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giovedì 6 giugno 2013

OMS, L' IPOCRISIA DI DEFINIRE "SALVAVITA" UN PRODOTTO CHE CAUSA LA MORTE!!!!



da Libertà e Persona traduzione a cura di Anna Fusina

La cosiddetta pillola del giorno dopo, spesso chiamata “contraccezione d’emergenza” dalla classe medica, non è un “prodotto salva-vita”: il capo della Delegazione della Santa Sede lo ha detto alla 66a Assemblea Mondiale della Sanità a Ginevra questa settimana. Tali farmaci sono in realtà “un attacco diretto” alla vita del nascituro.
Nel suo discorso, l’Arcivescovo Zygmunt Zimowski ha risposto alla Risoluzione EB132.R4 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che esorta gli Stati membri a migliorare la qualità, la fornitura e l’uso di 13 “prodotti salva-vita.”
L’elenco comprende la “contraccezione d’emergenza”.
Zimowski ha detto che la Santa Sede “concorda fortemente con l’esigenza di ridurre ulteriormente la perdita di vite umane e di prevenire le malattie attraverso un maggiore accesso agli interventi economici”, ma ha insistito che essi devono essere tutti “rispettosi della vita e della dignità di tutte le madri e di tutti i bambini in tutte le fasi della vita, dal concepimento alla morte naturale “.
Mentre alcune raccomandazioni dell’OMS “sono veramente salva-vita, quella della “contraccezione d’emergenza’ difficilmente può essere etichettata come tale in quanto è ben noto che, quando il concepimento è già avvenuto, talune sostanze impiegate nella “contraccezione d’emergenza” producono un effetto abortivo “, ha affermato Zimowsky.

mercoledì 8 maggio 2013

MA CI RENDIAMO CONTO ???? MA COSA SIAMO DIVENTATI????


di Lorenzo Schoepflin 07-05-2013
Aborto

Il 27 aprile di 45 anni fa, dopo il via libera parlamentare dell’ottobre precedente, entrava in vigore la legge che dal 1968 regola il ricorso all’aborto nel Regno Unito. Il bilancio ufficiale delle interruzioni volontarie di gravidanza oltremanica assume oggi dimensioni ben più catastrofiche di un bollettino di guerra: a tutto il 2011, ultimo anno di cui si conoscono i numeri complessivi, oltre 7 milioni e 600mila bambini sono stati eliminati nel grembo materno.

Negli ultimi dieci anni, la cifra annuale oscilla costantemente attorno ai 200mila aborti, il che significa più di un aborto ogni tre minuti. Di questi, con riferimento all’anno 2011, più della metà sono stati effettuati su ragazze al di sotto dei 24 anni di età (33mila quelli che hanno coinvolto adolescenti tra i 15 e i 19 anni, mille le gravidanze interrotte da donne che non avevano raggiunto il quindicesimo anno di età). 
Tra tutte coloro che hanno scelto di non proseguire la gravidanza, sempre relativamente al 2011, oltre 50mila avevano già abortito una volta, ma si registrano casi di madri che per ben sette o più volte avevano già optato per l’aborto e di ragazzine di 16 anni al terzo o quarto aborto.

In calo, ma sempre attestati oltre le 6mila unità ogni anno, gli aborti effettuati da donne residenti all’estero, in particolare provenienti dalla vicina Irlanda, dove la legge che regolamenta l’interruzione di gravidanza è molto restrittiva. Non dimentichiamo che Londra era la meta dei viaggi organizzati negli anni Settanta dal Cisa, il Centro informazione sterilizzazione e aborto diretto tra gli altri da Emma Bonino, che portava le donne italiane ad abortire laddove la legge lo consentiva. Proprio tra il 1972 e il 1974 le donne provenienti dall’estero e recatesi ad abortire in Inghilterra furono oltre 160mila.LEGGI TUTTO

mercoledì 19 settembre 2012

PILLOLA ABORTIVA ELLAONE

La diffusione di EllaOne, la «pillola dei cinque giorni», è sinora molto al di sotto della aspettative cullate dai promotori del suo ingresso anche nelle farmacie italiane, con 5mila confezioni vendute dall’avvio della commercializzazione (il 2 aprile) a oggi. Dopo l’anticipazione su «è vita» di giovedì scorso della cifra relativa alle confezioni vendute dalla filiale italiana di Hra Pharma (l’azienda francese produttrice del farmaco e di altri "contraccettivi d’emergenza", in realtà con implicazioni abortive), ora emerge anche il dato sullo scetticismo dei ginecologi: secondo un’indagine condotta dalla Società medica italiana di contraccezione, a non prescrivere EllaOne è infatti il 70% degli specialisti. LEGGI TUTTO

martedì 31 gennaio 2012

DIRITTO ALLA VITA CALPESTATO IN EUROPA !!!! RECUPERO DA SPLINDER, SE E' FINITO IN DATA ODIERNA VUOL DIRE CHE CI DEVE RIMANERE!!!

