggi realizzati:



all'epoca delle 13 Colonie



nell'era della presidenza Lincoln 



dell'Australia dei primi anni del ventesimo secolo



nel Medioevo falsamente dipinto come un'era di arretratezza salvata dal capitalismo industriale quando in realtà tale sistema, privo di banchieri, prosperò per centinaia di anni



della Cina di migliaia di anni prima dell'era delle banche private, e di quella attuale, in quanto Beijing attraverso la People's Bank of China (la propria semi-indipendente banca centrale) controlla la crescita dell'economia nazionale e la creazione di milioni di posti di lavoro per una popolazione in costante aumento 



Soltanto attraverso uno sforzo finalizzato alla sostituzione di questo sistema corrotto con uno più onesto e funzionale, l'America e le altre economie mondiali possono prosperare in maniera analoga.

Un sistema bancario a controllo pubblico beneficia tutti tramite depositi finalizzati alla crescita interna sostenibile, attraverso la soddisfazione delle necessità a livello sia statale che locale, e infine tramite l'emissione di denaro a interesse zero.

Tanto chi scrive che Brown crediamo che il credito dovrebbe essere un servizio pubblico all'interno di un sistema bancario nazionalizzato.Tale sistema crea denaro proprio a livello federale e lo gestirebbe poi con depositi in banche statali che servano finalmente le necessità della gente e non l'avidità di banchieri predatori. Un sistema del genere sarebbe il più equo, il più sostenibile, il più efficiente e il più democratico dei sistemi, nonché il più libero da parassiti. Tale sistema funzionerebbe bene a livello federale, statale, e locale con filiali della banca centrale che finalmente servono le municipalità, le imprese, e i residenti ad un costo accessibile. 

Grazie alla gestione privata della Federal Reserve e del gigantesco e parassitario sistema bancario, è oggi il monopolio delle multinazionali a governare l'America e ad utilizzare "le banche accolite per generare fondi illimitati, per comprare i competitori, i media, e il governo stesso, sopprimendo quelle che sono le vere imprese private indipendenti". Proprio quel sistema che gli economisti classici aborrivano.



Le banche private tengono in ostaggio nazioni intere facendo loro pagare interessi sul loro stesso denaro e "profondendo prestiti massicci ai cartelli affiliati nonché agli hedge funds [fondi speculativi n.d.r.] che usano il denaro per eliminare la competizione e manipolare i mercati".



E' una forma estrema di Darwinismo con un governo federale, e 46 dei 50 stati, che sono insolventi e piccole imprese e gente comune a pagarne il prezzo. In tale contesto, un'altra via è necessaria affinché il paese, gli stati, le comunità locali, insomma la maggior parte delle persone non si trasformino in "zombie" e che l'America non diventi il Guatemala.



L'eventuale trasformazione delle banche federali, statali e locali in istituzioni di pubblica utilità all'interno di un sistema bancario nazionalizzato, produrrebbe i seguenti benefici:



-- l'eliminazione della tassazione personale e d'impresa



-- la creazione di una crescita economica stabile e sostenibile



-- la ricostruzione della base produttiva del paese



-- la realizzazione di vitali infrastrutture di dimensioni mai immaginate prima incluso il ripristino dell'ambiente e lo sviluppo di fonti energetiche alternative, sostenibili, pulite, sicure ed economiche



-- la creazione di molti milioni di nuovi e ben pagati posti di lavoro eliminando la disoccupazione per coloro che possono e vogliono lavorare e un sostegno per quelli impossibilitati in quanto disabili



-- la fine del pignoramento dell'abitazione e la realizzazione per tutti del sogno di diventare proprietari di casa grazie all'abbondante disponibilità di mutui a buon mercato senza rischi di fregature per i più sprovveduti 



-- la scomparsa dell'inflazione



-- boom e contrazioni economiche diverrebbero ricordi del passato



-- la cessazione delle distruttive svalutazioni monetarie e delle guerre economiche per fini privati



-- la tutela di pensioni private, di risparmi e di investimenti



-- l'eliminazione del debito federale, statale, e locale.



