di Maurizio Blondet ,
I media vi dicono: «strage a Mariupol. Una raffica di missili Grad e Uragan si è abbattuta sulla periferia orientale dell’importante città sul Mar Nero uccidendo – secondo il Comune – almeno 30 civili. (…) Gli esperti OSCE ritengono che i razzi siano piovuti da nord-est e da est, cIOè dalle aree di Oktiabr e Zaicenko, entrambe controllate dalla repubblica popolare di Donetsk». Sono gli stessi media che hanno taciuto una strage, avvenuta il 13 gennaio, nella cittadina di Volnovaya: 10 morti e 13 feriti. Hanno colpito un autobus di pensionati del Donbass, abitanti a Donetsk, che si recevano in una città vicina a ritirare la pensione, dato che Kiev ha interrotto i pagamenti nella città capitale dei separatisti. Taciuto? Anzi, il Fatto Quotidiano ha accusato i separatisti del Donbass di aver ucciso il pensionati del Donbass colpendo il pulmann che proveniva dal Donbass.
Nei giorni seguenti è stato appurato che ad uccidere quei civili sono stati i combattenti di Kiev, come atto di vendetta e di dispetto per aver perduto l’aeroporto di Donetsk, giovedì scorso, dopo giorni di combattimento. Ora invece, ecco tutti media a fare i titoloni: i separatisti fanno strage in un mercato a Mariupol! «Violenza in Ucraina!». Il vocabolario è accuratamente scelto. L’uso della parola violenza serve tacere il fatto che quelli d i Kiev hanno rotto la tregua mediata da Putin a Misk, a cui si sono impegnati da settembre: non è l’offensiva Poroshenko, è solo violenza che scoppia qua e là. Vuol indicare che ogni azione dei ribelli è illegittima e illegale; c’è la guerra là, ma non lo si dice: è violenza, come nelle banlieue di Parigi, come quella dei narcos messicani.
Ovviamente, i nostri media non vi faranno vedere questi video: che dimostrano la presenza di combattenti americani a Mariupol. La fonte è al disopra di ogni sospetto, in quanto ucraina: una giovane giornalista televisiva e il suo cameraman stanno mostrando le devastazioni e le fiamme del mercato di Mariupol colpito da artiglierie, forse da razzi Grad. Ad un certo punto avanza correndo un soldato che la giornalista crede un ucraino, perché indossa la mimetica ucraina e ha un kalashnikov; lei gli corre dietro chiedendogli: «Che cosa è successo qui? Mi dica?». Il cameraman cerca di prendere il volto del soldato «ucraino». La risposta del soldato «ucraino» è furiosa, e in inglese: «Out of my face please!». E se ne va tutto affannato. La giornalista resta di stucco: com’è che i nostri eroici soldati parlano inglese da lingua madre, con una frase idiomatica?
Andare al minuto 2.36 per la risposta del soldato “ucraino”
L’arrivo di soldati Usa sul terreno è stato annunciato ufficialmente il 21 gennaio scorso dal generale Ben Hodghes, capo della US Army Europe, ma solo come «addestratori» per i soldati di Kiev, e dalla primavera, insieme a carri armati e artiglieria e missili Stinger (votati entusiasticamente dal Congresso). Già i separatisti del Donbass aveva riferito di aver trovato, sotto le macerie dell’aeroporto di Donetsk appena riconquistato, i corpi di mercenari stranieri vestiti con uniformi NATO. «A giudicare dai loro effetti personali si trattava di mercenari reclutati da società militari private e mascherati da commandos ucraini», ha detto Eduard Bassurin, che si definisce capo di stato maggiore delle forze d’autodifesa di Donetsk. Ovviamente i media nostrani non hanno dato peso alla propaganda ribelle… Ma chissà che quel combattente che si affanna nel video e sbotta in inglese sarà uno di quelli, sopravvissuto?
I due ostaggi giapponesi: video falsificato?
«L’ISIS decapita uno dei due ostaggi giapponesi», scrive Repubblica. «Shinzo Abe: alte probabilità che il video sia autentico». Quel che vediamo noi spettatori è che Kenji Goto Jogo, l’ostaggio sopravvissuto (giornalista freelance, ci dicono), mostra la foto che proverebbe l’esecuzione per decapitazione dell’altro Haruna Yukawa («un contractor», ci dicono. Contractor?!). La foto è stata però sfocata artificialmente per risparmiare i nostri cuori sensibili la cruda scena della decapitazione.
È un accorgimento molto opportuno. Perché sul precedente video, quello rituale che mostra il solito boia in nero che pontifica in ottimo inglese fra i due «prigionieri» in arancione Guantanamo. Il giornale nipponico Yomiuri Shinbun ha tratto la conclusione che c’era in esso qualcosa di falso, e pare modificato in studio.