L'Europa “aiuta” a uccidere i figli indesiderati

di Luca Volontè

Tratto da 
Il Sussidiario.net il 6 luglio 2011
C’è voluto tempo per avviare una discussione su uno dei temi più caldi in Europa e nell’Occidente: l’aborto.
E solo qualche settimana fa ben due documenti ufficiali delle Nazioni Unite hanno voluto ribadire la propria “ossessione favorevole” sul drammatico tema. Eppure nessuno nega che il primo diritto umano, in ogni dichiarazione universale o in ogni convenzione internazionale, rimanga il diritto alla vita. Troppo spesso negli ultimi decenni è stato dato per scontato questo diritto generativo di altri diritti fondamentali, è stato considerato talmente ovvio da evitare ogni discussione puntuale sulla vita del concepito e si è passati così direttamente al diritto della donna ad abortire.
Un altro punto di vista sull’aborto è approdato alla discussione del Consiglio d’Europa; abbiamo deciso di partire da una comune ingiustizia e tragedia: la selezione sessuale (eugenetica) tramite l’aborto. Il 10 maggio del 2010 ho firmato con altri 21 colleghi una Mozione per Risoluzione e Raccomandazione e nell’ottobre prossimo si discuteranno nella Pleanaria di Strasburgo sia il Rapporto, sia le Risoluzioni (impegni per i Parlamenti nazionali) che le Raccomandazioni (impegni che si chiedono ai Governi dei 47 Paesi Membri).
L’iniziativa che ho proposto ai colleghi nasceva dall’analoga decisione all’unanimità che l’intero Parlamento italiano aveva approvato, chiedendo al Governo di intervenire in sede Onu per vietare la selezione sessuale abortiva. Sono noti i drammatici esiti e le conseguenze devastanti che si produrranno in Cina e in India per questa pratica tremenda che aggiunge alla tragedia della morte di un bimbo anche la perfidia dell’eugenetica.
Come mai ci è voluto tanto tempo? Nell’ottobre scorso, alla prima sessione Plenaria dopo la consegna della Mozione, la Commissione pari opportunità ha indicato un Relatore (Mrs. Doris Stump dei Socialisti Svizzeri) la quale ha preparato una prima bozza, discusso nella stessa commissione e infine approvato l’intero impianto del Rapporto, comprensivo di Risoluzioni e Raccomandazioni. L’Aula di Strasburgo quindi la discuterà e approverà nella Sessione dell’ottobre prossimo.
Nell’attuale proposta di Risoluzione, da un lato si mette in evidenza l’ampia possibilità di analisi e “determinazione prenatale” che le nuove tecniche posso mettere a disposizione dei genitori, ma anche la nuova e terribile propensione a un nuovo “trend globale degli aborti selettivi”. Una tendenza che sposta la preferenza a favore dei maschi è “presente anche in alcuni Paesi europei”. Considerando le possibili conseguenze di questa “discriminazione sessuale”, il documento afferma che questo “squilibrio di genere costituisce una grave minaccia per la sicurezza globale. La selezione pre-natale, l’uccisione di femmine porterà nel prossimo futuro a un ulteriore calo radicale dei tassi di natalità, che potrebbe pericolosamente compromettere la sostenibilità di intere economie nazionali”.
La Risoluzione cita anche le conseguenze negative di un futuro maschilista di popolazioni dove gli uomini non sono in grado di trovare moglie e una famiglia. La Raccomandazione chiede che l’uso di diagnosi prenatale debba essere strettamente limitato “per identificare le condizioni mediche e le malattie che possono essere trattate durante la gravidanza” e “non per il sesso e la pratica degli aborti selettivi”.
Un riconoscimento di questa tendenza emergente si trova anche nel fatto che cinque agenzie delle Nazioni Unite si sono unite per rilasciare nel giugno scorso una dichiarazione interdipartimentale su “Prevenire la selezione del sesso”. La dichiarazione, sulla base di un ampio rapporto, fa richiesta di “rinnovare gli sforzi concertati [... ] per affrontare la discriminazione di genere profondamente radicati contro donne e ragazze che si trova al centro della selezione del sesso”.
Questo fenomeno non è limitato al sud del mondo, all’Asia orientale e centrale. In Svezia, ad esempio, gli aborti selettivi non sono illegali. Secondo una sentenza del Consiglio nazionale svedese della sanità, le donne possono abortire in base al sesso del bambino. Ciò ha portato alcune donne nella vicina Norvegia, dove gli aborti selettivi sono illegali, a viaggiare in Svezia per abortire i figli indesiderati.
Questa è l’ennesima dimostrazione di come la crisi culturale porta a quella demografico-sociale e infine a quella economica. A ottobre ci sarà un dibattito importante su un tema cruciale e urgente. Un primo passo per tornare, nell’interesse di tutti, a riflettere su quel diritto umano sorgente: la vita.

sabato 3 dicembre 2011

RISPOLVERIAMO I DIECI COMANDAMENTI DI DIO ??? QUINTO NON UCCIDERE!!!!!




feto


Quinto: non uccidere


Contro l'aborto.