Proviamo a immaginare quanto segue:



Alcune settimane fa Bloomberg e altre fonti hanno riportato che tra $12 e i 14 trilioni (migliaia di miliardi N.d.r.] del denaro destinato al salvataggio e stimolo sono stati stanziati o spesi per coprire il buco da $9 trilioni in transazioni di cui la Fed [Federal Reserve, Banca Centrale USA, n.d.t.] non ha alcuna registrazione. Questo perché a Washington amministratori pubblici in combutta con banchieri criminali chiudevano gli occhi di fronte a un truffa senza precedenti depredando il Tesoro e i citttadini.



Proviamo invece a immaginare se $1 trilione di quel bottino fosse andato a banche pubbliche per finalità produttive. La magia della "riserva frazionaria" avrebbe creato $10 trilioni, e se anche metà di quella somma fosse stata stanziata o spesa per coprire quel buco, i famosi $70 trilioni avrebbero potuto essere usati in maniera produttiva e non sprecati nell'acquisto di asset tossici a prezzo scontato per un maggiore consolidamento o per speculazione con il rischio di una futura drammatica inflazione. 



Proviamo ora a immaginare un futuro nuovo dove:



il debito federale possa essere eliminato



la copertura per Social Security, Medicare, e Medicaid [programmi di previdenza e assistenza sociale, n.d.t.] sia garantita in eterno



l'intera nazione e tutti i 50 stati siano solventi e addirittura vadano verso un cospicuo surplus



un futuro sostenibile, prospero e libero dall'inflazione produce benefici sociali essenziali per ognuno tra i quali l'assistenza sanitaria accessibile o addirittura gratuita, l'istruzione, e la fine della povertà grazie a un reddito minimo garantito.



Tutto questo sarebbe niente meno che un'America rivoluzionaria e nuova, simile a quella retoricamente dipinta fino a oggi, ma con tutti vincitori e nessun perdente fatta eccezione per i predatori delle banche private e i loro partner corrotti del settore pubblico.

E ricordate, il denaro creato non genera inflazione fintanto che gli squilibri vengano evitati ed esso venga produttivamente utilizzato per nuovi beni e servizi. 

Questa è l'America per cui vale la pena di continuare a lavorare senza tregua fino a che l'obiettivo non venga raggiunto. Se non ora quando? E se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non viene fatto al più presto, potrebbe essere troppo tardi e se questo non è un incentivo ad agire, quale altro può esserlo?



Stephen Lendman è Ricercatore Associato del Centre for Research on Globalization. Vive a Chicago e può essere raggiunto a 
lendmanstephen@sbcglobal.net. 



Titolo originale: "Ending Today's Economic Crisis Simply and Easily, in America and Globally"



Fonte: http://www.globalresearch.ca

Link

27.05.2009



Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIANNI LOSI

L' UNIONE EUROPEA FA PRESSIONI SULLA LETTONIA ......QUANDO TOCCHERA ALL' ITALIA???

11 giugno 2009

Bce in soccorso della Svezia

di Riccardo Sorrentino

La Svezia si prepara al peggio. La Banca centrale di Stoccolma ha preso a prestito dalla Bce tre miliardi di euro in cambio di corone per affrontare la tempesta finanziaria che potrebbe scoppiare nel Mar Baltico mentre l'Unione europea fa pressioni sull'anello debole dell'area, la Lettonia, perché approvi subito il suo budget "lacrime e sangue" ed eviti la svalutazione.

Bisogna infatti far presto. Il momento più delicato è previsto la prossima settimana. Mercoledì il parlamento di Riga dovrebbe approvare la nuova manovra fiscale che taglierà stipendi e spese pubbliche, aumenterà le tasse e potrebbe scatenare nuove rivolte come quella di cinque mesi fa. Un forte invito a superare lo scoglio è arrivato ieri dal commissario Ue Joaquin Almunia, responsabile degli Affari economici e monetari: «La fine del cambio fisso del lat creerebbe problemi molto seri e noi vogliamo evitare, a qualunque costo, questa situazione. Il prezzo per fare questo è adottare prima possibile, la prossima settimana, la manovra di bilancio».



