di Marco Della Luna 18.06.12
E’ sotto gli occhi di tutti che il modello mercatista, neoliberista, ha tradito promesse e speranze. Con la sua ingenua o maliziosa fiducia nella supposta efficienza dei mercati (capacità di prevenire o riassorbire le crisi e di mantenere la crescita), ha oramai palesemente dimostrato di produrre effetti contrari a quelli promessi, e rovinosi per l’economia, la società, i principi di eguaglianza, sicurezza, libertà. La sua immagine si regge ancora sul fatto che esso è stato fuso con le istituzioni, con l’autorità, e che è divenuto, da circa un trentennio, il pensiero unico . Manca una diffusa consapevolezza che esso non è l’unico modello, che vi è almeno una alternativa ad esso, la quale ha dato ottimi frutti nel passato, ossia il modello keynesiano, il quale nacque appunto e fu inizialmente applicato per uscire dalla grande depressione del 1929, cioè dal grande fallimento dei mercati e del mercatismo, e dopo che il metodo mercatista e liberista era stato tentato per curare la recessione, e che ebbe disastrosamente fallito. Cioè si affermò in una situazione analoga all’attuale.
Pertanto non è che si stia scoprendo solo oggi che l’approccio mercatista non funziona e fa disastri: lo si sa da circa 80 anni. Però la gente non si cura della storia e le si può sempre riproporre vecchie trappole
Allora, torniamo a Keynes? Gli Stati devono ridurre la pressione fiscale e investire, anche a deficit, per far salire i redditi, quindi la domanda aggregata? Devono spendere in ampi e lunghi programmi infrastrutturali per garantire agli imprenditori un trend crescente che li induca a investire anch’essi e ad assumere, nella razionale aspettativa che quel trend farà sì che vi sia domanda per i loro prodotti, e che quindi i loro investimenti saranno ammortizzati e remunerati nel tempo? Gli Stati dovranno, per un certo tempo, accettare di aumentare i loro deficit e i loro debiti pubblici e i tassi che pagano su essi, finché la ripresa non si sia consolidata e gli Stati possano quindi ridurre i loro esborsi e alzare le tasse, così da rilanciare gradualmente le loro finanze, spirando di vincere, in sella al pil, la corsa contro deficit, debito e tassi, come già la vinsero nel passato?
Gravi ragioni inducono a prevedere che una ricetta keynesiana, se applicata alla situazione contemporanea, si tradurrebbe in una gigantesca implosione, in un disastro colossale. Questo perché le condizioni odierne sono ben diverse da quelle degli anni ’30 e del dopoguerra, che consentirono agli USA e ad altri paesi di applicare quella ricetta e di vincere la rincorsa sull’indebitamento..
Quelle condizioni, oggi perdute, erano:
-lo slancio e il bisogno della ricostruzione postbellica;
-il primato industriale e l’assenza di competitori manifatturieri (soprattutto di quelli a bassissimo costo del lavoro);
-la stabilità del Dollaro come valuta di riserva, convertibile in oro e non ancora inflazionato;
-il basso costo e l’abbondanza delle materie prime;
-la robusta crescita demografica e il favorevole rapporto tra giovani e anziani;
-un’economia reale non sottomessa e perturbata da quella finanziaria;
-la possibilità di finanziare il debito pubblico senza essere sottoposti alle speculazioni dei mercati.
Oggi queste condizioni sono dissolte o addirittura capovolte, onde reputo che una ricetta keynesiana, quand’anche corretta e raffinata (ossia che avesse cura di non destinare soldi alla spesa corrente e alle assunzioni facili, ma solo a investimenti produttivi e infrastrutturali utili), oggi fallirebbe, e che perderemmo la corsa col deficit, col debito e coi tassi che tale opzione scatenerebbe.
La ricetta keynesiana è stata collaudata per diversi decenni, ma una sola volta, cioè entro un trend complessivamente uniforme. Oggi quel trend non c’è più ed essa verosimilmente non funzionerebbe, e questo sicuramente a Berlino lo si capisce. La Merkel ha un fondamento di ragione nel rifiutarsi di acconsentire a manovre keynesiane. Ma se ha ragione la Merkel, e non vi è altro da fare che proseguire la marcia funebre intorno al baratro in attesa di caderci dentro, allora meglio spararsi subito. In realtà si può uscire dall’alternativa di questi due approcci sbagliati e fallimentari entrambi. Per farlo bisogna superare il piano comune a keynesismo e mercatismo, e alle loro rispettive ricette.
Incominciamo rilevando che il dibattito monetario tra mercatismo e keynesismo è un dibattito su opzioni riguardanti il trasferire risorse monetarie, i tassi di interesse, le agevolazioni, etc. Al più, si parla di creare risorse monetarie aggiuntive (come si farebbe con gli eurobond). E’ un dibattito, insomma, tutto sugli aspetti quantitativi della moneta. Esso ignora completamente gli aspetti qualitativi di essa. Non si parla, cioè, delle opzioni circa i tipi di moneta da usarsi e il loro “genoma”. Né delle “malattie” genetiche delle monete stesse. Ma prima ancora delle variabili e delle variazioni quantitative della moneta – quanta ve ne è nel mercato e a che prezzo e condizioni – e dei loro effetti sull’economia, nonché degli interventi su queste variabili, esistono variabili e variazioni qualitative delle monete. E possibilità di intervenire anche su di esse, sulle proprietà delle monete, ad esempio per superare una depressione.
Pretendere di trattare una crisi finanziaria lavorando solo sulle quantità della moneta, è assurdo esattamente come pretendere di trattare un paziente con uno squilibrio alimentare regolando soltanto quanto e quando il paziente deve mangiare, e non regolando che cosa debba mangiare o evitare.
Invero, esistono differenti tipi di moneta possibili, con differenti funzionamenti, differenti possibili tipi di banche centrali e di banche di emissione . Ovviamente, dicendo “tipo di moneta” non intendo semplicemente le banconote o i saldi attivi dei depositi bancari e simili, ma intendo sistemi monetari, ossia i meccanismi di generazione, cessione, prestito, cambio, contabilizzazione, delle monete, e pure di loro sostituzione con sistemi di unità di conto e clearing multilaterale.
Si tratta quindi di andare a guardare dentro la moneta, nel suo “genoma”, nel potenziale di questo. A questa esplorazione e alla conseguenti proposte risolutive si rivolge un saggio che sto ultimando, sotto il provvisorio titolo di Evitare l’€urolager, e che prevedo uscirà a settembre presso MacroEdizioni – Arianna.
A ogni tipo di moneta corrispondono specifiche conseguenze strutturanti per la società e l’economia, che inizialmente sono sovente impercettibili quindi non vengono considerate, non vengono capite, ma poi si amplificano e si fanno sentire nel tempo, fino a produrre distorsioni e crisi di insostenibilità, fratture di sistema, a livello nazionale, internazionale e globale – perché anche il mondo, nel suo complesso, adotta monete globali, come ora il Dollaro, e prima del 1929 la Sterlina. Il Dollaro è, al contempo, moneta nazionale USA e moneta globale – il che produce specifici vantaggi e specifici squilibri, come è noto. Conferire al Dollaro questa anfibolica funzione fu la scelta di fondo di Bretton Woods. Ma molti altri sono le malattie della moneta su cui agire, iniziando da quella detta della “moneta-debito” e continuando con l’equivocazione tra moneta e merce, i criteri contabili difformi dalla realtà economica e giuridica della moneta e del credito, la logica del monopolio monetario.
18.06.12 Marco Della Luna
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