Una battaglia di civiltà

"Perché una battaglia culturale

contro l'aborto? Perché ci troviamo di fronte alla più grande tragedia del nostro tempo: non solo ogni anno nel mondo vengono sacrificati 50 milioni di bambini nell’indifferenza generale, ma c’è anche un potentissimo movimento che vuole far passare questa strage come un diritto umano delle donne".
Contro l'aborto. Una battaglia di civiltà



03-12-2011



martedì 29 novembre 2011

IN UN' ITALIA CHE INVECCHIA A VISTA D' OCCHIO, I "CUCCIOLI" SI ABORTISCONO IN MANIERA SEMPRE PIU' DISINVOLTA.....

Il “nuovo” aborto tra pillole e leggi da evitare

Un breve pensiero: ci siamo resi conto che, il "Potere", per farci accettare meglio la sua volontà ha cambiato nome alle azioni ed alle cose?

Quella che un tempo si definiva guerra ora viene chiamata intervento umanitario, una pillola abortiva la si definisce contraccettiva.

Donne, ragazze:
 "L'unica cosa di valore sulla terra sono i bambini."



di Assuntina Morresi 
Tratto da Il Sussidiario.net il 25 novembre 2011

Tramite 
SAFE - Salute femminile
Con la pubblicazione in Gazzetta del decreto dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), la settimana scorsa, si è concluso il percorso italiano per la commercializzazione della “pillola dei cinque giorni dopo”, la EllaOne, che sarà in vendita nelle nostre farmacie fra 4-5 mesi. Una pillola controversa, perché pur funzionando in modo del tutto analogo a quella abortiva Ru486 è stata registrata in Europa come contraccettivo, nella categoria bugiarda della “contraccezione d’emergenza”, un’espressione ambigua che nasconde aborti possibili, ma mai verificabili. In base a un parere positivo dell’Ema (l’agenzia di farmacovigilanza europea), la Commissione europea ne ha consentito la diffusione nei 27 paesi dell’Ue, attraverso la procedura centralizzata, che non prevede un esame del farmaco da parte delle singole nazioni, che hanno potuto decidere solamente le modalità di accesso al prodotto.
A fronte di tante polemiche, e di richieste al governo di intervenire per impedire l’ingresso in Italia di EllaOne, è bene quindi chiarire ancora una volta che, con le attuali normative, quando viene approvata la commercializzazione di un farmaco con procedura centralizzata, come in questo caso, nessun governo nazionale può intervenire per impedirlo. Per capire: chiedere al governo italiano di intervenire per non commercializzare un prodotto approvato all’Ema con procedura centralizzata, equivale a chiedere a un presidente di una regione di non commercializzare un prodotto autorizzato a livello nazionale. E d’altra parte, da alcuni anni in Italia non è il ministero della Salute a occuparsi di autorizzare e monitorare farmaci, ma l’Aifa, un’agenzia indipendente. La politica è estromessa da questo settore.
Uno spunto in più di riflessione, in un periodo in cui si invocano i cosiddetti “tecnici” aspettandoci da loro chissà quali effetti salvifici rispetto alla politica: dobbiamo essere consapevoli che ogni volta che una competenza viene tolta a istituzioni politiche e data a organismi tecnici “indipendenti”, nazionali o, peggio ancora, internazionali, poi è difficilissimo intervenire nel merito. Gli organismi tecnici e burocratici non rispondono direttamente ai cittadini, ma a logiche interne e di settore, e non per cattive intenzioni di chi ne fa parte, ma proprio per il modo in cui sono progettati e costruiti. Qualsiasi Authority, per definizione, è indipendente dalla politica.
La Ru486 è stata il primo e sarà sicuramente l’ultimo farmaco esplicitamente abortivo: le polemiche non aiutano le vendite, in questo settore. Con EllaOne l’aborto è incerto, mai verificabile e tantomeno lo si potrà quantificare, e per i contraccettivi non ci sono leggi da rispettare, di solito: la vendita è libera. La strada è definitivamente segnata: senza più confini fra contraccezione e aborto, una pillola vale l’altra. Funzionano tutte, purché presa ognuna al momento giusto - una prima del rapporto sessuale, altre poco dopo, altre ancora dopo un po’ - e a distinguerle saranno solo gli effetti collaterali. Con un disastro educativo, oltre che sanitario: se l’aborto e la contraccezione si confondono, il giudizio ne esce indebolito, e la prevenzione diventa quasi impraticabile.
Le leggi, a quel punto, regoleranno solo gli aborti tardivi, perché le pillole della “contraccezione di emergenza” non rientrano nella 194 - perché non è possibile formulare un certificato di gravidanza quando c’è un embrione formato ma non annidato in utero, visto che non esistono test in grado di accertarne la presenza - e l’obiezione di coscienza non sarà più un problema. Ci penseranno le donne, da sole, a procurarsi la pillola giusta, con grande sollievo dei compagni-partner-fidanzati-mariti.
Dobbiamo essere pronti ad affrontare l’aborto che cambia, quello nascosto e incerto, consapevoli di avere pochi strumenti a diposizione.