Se questo non accadesse - è il messaggio sottinteso, ma noto a tutti - la Lettonia non riceverebbe la nuova tranche di aiuti da 1,2 miliardi di euro da Bruxelles e dal Fondo monetario internazionale e dovrebbe affrontare una svalutazione anche più dolorosa dei tagli. Con un crollo del lat aumenterebbero i prezzi dei beni importati, salirebbe l'inflazione, e soprattutto aumenterebbero le rate di mutui e prestiti: moltissime famiglie si sono indebitate in euro (o in corone) a tassi più convenienti per acquistare casa o, più semplicemente, l'automobile e altri beni durevoli.



È qui che entra in gioco Stoccolma. Spesso - e volentieri - sono state le filiali della banche svedesi a offrire e concedere prestiti in moneta straniera. Queste aziende di credito potrebbero ora essere travolte da una ondata di inadempienze, insieme alle loro case madri. Uno stress test ha segnalato la capacità di questi gruppi creditizi di assorbire perdite per oltre 14 miliardi di euro, ma non sono improbabili problemi di liquidità.



L'addensarsi di forti incertezze sull'esito del voto della prossima settimana ha quindi spinto la Riskbank di Stoccolma ad attingere alla linea di credito swap da 10 miliardi di euro messa a disposizione a dicembre dalla Banca centrale europea. L'obiettivo immediato è quello di aumentare le riserve valutarie, anche allo scopo di «fornire assistenza in termini di liquidità alle banche svedesi», per le quali «una parte notevole delle fonti di finanziamento è in valuta estera».



L'operazione è stata quindi realizzata «per essere ben preparati a continuare ad assicurare la stabilità finanziaria», ha spiegato la Riksbank in un comunicato in cui mancavano tre parole chiave: Lettonia innanzitutto, ma anche Estonia e Lituania, gli altri due paesi che presentano gli stessi identici problemi. La Riksbank sa bene che quindi la situazione non si scioglierà definitivamente la prossima settimana, e quindi ha chiesto altri 100 miliardi di corone - circa 9,4 miliardi di euro - all'Ufficio del debito pubblico svedese e con l'intenzione di "prelevarne" 65 miliardi prima dell'estate.



Stoccolma è soltanto l'avanguardia dell'intera Unione europea. La situazione della Lettonia e degli altri paesi baltici si ripete, sia pure con qualche variazione non secondaria, anche in Romania, in Bulgaria, nelle più solide Ungheria e Polonia. In questi casi però non sono le banche svedese ma quelle italiane, austriache, francesi a essere a rischio. Il timore di tutti, oggi, è che la svalutazione di una sola valuta possa trascinare, in un classico effetto domino, tutte le altre coinvolgendo direttamente le altre economie europee.
11 giugno 2009

mercoledì 10 giugno 2009

QUEGLI EUROPEI CRETINI A CUI ALLUDEVA PADOA SCHIOPPA ,FORSE TANTO CRETINI NON SONO !!!


Euro-falliti


Maurizio Blondet   

08 giugno 2009
«Ah, se gli europei dicessero: yes, we can», sospirava Tommaso Padoa Schioppa sul Corriere del 6 giugno. Macchè, sono «incapaci di pensare  europeo», si sconsolava Barbara Spinelli, la fidanzata di Padoa Schioppa, su La Stampa. Insomma, gli europei sono troppo cretini per questa bella elite eurocratica, che sa cosa è bene per loro meglio di loro. «La realtà, continuano a vederla attraverso l’unica lente che conoscono: quella dello Stato-nazione».



Barbara Spinelli è anche figlia di Altiero Spinelli, il dirigente del PCI, antifascista  e massone laicissimo: uno degli artefici, nel dopoguerra, del progetto illuminista-giacobino dell’europeismo anti-nazionale e burocratico, che Jean Monnet fabbricò su indicazione dei banchieri americani, che gli affidarono la distribuzione del Piano Marshall: una Europa senza sovranità. Sicchè è patetico che la Spinelli citi( L'articolo completo e' disponibile solo per gli abbonati )

ECCO LE CONFERME,STANNO LAVORANDO ALACREMENTE ........DA CHI HANNO AVUTO QUESTO MANDATO???

