Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta efsf. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta efsf. Mostra tutti i post

giovedì 8 novembre 2012

FINLANDIA: LA MONETA EUROPEA VIENE MESSA IN DISCUSSIONE


2 novembre 2012 (MoviSol) - Il 23 ottobre un nostro team ha fatto una visita inaspettata alla sede dell'ESM a Lussemburgo. Questo fondo gigantesco (arriverà a gestire emissioni per 7 mila miliardi di euro) è ospitato in un ufficetto tanto modesto da far sorgere il dubbio che ci si voglia nascondere. Non ci aspettavamo di trovare un grattacielo (non avevano il tempo per costruirlo), ma almeno un palazzo o una villa, insomma una sede di rappresentanza. E invece, su un lato del vialone d'ingresso alla capitale lussemburghese, tra vetrine e uffici sotto il lungo colonnato di un palazzone, c'è una porta a vetri con alcune insegne, tra cui EFSF/ESM. Suoniamo a uno dei sei campanelli e diciamo: "Siamo giornalisti, vi abbiamo appena scoperto, possiamo entrare?" La segretaria, impreparata, ci chiede chi siamo e, inaspettatamente, ci fa entrare. Saliamo con l'ascensore e usciamo su un pianerottolo che dà su una vetrata, da cui si intravede il salottino dell'ufficio. Sembra di essere nello studio del dentista, se non fosse per la scritta sul muro: EFSF e ESM. L'addetto stampa, che ci accoglie sul pianerottolo, esige che spegniamo la telecamera e ci racconta che in quell'ufficetto lavorano sessanta persone!

Dopo un po' ci liquida con cortesia, ma ce ne andiamo insoddisfatti. Con tutte le vetrate, quello che manca è la trasparenza. Eppure, la massima trasparenza è richiesta in questa faccenda. Stride la sede ufficiale di questo contestatissimo fondo con il potere e il ruolo centrale che esso sta assumendo nel sistema UE.

Si vuole iniziare col basso profilo perché, nonostante la fanfara ufficiale, il successo è tutt'altro che assicurato? Durante le sue prime due settimane di vita, oltre la metà dei bonds emessi sono stati acquistati da investitori dell'Eurozona. Gli investitori asiatici hanno acquistato solo il 25%, gli americani il 6% e i britannici hanno espresso ancor meno interesse. Eppure, l'idea dietro l'ESM era che sarebbe stato attraente per gli investitori extraeuropei, i cui capitali, con l'effetto leva, avrebbero permesso di elargire oltre un trilione di euro.

Naturalmente il predecessore dell'ESM, l'EFSF, aveva lo stesso problema: nel corso del 2011 e nei primi nove mesi del 2012, esso è stato in grado di mobilitare solo 50 miliardi di euro.

La burocrazia dell'ESM desidererebbe sicuramente nascondere il fatto che, mentre l'attenzione è rivolta al crescente disastro in Grecia, e mentre i politici europei sostengono che l'Euro verrà preservato a tutti i costi, la moneta europea viene messa in discussione in Finlandia. Si dà il caso che questo paese nordico sia uno dei sei soli paesi dell'Eurozona che ancora godono della tripla A e quindi sono le fondamenta dell'ESM. Una sua defezione non lascerebbe l'ESM e l'euro incolumi.

Il direttore del Consiglio di Garanzia Municipale, un organo del ministero delle Finanze, Hhejkki Neimelainen, ha recentemente dichiarato: "Abbiamo iniziato a discutere apertamente il meccanismo di uscita dall'euro, anche se abbiamo fatto capire che non ne inizieremo il processo". Una ricerca della banca Nordea ha infatti suggerito che se la Finlandia introducesse una moneta nazionale parallela, questa salirebbe di valore attirando capitali esteri. "Vale la pena ricordare che la maggior parte dei finlandesi odia questi salvataggi della BCE", ha commentato il Financial Times del 26 ottobre. "E più si trascina la crisi dell'Eurozona, più diventa facile immaginare quello che una volta era inimmaginabile. Forse è ora che il presidente della BCE Mario Draghi visiti Helsinki; se non altro, il rapporto di Nordea ricorda che non sono solo Grecia e Spagna ad avere la capacità di sorprendere".

giovedì 12 gennaio 2012

ORAMAI SONO MOLTE LE AUTOREVOLI VOCI CHE DANNO L'EURO PER SPACCIATO!!