Primo: è importante che venga osservata la richiesta di test di gravidanza negativo, per avere la prescrizione di EllaOne. Come già detto, attualmente nessun test è in grado di verificare la presenza di un embrione formato ma non ancora annidato in utero. Ma quelli precoci a disposizione possono evitare che la pillola sia presa da donne con una gravidanza iniziale, di una-due settimane, per la quale ancora non c’è il ritardo del ciclo. E, inoltre, la richiesta di un test da eseguire in laboratorio veicola un messaggio di attenzione, di una pillola che va presa con precauzione, non di un farmaco immediatamente disponibile sullo scaffale, su semplice richiesta. Nella pratica, il ricorso a un test di gravidanza più serio, cioè che non si può semplicemente comprare in farmacia, ma che bisogna fare in laboratorio, potrà contribuire a evitare “l’abuso del fine settimana”, che costituisce ormai un fenomeno preoccupante soprattutto per le minorenni.
Secondo: è necessaria una produzione scientifica importante sia qualitativamente che quantitativamente, per poter argomentare - nelle sedi adeguate - gli effettivi meccanismi di funzionamento di questi contraccettivi “post-concezionali”. La battaglia, per essere efficace, va fatta all’interno delle società scientifiche e nei convegni nazionali e internazionali di settore.
Terzo: in parallelo, è necessaria un’informazione corretta, soprattutto ai giovani, nel territorio, possibilmente all’interno dei consultori pubblici, ma anche nell’ambito dei progetti di educazione all’affettività che possono essere proposti alle scuole (dove ormai entra di tutto). Un’informazione che non significa un elenco di notizie, pur corrette, ma un vero e proprio percorso educativo, innanzitutto alla responsabilità dei rapporti interpersonali.

martedì 19 luglio 2011

PIEMONTE,PER UNA VOLTA CHE UN POLITICO AVEVA FATTO QUALCOSA "PER LA VITA" ECCO CHE I GIUDICI LO CASTIGANO!!



di Mario Palmaro
19-07-2011



Fuori i volontari pro life dai consultori pubblici. Lo ha stabilito il Tar del Piemonte, che è intervenuto a piedi uniti sulla decisione del Governatore della Regione, Roberto Cota, il quale - insieme alla maggioranza sostenuta da Lega e Partito della Libertà - aveva invece aperto le porte alla collaborazione con la Federazione piemontese del Movimento per la Vita, guidata da Marisa Orecchia. 
La sentenza del Tar ha un forte significato politico. I giudici amministrativi, infatti, hanno cancellato un “esperimento” che poteva avere una straordinaria rilevanza innovativa anche a livello nazionale, perché vedeva una regione italiana riconoscere ai volontari antiabortisti un ruolo attivo all’interno delle strutture dello stato. Strutture nelle quali abitualmente prevale la logica della mera certificazione della volontà della donna, al punto che certi consultori si meritano l’appellativo di “abortifici”.
Il Tar piemontese ha voluto lanciare un segnale a tutte le regioni: castigare un governatore per ammonirli tutti. Con questa decisione si è voluto stoppare una scelta forte di Roberto Cota, leghista e cattolico, che nella sua campagna elettorale si era impegnato pubblicamente sul fronte dei valori non negoziabili. Cota aveva anche sottoscritto pubblicamente un “Patto per la vita”, chiamando alcuni esponenti del mondo cattolico – Massimo Introvigne, Mauro Ronco, Maria Paola Tripoli e la già citata Marisa Orecchia – a fare da “garanti” all’effettiva attuazione degli impegni assunti. Questa scelta ha permesso a Cota di sconfiggere, contro molte previsioni, il suo avversario, l’abortista e laicista Mercedes Bresso, sostenuta per altro dall’Udc di Pierferdinando Casini.

Appena eletto, Cota ha onorato i suoi impegni, e il Tar gli ha risposto con questa decisione evidentemente punitiva e ideologica.



Ma questa sentenza amministrativa dice anche un’altra cosa, forse ancor più importante: conferma che la  194 del 1978 è una legge totalmente, inequivocabilmente abortista. Da molti anni si è diffusa nel mondo cattolico una leggenda, quella secondo cui il legislatore italiano avrebbe voluto, con la 194, combattere la piaga dell’aborto. Questa tesi sarebbe stata corroborata dall’esistenza di una “parte buona” della legge, rimasta inapplicata, orientata a dissuadere la donna intenzionata all’aborto. Il legislatore del 1978 voleva aiutare la donna a cambiare idea, ma poi – a causa di una distrazione collettiva durata 30 anni – questa nobile intenzione sarebbe stata dimenticata.


Ora, purtroppo nulla di tutto questo corrisponde a verità, e i giudici del Tar lo hanno dimostrato. Il legislatore del 1978 – un misto di istanze comuniste, socialiste, radicali e cattocomuniste – volle effettivamente “socializzare” l’aborto, cioè far pagare allo Stato l’aborto (negli Usa non è così) e prevedere la rimozione delle cause che inducevano la madre a richiedere l’aborto. Ma questa azione di assistenza sociale è preceduta da una barriera invalicabile: l’autodeterminazione della donna. Se è lei a chiedere un aiuto, allora la si aiuti. Se vuole soldi, latte in polvere e una casa, la si mandi dai soliti cattolici, che qualcosa si inventeranno. Ma questo non c'entra nulla con un’iniziativa unilaterale dello Stato, che cerchi di convincere una madre a cambiare idea sull’aborto.