10 giugno 2009

Padoa-Schioppa: «Il sogno

di una moneta mondiale»

di Alberto Orioli

Regole e moneta. Da ex banchiere centrale Tommaso Padoa-Schioppa tiene uno sguardo "lungo" su entrambi questi capisaldi, i fondamenti dell'economia di mercato. "Lungo" giacché - come sostiene nel libro scritto con Beda Romano La veduta corta - è proprio la limitatezza dell'orizzonte - dei mercati, dei decisori politici, dei consumatori, degli azionisti - ad aver portato la situazione dov'è ora.



Cominciamo dall'euro. Con lo sguardo lungo dove lo vede?

Se la crisi portasse a un massiccio spostamento di composizione delle riserve e a un forte indebolimento del dollaro, l'euro si apprezzerebbe in misura eccessiva; per l'Europa sarebbe allora un problema, un grande problema.



Quindi la "lezione per il futuro" è una nuova moneta unica come chiedono i cinesi?

Non lo chiedono solo i cinesi. Ne parlano da tempo una delle menti economiche più acute della nostra epoca come Robert Mundell e un autorevolissimo ex banchiere centrale americano come Paul Volcker. Sono convinto che la Cina abbia sollevato un tema ormai maturo. Se poi lo ha fatto per interesse - come dice Paul Krugman - cioè perché ha accumulato troppi dollari, può essere. In ogni caso è una motivazione legittima, visto che non si può chiedere a Pechino di essere altruista quando tutti agiscono per interesse. Il punto, semmai, è comprendere quale sia la coincidenza tra ragion di stato cinese e interesse generale globale. In ogni caso, da ex banchiere centrale penso che quando si parla di standard globali, prima ancora che a quelli legali si debba guardare a quello monetario, che è un fatto economico funzionale, seppure vincolato a un substrato legale. Insomma, credo proprio che questa crisi ponga il problema di un nuovo standard monetario internazionale. La sua assenza e l'assenza della disciplina che esso imporrebbe sono una delle cause profonde della crisi attuale.



Prima c'era l'aggancio della moneta all'oro...

Se ci fosse stato ancora quell'aggancio, negli ultimi anni i paesi che accumulavano ingenti disavanzi esterni - come gli Stati Uniti - avrebbero dovuto convertirne una parte proprio in oro; la conseguente scarsità di riserve auree li avrebbe obbligati a correggere la rotta.



O a denunciare l'accordo, come fecero gli Usa che sganciarono il dollaro dal metallo giallo.

È vero, nel '71 gli Usa si sottrassero all'impegno. Per anni l'"aereo" del dollaro ha continuato a volare spinto dalla forza politica ed economica degli Stati Uniti. Ma non penso che, se si guarda al mondo di domani, quando ci saranno 4-5 o 6 colossi mondiali, questi potranno accettare che la moneta di uno solo di essi sia la moneta di tutti. Anche se il tema non è ancora iscritto all'ordine del giorno, quando si parla di standard internazionali penso si debba riflettere sulla moneta mondiale.



Ma come sarebbe il mondo con una sola moneta?

Non lo so, è un progetto su cui è urgente lavorare e pensare a fondo, e dubito che la soluzione sia una sola moneta. È diverso immaginare un oggetto che vola e inventare l'aeroplano. Oggi ne sappiamo abbastanza per dire che abbiamo bisogno di un oggetto che vola, di una misura comune che imponga disciplina al sistema monetario mondiale. Su scala mondiale non mi pare praticabile una soluzione tipo euro, fondata sul modello della moneta unica - un "globus" ad esempio - e della banca centrale unica. Vedo piuttosto una costruzione a due livelli: uno standard globale governato in comune e monete regionali con cambi non più interamente lasciati al mercato.



Chi ha ragione tra Krugman, che chiede più debito per uscire dalla crisi, e Ferguson, che mette in guardia dai pericoli dell'eccesso di debito che mina la stabilità dei governi?

Entrambi e, quando si danno torto l'un l'altro, nessuno dei due. Il fatto è che i rimedi - monetari e di bilancio - per combattere l'emergenza e quelli per impedire il ripetersi della crisi hanno segno opposto: espansivi gli uni, restrittivi gli altri. Come quando si somministra metadone a un tossicodipendente in cura.