Il sistema sta in piedi finché i prestatori “credono” ai debitori e alla loro solvibilità. Quando non si crede più, il sistema crolla. Non crollano tutti, ma i più deboli. Trascinandosi dietro la moneta comune. 
Anticipiamo la rubrica di Oscar Giannino che sarà pubblicata sul numero 2 di Tempi, da oggi in edicola


Sulla tenuta dell’euro, l’ottimismo è dovuto al passato, visto che ogni passo avanti nella costruzione europea dopo i Padri Fondatori è pressoché sempre avvenuto quando si era sul ciglio di un baratro. Ma se dovessi dire oggi su quali punti concreti basare l’ottimismo, stento a indicarli. Sul numero di gennaio-febbraio di Foreign Affairs Martin Feldestein ha appena scritto un articolo che è una versione aggiornata del suo ultimo paper sull’euro e la performance economica dell’euroarea. Insieme a Milton Friedman, che per chi la pensa come me resta e resterà sempre un faro del pensiero economico, Feldestein fu tra coloro che anni prima dell’euro ammonirono noi tutti dei rischi di una moneta con tasso d’interesse unico applicato a mercati che restano separati e a diversa produttività e curva di costo, e con debiti pubblici nazionali. Li deridemmo e non li ascoltammo. Leader e media europei li tacciarono di sciocco monetarismo e di incorreggibile amerocentrismo. Invece, avevano pienamente ragione. A buon diritto, dunque, Feldstein inizia il suo saggio scrivendo che si può a tutti gli effetti oggi ritenere l’euro come un esperimento fallito. Fallito non perché interpretato e governato male dalle sue burocrazie tecniche. Ma perché sbagliato nel suo presupposto di moneta unica per un’area economica tanto eterogenea e per di più senza vasi comunicanti rappresentati da mercati unificati.

Personalmente, condivido il giudizio. Anche i mercati, che continuano come si vede a tambureggiare ogni giorno spread insostenibili, anche dopo l’accordo della notte dell’Immacolata tra 26 paesi Ue senza Regno Unito. Al debito pubblico, si aggiungono da rifinanziare nel 2012 ben 725 miliardi di euro di debiti di banche europee, di cui 280 miliardi nel solo primo trimestre. L’Italia da sola ha 160 miliardi di titoli pubblici da rifinanziare nel primo trimestre 2012. La Bce, che è stata costretta in questi giorni a riprendere l’acquisto su vasta scala di titoli italiani, spagnoli e portoghesi, ne aveva già acquistati per 211 miliardi al 31 dicembre 2011. Dei 440 miliardi di dotazione del Fondo salva stati e salva banche, l’Efsf, 150 miliardi sono già impegnati per Grecia, Irlanda e Portogallo. La decisione di alzarne la leva finanziaria, presa l’8 dicembre, al momento non appare implementabile. Il quadro degli altri paesi avanzati non è promettente. Nell’ultimo decennio, ma in pratica negli ultimi quattro anni, i paesi avanzati hanno raddoppiato il loro stock di debito pubblico, e a fine 2011 esso ammontava a circa 55 mila miliardi di dollari, 15 mila sono americani, 13 mila giapponesi.

È un sistema, il credito, che appunto sta in piedi finché si “crede”, finché i prestatori credono ai debitori e alla loro solvibilità. Quando non si crede più, il sistema crolla. Non crollano tutti. Non crollano i paesi più forti, ma i più deboli. Non crolla l’economia del dollaro che continua a essere la valuta mondiale delle commodities e delle riserve. Crolla l’euro, o meglio i paesi deboli dell’euro. Trascinandosi dietro la moneta comune.

Una bella idea caduta nel vuoto
Mi spiace, ma continuo a pensarla così. Il rischio è fortissimo. Il sistema bancario italiano, con la picchiata delle sue capitalizzazioni e il credit crunch conclamato, ne è la cintura più esposta al rischio. La Bce di Mario Draghi con la sua prima maxi asta di liquidità triennale a collaterali iperestesi e con l’abbassamento dei tassi d’interesse proseguirà sulla via di politiche monetarie non ortodosse e necessarie. Ma non può sostituirsi ai governi europei. LEGGI TUTTO

sabato 10 dicembre 2011

EUROSUMMIT, RAGGIUNTO L'ACCORDO DI 26 PAESI MA DICE OSCAR GIANNINO CHE TUTTO CIO' SERVIRA' A POCO!!