Il nodo è precisamente questo. Lo stato italiano con la legge 194 ha voluto sancire la sua totale neutralità di fronte alla condotta della donna: che scelga per la vita o contro la vita, non fa alcuna differenza.  Questa logica ispiratrice della legge 194  si traduce coerentemente nei suoi articoli e nella pluridecennale giurisprudenza che l’ha interpretata e applicata. Ed è proprio a causa di questa ratio che da più di 30 anni l’attività dei Centri di aiuto alla vita e di ogni associazione pro life è ostacolata in ogni modo. I volontari di questa galassia, infatti, non pensano affatto che abortire e non abortire siano la stessa cosa, e se incontrano una donna, nei modi e nelle forme più opportune, glielo dicono. Ma questo servizio alla verità è, obiettivamente, fuori legge.


Dunque, almeno in questo, dobbiamo ammettere che il Tar ha applicato in maniera coerente lo spirito della legge 194 del 1978. Ovviamente, questo non mette a posto la coscienza dei giudici, perché la mera applicazione delle leggi in vigore non basta a rendere giusta una sentenza: il ‘900 totalitario e sanguinario è costellato di sentenze “coerenti” con le leggi in vigore. Ma cerchiamo di aprire gli occhi di fronte a questa ennesima “lezione”: tirare fuori cose buone dalla 194 è come tentare di cavare il sangue dalle rape.


 

sabato 9 luglio 2011

ABORTO,PADRE GAHL GUARDA ALL'ABORTO ED A COSA QUESTO IMPLICHI NEL FUTURO

Aborto: segno di un qualcosa di peggiore?



Un docente di etica alla Santa Croce parla della perdita di umanità



Tratto dal sito ZENIT, Agenzia di notizie il 4 luglio 2011

L’aborto è segno di un qualcosa di pervasivo e profondamente radicato nella società: la perdita della identità dell’uomo, in cui gli uomini e le donne non si riconoscono più come esseri chiamati a partecipare del potere creativo di Dio.

Questa è l’osservazione espressa da padre Robert Gahl, professore associato di etica presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Al programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, padre Gahl ha parlato della storia dell’aborto e di cosa implichi per il futuro.

L’aborto è una piaga universale. Ogni anno si effettuano più di 53 milioni di aborti in tutto il mondo. In alcuni Paesi più del 70% delle donne ha avuto un aborto. Perché oggi sono così dominanti questioni come aborto o eutanasia?

Padre Gahl: È un triste paradosso, che in fondo evoca il peccato originale. Con il peccato originale, Adamo ed Eva hanno tentato di sostituirsi a Dio. Quando gli esseri umani oggi cercano di acquisire il potere divino – il potere sull’origine della vita – e di sostituirsi a lui per poter controllare l’inizio della vita in un modo che è contrario al disegno di Dio e quindi contrario al disegno dell’amore, si sentono per un momento potenti. Arrivano anche a sentirsi vittoriosi per il prodotto che sono riusciti a creare. Tuttavia, poco dopo, subentra la frustrazione e persino la negazione della propria identità, perché essa è un’identità di amore, essendo noi fatti per amare.

I nostri cuori sono fatti per l’amore. Quindi, da persone che amano, nei loro rapporti familiari, diventiamo dei meri produttori, persone che hanno il controllo sui propri prodotti. Diventa la negazione della nostra dignità, perché se il nostro potere di dar vita è semplicemente quello di produrre elementi che implicano che “io sono stato prodotto” e che “io sono semplicemente l’esito di un sistema meccanizzato di produzione”, questa è la negazione della mia dignità come figlio di Dio e come figlio dei miei genitori.

Se guardiamo indietro nella storia, qual è stato il momento, il fattore decisivo, che ci ha portato, per esempio, ad accettare l’aborto e la ricerca sulle cellule staminali e alla prospettiva dell’eutanasia?

Padre Gahl: L’aborto è purtroppo molto diffuso, al punto che oggi molte persone e persino i documenti delle Nazioni Unite, lo considerano come un diritto. L’origine di tutto questo sta nella rivoluzione sessuale, che non è stata una rivoluzione di liberazione, ma una rivoluzione di narcisismo, di alienazione, di distacco dai legami, dagli affetti, dall’amicizia e di amore con altri. Elemento centrale della rivoluzione sessuale, che ha agito come una sorta di catalizzatore – come gettare benzina sul fuoco – è stato lo sviluppo dei contraccettivi chimici, che ha permesso di scindere il rapporto sessuale dalla procreazione e che ha consentito alle persone di godere della sessualità come un mero piacere egoistico. Ha consentito di scollegare quell’intrinseco ordine verso il dono della vita e così facendo ha scollegato la sessualità dagli impegni propri dell’amore: formare una famiglia, diventare padre e madre. È stata una degradazione della dignità umana.