Al G-8 l'Italia intende abbozzare i nuovi global legal standard per i mercati finanziari. Sarà - nelle intenzioni del Governo - un primo strumento per uscire dalla crisi e per evitarne altre.

Le determinanti profonde della crisi sono tre: l'illusione che i mercati si possano autoregolare; la contraddizione tra mercati globali e politiche rimaste nazionali; la veduta corta come criterio per le scelte, pubbliche e private. I global legal standard abbracciano i primi due temi e nascono dall'idea che il mercato abbia bisogno di regole e che le regole debbano essere internazionali. Ma il problema non finisce qui, qui incomincia: chi decide le regole? E che strumenti ha per farle rispettare? Si pone l'ardua questione di un potere di politica economica superiore.



Oggi quel potere non c'è.

No e sì. L'intero universo della cooperazione internazionale si è spostato negli anni verso azioni volontarie e non vincolanti, soprattutto da quando si è abbandonato il sistema di Bretton Woods che è un - sia pur debole - potere sovranazionale. Prima il G-5, poi il G-7 e il G-8 ora il G-20: sigle dietro cui non c'è alcuna realtà istituzionale, non trattati, non sistemi giuridici. Parlare in queste sedi di global legal standard significa fare menzione di qualcosa che per adesso manca di ogni infrastruttura giuridico-istituzionale.



In attesa di avere un modello diverso di governance globale, qual è la sede migliore dove ridisegnare le regole?

Una forte convergenza politica in seno al G-20 è un passaggio necessario ma non sufficiente per arrivare ai nuovi standard di cui parla il governo italiano. Quel passaggio deve portare a mutamenti sul piano del diritto e della distribuzione tra poteri nazionali e potere internazionale, mutamenti che sono impossibili al di fuori di una chiara architettura istituzionale e senza una base posta da trattati internazionali. A proposito di nuove regole vorrei però osservare che a mio parere non è stato un virus sconosciuto a provocare la crisi. Più spesso è stato un mancato rispetto di regole esistenti, sicché un'ordinaria profilassi sarebbe bastata a evitare le vicende più nefaste. Questo, i regolamentatori non lo ammettono volentieri.



Intanto se ne parlerà al G-8 di Lecce.

Sarà un primo esame. Sono stato nel G-20 fin dalla sua riunione costitutiva. Hai davvero la sensazione di vedere seduto al tavolo tutto il mondo, in una riunione sufficientemente ristretta per consentire un'efficace interazione tra i partecipanti. Le altre riunioni, con 200 paesi rappresentati, sono assemblee dove si fanno solo dichiarazioni e non c'è alcuna interazione tra partecipanti. E poi, grazie alla sua composizione, il G-20 tratta anche dei temi del commercio, che sono parte essenziale della cooperazione internazionale; il G-8 non lo poteva utilmente fare perché in questa materia gli interlocutori devono essere soprattutto i paesi emergenti o quelli a basso reddito. Infine, è positivo il fatto che al G-20 siedano ora i capi di stato o di governo, perché solo a quel livello è possibile una sintesi politica; i ministri delle finanze non hanno delega sufficiente.



Anche le decisioni del G-20 sono senza infrastruttura giuridica. Poi contano Fondo monetario, Banca mondiale e Wto.

Il G-20 dovrebbe trovare una forma di confluenza nelle istituzioni che ancora oggi costituiscono i pilastri della cooperazione internazionale multilaterale: Fmi, Banca mondiale, Wto e le stesse Nazioni Unite. Sono quanto di meglio ci abbia lasciato - dagli anni 40 - l'esperienza storica del XX secolo. Quando il cancelliere Angela Merkel propone un Consiglio di sicurezza dell'economia esprime proprio l'esigenza di far confluire le decisioni politiche del G-20 in istituzioni dotate di un'infrastruttura giuridica più solida dell'occasionale concorso di volontà che, in una sede di cooperazione volontaria, può sempre venire meno. Com'è noto, gli accordi del G-20 sono reversibili e vanno raggiunti con il benestare di tutti i partecipanti.



Torniamo alle regole. Quanto hanno influito sulla crisi i conflitti d'interessi tra regolatori e regolati, tra controllori e controllati?