Si ballerà eccome e comunque, dopo l’eurovertice

Ammettiamo per ipotesi che l’eurosummit di stasera e domani vada al meglio. Che il six pack, i sei punti convenuti – convenuti davvero? -tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy a inizio settimana vengano condivisi entusiasticamente da tutti. Che il Protocollo 12 – come i tedeschi definiscono con disprezzo la proposta minimalista di van Rompuy avanzata ieri – venga scartato, in nome di una modifica vera e rapida ai Trattati per far nascere l’Unione fiscale. Non ci credo ma immaginiamo che accada davvero, e che inizi il complesso processo di ratifica a tappe forzate dei Trattati, a favore di procedure di bilancio “blindate” e con ruolo ispettivo e sanzionatorio della Corte di giustizia europea. Che l’Esm sostituisca l’Efsf già entro il 2012. Ammettiamo tutto questo per ipotesi. La domanda diventa: quanto durerà il test dei mercati sulla solidità, tempestività ed efficacia di tali nuovi determinazioni? che cosa avverrà, nel frattempo? E’ possibile immaginarlo senza la pretesa di voler fare gli auguri che interrogavano con il volo degli uccelli la volontà dei dei, superni o inferi a seconda di quale fosse il quadrante da cui i pennuti si manifestavano? Con una certa approssimazione, certo che è possibile immaginarlo. Nel senso che i politici e tantissimi con loro possono forse immaginare che come ad opera di una bacchetta magica il selling colossale di asset europpei si arresti, il beta e la volatilità dei mercati si plachi,gli spread convergano di nuovo come ai vecchi tempi, e tutti vissero felici e contenti. Naturalmente, però, l’esperienza ci dice che molto probabilmente non sarà così. Per diverse ordini di ragioni.
La prima è che il mercato ha buone ragioni per diffidare di una neoconvergenza virtuosa,  quando le politiche nazionali europee al di là dell’ufficialità recalcitrano più o meno dovunque. La seconda è che squilibri tanto rilevanti da eccesso di consumi privati o pubblici finanziati a debito impiegano anni e non settimane a riequilibrarsi. E nel frattempo i mercati continueranno a testare per ciascuno degli eurosquilibrati la volontà di imboccare davvero e perseverare sulla via dell’aggiustamento al ribasso di salari e pensioni, l’unica maniera – non potendo svalutare monetariamente – per rendersi virtuosi quando non si vuole procedere a un default totale o pilotato.
I problemi più seri continueranno dunque ad essere quelli del sistema bancario. Non solo nel sistema europeo delle banche centrali, ma nelle banche ordinarie.
Per avere un’idea dello squilibrio attualmente raggiunto nel SEBC, basta dare una rapida occhiata all’analisi effettuata da Aaron Tornell dell’Università di California e Frank Westermann dell’Università di Osnabueck (http://www.voxeu.org/index.php?q=node/7391). Negli ultimi mesi, le banche centrali di Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna hanno dovuto estendere sempre più i propri crediti agli intermediari finanziari nazionali. Un meccanismo che si è sommato ai massicci ricorsi degli intermediari alle linee di liquidità straordinaria apprestate dalla Bce (siamo arrivati a quasi 290 miliardi di euro e non è un errore, duecentottantasette per la precisione, nella settimana pre varo della manovra Monti, da parte di 187 banche europee). Per finanziare i propri crediti alle banche commerciali, le banche centrali degli eurodeboli non hanno potuto rivolgersi alla Bce, per evitare che la cosa si traducesse in espansione dell’offerta monetaria. Si sono tutte rifinanziate presso la Bundesbank attraverso l’eurosistema  Target. La Bundesbank, a propria volta, per non estendere la base monetaria equivalente al proprio balance sheet, equilibrava l’espansione fino a quasi quota 500 miliardi di euro di prestiti alle altre banche centrali dell’eurozona abbattendo simmetricamente la quota si securities tedesche detenute, da quasi 300 miliardi a meno di 20 miliardi. Poiché siamo arrivati a una quota di assets tedeschi detenuti da Bundesbank  prossima allo zero, perché gli eurofinanziamenti Target possano continuare bisognerebbe immaginare che la banca centrale tedesca accettasse di vendere parte delle proprie riserve auree, o a propria volta si indebitasse sul mercato internazionale. Per quello che sappiamo da Berlino, è inipotizzabile. Il mercato lo sa benissimo. Per questo è ragionevole attendersi che provi presto un attacco concentrico sugli asset di un solo paese eurodebole, per vedere in poche ore se Bundesbank continua nel suo ruolo di prestatore a costo di impegnare riserve, oppure se si sfonda la renitenza della Bce a stampare denaro visto che la sua attuale limitata base di capitale non è coerente con acquisti illimitati di eurosecurities a rischio.
Per le banche commerciali, che sono la catena esposta di questa scommessa all’insolvenza e del trasferimento all’economia reale della recessione,  rimanere impegnate sul sentiero tracciato dall’EBA – ricapitalizzazioni rapide ad opera del mercato tutte le volte che si può -  è incredibilmente rischioso. Non è un caso che il governo tedesco abbia rapidamente deciso di rifinanziare Soffin, il braccio pubblico attraverso il quale sono stati operati i salvataggi bancari nel post Lehman. In modo che essa possa tornare a offrire fino a 400 miliardi di garanzie alle banche tedesche a rischio. La più esposta? Commerzbank, la seconda banca tedesca, piena di eurocarta nella sua EuroHypo, e che ha ancora un 25% di capitale pubblico dopo il salvataggio del 2009.
No, decisamente anche se le cose andassero al meglio, il 9 dicembre, l’euromare resterà agitato e occorreranno ottimi nocchieri. Tutte le grandi banche svizzwere e biritanniche hanno pronti contingency plans per frorteggiare l’eurobreak eventuale, questa è la verità.