Credo che il problema dell’aborto sia come un faro d’avvertimento. Un segno di avvertimento molto grave, che riguarda la vita stessa, ma che è indicativo di qualcosa di ancora più pervasivo e profondamente radicato nella nostra società, più di quanto non si possa pensare.

E di che si tratta?

Padre Gahl: Della perdita di identità di se stessi, in quanto esseri che partecipano al potere creativo di Dio e che sono chiamati ad essere genitori.

L’aborto è spesso considerato come il diritto di poter scegliere, ma viene addirittura giustificato come espressione di amore. Per esempio: preferirei abortire mio figlio piuttosto che crescerlo privo di amore. Come è possibile che siamo arrivati a questo sovvertimento in cui la morte è giustificata dall’amore?

Padre Gahl: Il vero amore umano è incondizionato. Amare qualcuno nonostante tutto. Nonostante qualsiasi cosa possa accadergli, ti prenderai cura di lui. Se si ammala, se in un incidente diventa paralizzato, ti prenderai cura di lui per il resto della sua vita. Un altro tipo di amore – forse un amore più egoistico – è quello in cui doni a qualcuno solo finché ti va. L’aborto è strumentale a questo tipo di amore, diventa una via d’uscita.

Bisogna invece rovesciare l’intera questione e accogliere tutti, ogni vita umana, come diceva Madre Teresa: non esistono figli non voluti. Se c’è un figlio indesiderato, portatelo a me e io mi prenderò cura di lui perché io amo quel figlio.

E questa è la verità della questione: se dovessimo accettare l’aborto come strumento di una sorta di azione altruistica, che consente di evitare le avversità della vita, ciò porterebbe tragicamente, direi delittuosamente, a sostenere che i disabili non dovrebbero esistere. Una volta fatto questo, arriveremmo alla negazione di ogni dignità umana.

Siamo passati dall’importanza della vita in quanto tale, a dare maggiore importanza alla qualità di quella vita. Questo passaggio verso la qualità della vita porta alla domanda: qual è la qualità della vita? Io vivo qualitativamente bene? E i disabili, godono di una qualità di vita sufficiente? E questa domanda riguarda la loro stessa esistenza. 

Padre Gahl: Esattamente. La logica odiosa che è insita in ciò che lei ha appena descritto porta anche a giudicare noi stessi in base alle nostre capacità: io valgo per ciò che sono in grado di fare nella società. Se, a un certo momento, risultassi deludente perché mi sono ammalato, perché ho sbagliato, o perché mi trovo in un settore dell’economia che non è più desiderato dai consumatori, mi sentirei meno accettato da parte degli altri.

Questa struttura di giudizio si applica anche alle madri che danno alla luce bambini affetti, per esempio, dalla sindrome di Down. Queste madri si sentono giudicate negativamente ed è orribile, come se si fosse trattato di una scelta sbagliata, quella di mettere al mondo quel bambino, quel bellissimo essere umano. Questa è l’eugenetica: una logica perversa che ha portato, nelle società occidentali, all’aborto di quasi il 90% dei bambini diagnosticati con sindrome di Down.

Il dono più grande di Dio all’umanità è la possibilità di essere co-creatori della vita insieme a lui. Cosa rappresenta l’aborto in questo rapporto tra l’uomo e Dio?

Padre Gahl: Talvolta dimentichiamo – a causa del nostro “scientismo” che riduce tutto ad elementi scientifici – che l’inizio della vita umana non risiede solo nell’uomo e nella donna, ma anche in Dio. Richiede il concorso di tre persone, perché l’anima umana è immateriale. È un’anima spirituale che è creata direttamente e immediatamente da Dio. Quindi quando un uomo e una donna si uniscono per avere un figlio, questo sarà anche – e ancor di più – figlio di Dio.

Quindi, se riusciremo a recuperare il rispetto della vita, sarà grazie a una rinnovata consapevolezza del ruolo di Dio nel dare la vita e di questo potere che abbiamo insito in noi, che è un potere divino e trascendente. È un potere creativo in cui è come se avessimo Dio nelle nostre mani, perché possiamo, in un certo senso, dire noi a lui quando creare una nuova anima umana. Quindi se rinnoviamo quel rispetto per l’intervento di Dio, rinnoviamo anche il rispetto reciproco tra noi in quanto immagine di Dio, in quanto alter Christus.

In Paesi come la Russia, più del 70% delle donne ha avuto un aborto. I tassi di aborto in alcune province russe arrivano anche a livelli di 8 o 10 aborti per donna, perché è utilizzato come mezzo di controllo delle nascite. In Cina la politica del figlio unico ha costretto molte donne ad abortire. Che impatto spirituale e psicologico può avere questo sulla società?