Moltissimo. In questo caso le regole o non c'erano o erano troppo blande perché scritte da coloro ai quali si applicavano. Se i modelli interni su cui è basata la valutazione non sono rigorosi e l'autorità pubblica che li deve validare si fida troppo di come sono fatti o non li capisce, allora c'è un problema. Se a loro volta quei modelli sono appoggiati sulla valutazione (rating) di agenzie pagate da coloro stessi che emettono i titoli che esse devono giudicare, allora c'è un problema. Se le regole sui compensi dei manager sono fatte dagli stessi manager o approvate da comitati che non prendono le distanze dai soggetti di cui determinano i compensi, allora c'è un problema. Insomma, così tutto il sistema non ha timone.



Ed è qui che entra il tema dello sguardo corto?

Sì, tutte le anomalie descritte finora sono riconducibili alla tematica dell'accorciamento degli orizzonti temporali: le agenzie di rating invece di guardare avanti guardano al momentaneo umore del mercato; i compensi sono legati ai risultati ottenuti nel breve periodo; le politiche economiche sono agganciate alle scadenze elettorali che obbligano a tenere l'economia sempre in effervescenza. Se ci fosse qualcosa che semplicemente obbligasse, pur usando gli stessi parametri decisionali, a passare dalla lunghezza d'onda trimestrale a quella di uno o due lustri, tutto potrebbe rimanere uguale, ma tutto cambierebbe in meglio.



Oggi appare impossibile.

Me ne rendo ben conto. Eppure una presidenza come quella di Barack Obama è impegnata proprio in questa difficile arte di persuadere una nazione di quanto sia necessario allungare i tempi per uscire dalla crisi e per avere risultati durevoli. I sondaggi per ora lo confortano.



Il voto di domenica sembra dimostrare che in Europa ritrovano forza i gruppi nazionalistici o addirittura anti-europei. C'è il rischio di arroccamenti o di nuovi nazionalismi.

Purtroppo l'arroccamento è già in atto. Se è vero che l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù, il fatto che ne vediamo molta in questi giorni nelle partite che riguardano banche e auto, i due settori finora più colpiti dalla crisi, ci dà la misura del vizio sottostante. Più si moltiplicano le dichiarazioni retoriche sulla cooperazione europea, meno c'è coesione europea.



Dunque un'Europa più piccola?

Credo che l'Europa sia su un crinale. È tirata da due forze opposte: quelle che vogliono aumentare la dose di unione e quelle che puntano alla rinazionalizzazione delle economie e delle politiche. La partita è aperta, anche se ora prevalgono le spinte disgregatrici. Sono convinto che la crisi porterà a un'Europa diversa da com'è ora, perché essa è troppo forte per lo stato attuale di semi-integrazione.



E l'Europa politica?

Quello che si poteva fare per l'unificazione che non fosse politico è stato fatto: ma fare un'Europa politica avrebbe un effetto economico formidabile e certo aiuterebbe anche ad uscire dalla crisi, perché consentirebbe di governare la politica economica in modo congiunto nuovo e unitario. Basterebbe riconoscere in un bilancio comune ciò che già è europeo (alcune infrastrutture, parte dell'energia, parte della difesa). In fin dei conti, il bilancio federale Usa all'inizio del XX secolo, cento anni dopo la nascita della Federazione americana, era pari a circa il 5% del Pil Usa. Bisognerebbe che anche i poteri nazionali accettassero la logica espressa in questi giorni da John Elkann, azionista di maggioranza della Fiat: accettare di diventare più piccoli in una realtà più grande. L'Europa che immagino è esattamente questo.
10 giugno 2009
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Economia%20e%20Lavoro/2009/lezioni-per-il-futuro/10-giugno/padoa-schioppa-moneta-mondiale_PRN.shtml

venerdì 5 giugno 2009

AGGIORNAMENTI SUL TRATTATO DI LISBONA IN OCCASIONE DEL VOTO ALLE EUROPEE VEDIAMO DI SCEGLIERE CHI E' PER LA LIBERTA

2 giugno 2009


EUROPA: LA MACCHINA ANTIDEMOCRATICA

di Raf Jespers




L’Unione Europea che pretende di essere uno spazio «di libertà, sicurezza e diritti», un paradiso democratico per circa 500 milioni di cittadini, è piuttosto vista da questi stessi cittadini come un organo burocratico lontano, da qualche parte «a Bruxelles» dove tutte le decisioni sono prese senza essere concordate. Inoltre, l’Europa è impegnata a introdurre con discrezione pericolose agenzie di Stato nei settori della polizia e della giustizia.


Organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo, giuristi e avvocati mettono in guardia sulle pratiche dell’Unione Europea che potrebbero mettere in pericolo i diritti e le libertà dei cittadini, oltre che minare lo stato di diritto. Queste pericolose evoluzioni antidemocratiche sono appena conosciute e ancor meno sono oggetto di dibattito. A torto.

Come ristabilire maggior democrazia?




Il Trattato di Lisbona imposto a 500 milioni di cittadini europei…


La Costituzione Europea non è passata perché il 54,8% della popolazione in Francia e il 61,6% nei Paesi Bassi hanno votato contro al referendum. Due anni più tardi, questa Costituzione è stata oggetto di una revisione come Trattato di Lisbona. Un nome diverso ma quasi lo stesso contenuto. Solo gli irlandesi hanno potuto pronunciarsi in un referendum, gli altri 26 paesi membri dell’Unione non hanno assunto il rischio di consultare i loro cittadini. Il Trattato è stato respinto dal 53,4% degli irlandesi. Ma l’Unione Europea non si rassegna entro il prossimo autunno farà mandare giù agli irlandesi un nuovo referendum e saranno obbligati a votare sì. 


…stop al Trattato di Lisbona


Il Trattato di Lisbona è in realtà una sorta di Costituzione che stabilisce una politica neoliberale, antisociale, antidemocratica e belligerante. Pone le basi per una politica europea che, nel corso dei prossimi venti anni, influenzerà considerevolmente la vita di tutti i cittadini europei. Ciascun europeo dovrebbe avere il diritto di esprimere la propria opinione con un referendum. È necessario porre termine al processo di ratifica. Il ricatto esercitato verso il popolo irlandese deve finire. 



Un Parlamento Europeo (PE) con potere limitato…


Dal 70% all’80% delle leggi adottate in Belgio e negli altri Stati membri sono decise dall’Unione Europea. Il potere dei parlamenti nazionali è di conseguenza notevolmente minato. Ma anche il potere del Parlamento Europeo è limitato. Infatti non può prendere nessuna iniziativa sui progetti di legge, solo la Commissione Europea può farlo. Le proposte di legge sono alle volte dettate alla Commissione dai lobbisti di Bruxelles (circa 20.000). Un Parlamento che non è autorizzato a proporre leggi non è un Parlamento democratico. Inoltre, il PE non può emanare una legge se non viene approvata anche dal Consiglio dei Ministri, questo processo è chiamato «procedura di codecisione». Il Consiglio che ha potere esecutivo assume in questo modo potere legislativo.

La separazione dei poteri?

Dimenticatela. In un insieme di materie (fiscalità, affari esteri…), il Parlamento Europeo non dispone di nessuna competenza.




… il potere legislativo unicamente al Parlamento europeo


Se è vero che il Trattato di Lisbona assegna maggiori competenze al PE e ai parlamenti nazionali, non apporta alcuna modifica ai meccanismi antidemocratici di base che reggono il processo decisionale. Se il Trattato verrà votato, l’Europa non sarà quindi più democratica. Perché sia veramente democratica,sarebbe necessario che il Parlamento europeo esercitasse autonomamente il potere legislativo in Europa (e che non lo condivida con il Consiglio), che sia competente in tutte le materie europee e che possa presentare proposte di legge. Questo perché il Parlamento Europeo è, in fin dei conti, l’unica istituzione dell’Unione Europea a essere direttamente eletta dai cittadini.


La Corte di Giustizia Europea, il cane da guardia di un’Europa neoliberale…

Nel 2007, la Corte di Giustizia Europea, per quanto riguarda i processi Laval e Viking (*), ha decretato che il diritto allo sciopero e il diritto alla parità di salario per i lavoratori stranieri sottostanno alle quattro libertà di mercato: libera circolazione di beni, di capitali, di persone e di servizi. La Corte Europea appoggia quindi la concorrenza sfrenata e gli attacchi dell’UE contro i diritti dei lavoratori.