Padre Gahl: Nell’Europa orientale, dove vediamo questi elevati tassi di aborto, spesso associati a elevati tassi di suicidio, alcolismo e gravi depressioni, esiste un senso di nichilismo, di totale perdita del senso della vita. Questo avviene in una società che non è edificata sull’amore per i propri figli. Questo deve essere rinnovato. Grazie a Dio, in alcuni di questi Paesi si è effettivamente registrata una tendenza positiva. Nella Federazione russa, in particolare, vi è stato un recente aumento nei tassi di natalità. I tassi di aborto sono ancora molto elevati, ma si spera che questo aumento della natalità possa arrivare anche a ridurre i tassi di aborto.

Cosa potrebbe e dovrebbe fare di più la Chiesa in questo ambito?

Padre Gahl: Anzitutto, quando pensiamo alla “Chiesa” tendiamo a pensare alla gerarchia – noi preti, i Vescovi, il Papa – ma in realtà la Chiesa è l’insieme dei cristiani battezzati. La Chiesa è una famiglia e quindi è necessario che tutti i suoi componenti – tutti i cristiani battezzati – accolgano la vita con amore. È necessario dare il proprio aiuto ai centri gravidanze difficili (crisis pregnancy centers). Certamente anche la Chiesa magistrale e gerarchica deve agire in coerenza con i principi della teologia morale cattolica in questo ambito.

La Chiesa deve continuare a seguire l’esempio di Karol Wojty?a, che come Arcivescovo di Cracovia aveva aperto centri di aiuto alle donne in situazioni difficili. Ma alla fine tutto si riduce a questo: Dio è amore. Io sono un figlio di Dio. Io sono fatto a immagine di Dio e quindi anche io devo rendere presente, in mezzo agli altri esseri umani, il volto di Dio, che è il volto dell’amore. Se facessimo così in ogni settore umano, se mostrassimo veramente rispetto per la dignità umana, rispetto e amore per le persone che soffrono, allora potremmo iniziare a recuperare nella società questi principi che sono necessari affinché ogni vita umana venga accettata. In questo modo, la vita non verrebbe più considerata come un mero prodotto, come i figli su misura da progettare in provetta, secondo i desideri dei produttori.

Se posso fare un passo indietro, vorrei aggiungere che anche la stessa nostra sessualità deve essere recuperata, nella consapevolezza che la sessualità è sacra e che quindi i nostri atteggiamenti di modestia e di rispetto verso la nostra sessualità e il desiderio sessuale devono essere vissuti in castità e fortezza, in modo preordinato alla donazione della vita all’interno della struttura della famiglia.

giovedì 7 luglio 2011

POLONIA: STOP ALL'ABORTO?