…stop agli attacchi contro i diritti sociali e sindacali


I diritti sociali (diritto al lavoro, diritto a un salario decente) e i diritti sindacali (diritto allo sciopero, diritto alla libertà di espressione) devono essere prioritari rispetto alle libertà di mercato. Nessun tribunale, anche europeo, non può non cambiare questi principi. Le conquiste sociali devono essere rispettate all’interno degli Stati membri dell’UE ed estese anche ai lavoratori stranieri.


L’Europa prepara uno Stato-poliziotto autoritario …


In nome della lotta contro il terrorismo e il radicalismo, la UE ha introdotto nel corso degli ultimi anni delle leggi penali molto pericolose. Così, chiunque «si oppone a una decisione delle autorità» o «vuole cambiare la struttura della società» può essere etichettato come terrorista. Le opinioni radicali sono passibili di pena. Con la direttiva «sulla conservazione dei dati», la UE intende mettere il traffico di Internet e le e-mail di tutti i cittadini sotto il controllo dei servizi di polizia e sicurezza. Con Europol, Eurojust, Cepol (centro di formazione della polizia), i capi della Task Force della polizia, la Gendarmeria europea, Frontex (controllo delle frontiere) e le decine di banche dati (SIS, VIS, Eurodac), la UE sta realizzando un apparato di polizia e di repressione totalmente incontrollato per il quale ciascun cittadino diviene sospetto e deve essere controllato.


…rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini


È necessario porre fine allo stato di emergenza dichiarato dopo l’11 settembre. Certo, bisogna proteggere le persone dal terrorismo, ma questo non deve diventare un pretesto per minare i loro diritti e le loro libertà. Lo Stato può limitare le libertà solo dei cittadini che commettono delitti o sui quali pesano seri sospetti. Niente giustifica un controllo di tutti i cittadini senza distinzione.In uno Stato democratico sono i cittadini che controllano lo Stato e non il contrario. Sono indispensabili misure urgenti che garantiscano un maggiore controllo democratico sui servizi di polizia e di sicurezza europei, un controllo che potrebbe essere esercitato dai membri eletti del Parlamento europeo, per esempio.

Fonte: http://www.ptb.be/hebdomadaire/article/elections-europeennes-3-leurope-cette-machine-antidemocratique.html



Traduzione del Centro di Cultura e Documentazione Popolare perwww.resistenze.org

 

2 commenti:


alina ha detto...
Ciao Alba.
Il pericolo per l'Unine Europea non è solo, secondo me, nel famigerato Trattato di Lisbona che potrebbe già essere abbastanza ma, anche nella sua stessa struttura giuridica.Questa "codecisione", che è la procedura per l'approvazione della legislatura dell'UE,è parziale poichè il Consiglio delibera da solo per campi d'intervento quali: agricoltura, politica economica, visti ed immigrazione ed il Parlamento lo consulta solo (scusa se è poco!). Il ruolo del Consiglio è preponderante :nomina il Presidente della Commissione che a sua volta nomina gli altri commissari. La Commissione è politicamente responsabile davanti al Parlamento che può destituirla ma, ogni singolo membro è tenuto a dimettersi su richiesta del Presidente, a condizione che ci sia l'approvazione degli altri commissari.Per quanto riguarda il controllo del Parlamento sul Consiglio: i deputati sottopongono interrogazioni al Consiglio ed il Presidente del Consiglio assiste alle sedute plenarie del PE.
Che potere ha un Parlamento così braccato? Correggimi se ho detto cose non vere. Ti ringrazio per lo spazio concessomi e....sempre i miei complimenti per gli articoli.

Alba kan. ha detto...
Ciao Alina,
hai ragione, la situazione è già tragica adesso...il parlamento non ha poteri legislativi, non c'è una separazione dei poteri, bisognerebbe che il Parlamento Europeo esercitasse il potere legislativo in autonomia, senza condividerlo con il Consiglio...il Trattato di Lisbona (il mio chiodo fisso) serve a ricordarci che tutto questo...potrebbe anche peggiorare....e di molto!
Grazie Alina per la tua attenzione.
Un caro saluto.