A Varsavia primo via libera per lo stop all'aborto

di Marco Respinti, con la collaborazione della dott. ssa Lidia Zawada




Tratto da 
La Bussola Quotidiana il 6 luglio 2011
Il primo passo verso l’auspicata svolta storica la Polonia lo ha compiuto. La sua legislazione che, seppur a certe condizioni, consente l’aborto è ora un po’ meno impenetrabile. Come peraltro ci si attendeva, venerdì 1° luglio il Sejm, la "Camera bassa" del parlamento di Varsavia, ha votato la proposta di legge d’iniziativa popolare presentata all’aula il giorno precedente che, forte di 600mila firme raccolte dalla Fundacja PRO con l’appoggio dell’associazione civica Piotr Skarga, mire alla cancellazione totale e senza eccezioni dall’ordinamento giuridico polacco dell’interruzione volontaria della gravidanza. Per sostenere la decisione dell’aula, 40 deputati di diversi partiti hanno scelto di rendere alcune testimonianze davvero commoventi, in qualche caso persino personali.
Adesso - come appunto previsto - se ne occuperanno due Commissioni parlamentari, quella che cura le Politiche sociali e familiari, e quella competente per la Salute, quindi il testo tornerà al voto della Camera, a questo seguirà il voto del Senato e infine spetterà al presidente della repubblica pronunciarsi sulla trasformazione in legge della proposta. Contro un suo eventuale veto, il parlamento potrà a quel punto ancora agire un’ultima volta indicendo una votazione d’appello che vincerà solo ottenendo la maggioranza qualificata dei due terzi dei suffragi.
Ci voleva poco, dice però qualcuno, per ottenere un risultato così, comunque iniziale e ancora passibile d’invalidazione: dopo tutto - si osserva - si è trattato praticamente di un atto dovuto, tra l’altro compiuto da un’assise il 90% dei componenti la quale alla vigilia si dichiarava - nonostante tutto - cattolico. Certamente è vero, ma lo è in parte.
Anzitutto perché non è cosa da poco il solo fatto che in un Paese europeo - sia pure culturalmente e religiosamente particolare come la Polonia - scatti il semaforo verde - anche se per ora di routine - di fronte alla proposta di rivedere una legge percepita dalla mentalità (anche giuridica) corrente come "leggera" e dunque "tollerabile". In secondo luogo perché i bastoni tra le ruote qualcuno ha comunque provato a metterceli.
Il dibattito parlamentare di venerdì si è infatti svolto in due momenti successivi. Anzitutto l’aula è stata chiamata a esprimersi sulla mozione dell’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD) di rigettare per intero la proposta senza nemmeno discuterla. Quindi, bocciata quell’iniziativa con 254 voti a favore e 151 contrari (11 sono state le astensioni), su proposta del partito Legge e Giustizia (PiS) i parlamentari hanno finalmente deciso, con 261 voti a favore e 155 contrari (e un solo astenuto), d’inviare il testo alle due suddette Commissioni, inaugurando l’iter legislativo.
In occasione del primo voto, gli antiabortisti hanno cioè dovuto trovare la forza e i numeri per superare lo sbarramento eretto dagli ex comunisti spalleggiani in maniera determinante da ben 108 deputati (la maggioranza) del partito Piattaforma Civica (PO), ossia la formazione del primo ministro Donald Tusk.
Sull’aborto, insomma, il partito di governo si è spaccato in due (69 suoi deputati, uniti a 166 del PiS e a 31 del Partito dei coltivatori presenti in aula, hanno votato contro la mozione dell’SLD di cancellare la discussione). Lo stesso premier Tusk, sovente presentato fuori dai confini polacchi come un conservatore, incarna una opzione politica decisamente laicista del tutto allinata alle posizioni polticamente corrette e liberal che l’Unione Europea osserva e promuove su temi "eticamente sensibili". In una intervista del 1° giugno a Gazeta Wyborcza di Varsavia - il secondo più diffuso quotidiano polacco, di orientamento progressista - Tusk si è del resto espresso a favore della legalizzare delle unioni omosessuali, sostenendo che il suo partito particherà la tolleranza zero verso coloro che il premier polacco definisce "omofobi". Ma evidentemente - il voto sull’aborto lo dimostra - nemmeno dentro il suo partito tutti la pensano in modo uguale, segno evidente del grande e trasversale scontro politico-culturale in atto oggi nel Paese.
Bronislaw Maria Komorowski, presidente della repubblica ed ex (secondo il titolo che dal secolo XV spetta al presidente della "Camera bassa" polacca) Maresciallo del Sejm, vicepresidente del PO cui sull’aborto spetterà il verdetto finale dopo i voti di Camera e Senato, ha dichiarato di non vedere alcuna necessità di modificare la legge giacché, a suo avviso, le disposizioni attuali garantiscono con il «massimo bene politicamente possibile» la protezione della vita nascente senza peraltro costringere le persone ad atti di "eroismo". Un numero enorme di polacchi, comunque, dall’intera gerarchia cattolica del Paese alla Sezione di ostetricia e ginecologia dell’Associazione Cattolica dei Medici Polacchi, che ha inviato una lettera aperta al Sejm in occasione del voto di venerdì, la pensa in modo esattamente contrario.
Né il cartello delle Sinistre - l’SLD, l’associazione ambientalista Green 2004, il Partito delle Donne, la Federazione per le donne e la pianificazione familiare, nonché l'associazione Campagna contro l'omofobia - batte la fiacca. Per l’autunno l’SLD promette una proposta di legge per la liberalizzazione dell'aborto, previa istituzione di corsi di educazione sessuale scolastici sin dalle classi elementari nonché il rimborso agli utenti sia di contraccettivi sia di operazioni di fecondazione in vitro. E per sostenere l’azione ha allestito di fronte al parlamento una mostra fotografica. Gran testimonial è l’ex ministro della salute Marek Balicki (SLD), per il quale la condizione femminile nella Polonia di oggi è identica a quella dell'Arabia Saudita o dell'Iran.
Un importante tassello di questa delicata ma accesa partita a scacchi è infine costituito dallo scenario mediatico. L'unico quotidiano nazionale fino a poco tempo fa attestato su posizioni conservatrici, Rzeczpospolita di Varsavia, è stato acquistato dalla società Grevimedia dell'imprenditore Grzegorz Hajdorowicz il cui consiglio di amministrazione è presieduto da Kasimierz Mohol, ex vicecapo del WSI, cioè gli eredi dei servizi segreti militari attivi durante il regime comunista. C’è chi pronostica un brusco mutamento di fronte, accompagnato da una valanga di licenziamenti, come del resto già successo per altre testate - per esempio il periodico cattolico conservatore Ozon, acquistato e subito chiuso - e alcune trasmissioni televisive. Contro il laicismo massicciamente diffuso nei media - dicono a La Bussola Quotidiana fonti polacche - restano quindi oggi soltanto Radio Maryja diretta a Tórun, nel nord del Paese, da don Tadeusz Rydzyk e il settimanale Gazeta Polska - fondato nel 1993 e diretto a Varsavia da Tomasz Sakiewicz -, che però ha diffusione solo locale.
Il 9 ottobre la Polonia andrà a elezioni politiche. Per il presidente Komorowski è ovvio che i partiti facciano a gara nel mostrasti già da ora più realisti del re in un Paese dove la gente è comunque fortemente sensibile ai "princìpi non negoziabili". Komorowski lo dice con gran cinismo. Noi, senza nemmeno un’ombra di sarcasmo, speriamo abbia ragione.