Le facce dei due prigionieri proiettano ombre opposte: come se il primo ostaggio di sinistra fosse illuminato dal sole da sinistra, e per l’ostaggio di destra, dal Sole sorto a destra. Ora, il Sole non poteva essere in due posizioni diverse, nello stesso video e nello stesso momento. Le camicione arancione dei due poveretti «non fluttuano al vento all’unisono», ha detto al giornale Tsuyoshi Moriyama, professore associato al Politecnico di Tokio, esaminando i fotogrammi. «Le immagini dei due prigionieri sembrano riprese in tempi differenti e poi combinate insieme nel video; per realizzare un video così composito, serve un alto livello di abilità e conoscenza».
Fatto impressionante, lo Yomiuri Shinbun non è affatto un giornale alternativo e complottista: è il quotidiano più venduto del Giappone e quindi del mondo, 14 milioni di copie, centro-destra, autorevole, moderato e ufficioso, quasi un mega-Corriere della Sera.
Il Grande Illusionista all’opera
Il fatto che un simile giornale sia indotto a sospettare un falso – o un false flag – e a render note le sue osservazioni, la dice lunga sul pervadente, continuo Grande Spettacolo delle Illusioni che è in atto per convincere noi spettatori delle varie «versioni ufficiali» che ci vengono propinate sui tragici eventi in corso, siano l’eccidio di Charlie Hebdo attribuito ai terroristi islamici, le sparatorie di questi medesimi terroristi franco-islamici e la loro uccisione per mano della polizia, siano le decapitazioni del Califfato, la «violenza» in Ucraina, i bombardamenti americani in Siria contro l’IS (in realtà contro Assad).
Che cosa sappiamo di questi eventi? Solo ciò che ci viene mostrato ed asseverato in televisione. Da queste immagini e dai commenti dei telegiornalisti traiamo la convinzione che sono “cose vere”. E come dubitarne? Le telecamere, i giornalisti, erano “presenti”, ci hanno raccontato quel che hanno visto coi propri occhi.
I 56 capi di Stato e di Governo che marciano in testa alla immane manifestazione dell’11 settembre a Parigi, fieri, col petto in fuori e l’aria dei grandi momenti della storia, a formare la prima linea davanti ai tre milioni di anonimi cittadini partecipanti.
Che ve ne pare? Non vi sembra di vedere dietro di loro la grande folla? Ebbene, sì, perché fotografi e cameramen hanno avuto l’accortezza – o forse l’istruzione – di riprendere la scena dal basso verso l’alto.
Ma qualcuno ha ripreso la scena dall’alto, probabilmente da una finestra di un appartamento, ed ecco che tutto cambia:
I grandi capi politici europei (più Netanyahu, Poroshenko, africani vari…) non sono affatto alla testa del corteo vero. Dietro di loro c’è un lieve cordone di agenti, e poi il vuoto. In realtà, si sono radunati qualche minuto in una strada adiacente – presso la stazione del métro Voltaire – prima che il corteo dei 3 milioni cominciasse, e hanno posato per i media e le telecamere del mondo intero. Le quali si sono ben guardate dallo smascherare il trucchetto. Pochi minuti per la photo opportunity, e gli abbracci fra Hollande e Merkel; poi si sono messi in posa, hanno fatto qualche passo in avanti in formazione a falange per sembrare quelli che avanzano prima e davanti ai popolo… e poi tanti saluti e ciascuno è corso a prendere il jet di servizio che lo aspettava. La manifestazione vera s’è tenuta dopo, senza la partecipazione dei «grandi».
Da qui si constata come ciò che vi fanno vedere, che «vedete con i vostri occhi in tv», e che i reporter «presenti sulla scena» vi assicurano essere reale, non è realtà. Al massimo è una inquadratura della realtà. Un preciso taglio d’immagine, che ne esclude molte altre.
Che cosa ci hanno fatto vedere sulla strage di Charlie Hebdo? Nessuna foto della redazione dopo l’assalto, nessuna immagine se non quelle prese, dal tetto, dal giornalista che si trovava lì per caso. Da certe immagini, si vede che tra quelli che erano sul tetto ce n’è uno che indossa un giubbotto antiproiettile blu, che pare quello della polizia: israeliani e poliziotti sui tetti di Parigi?…
Non abbiamo visto i corpi dei quattro uccisi nel negozio kosher (Netanyahu ha detto che li hanno portati in Israele per seppellirli). Non abbiamo visto i cadaveri dei 17 uccisi nella redazione. Non abbiamo visto nemmeno, a ben pensarci, nemmeno i corpi dei due fratelli Kouachi: ci hanno detto che le forze dell’ordine hanno dovuto ucciderli, come hanno ucciso Coulibaly nel negozio di cibi kosher. Ma cosa ne sappiamo? Crediamo che sia vero: lo è? Siamo così sicuri che i fratelli Kouachi siano morti? E di come sia morto Coulibaly, siamo proprio sicuri? L’abbiamo visto «coi nostri occhi» precipitarsi contro la vetrina, e poi cadere crivellato di colpi dagli agenti che si affollavano fuori: ma abbiamo visto che quella grossa ombra, mentre cadeva, pareva avere le mani legate o ammanettate?
Singolare discrezione dei giornali francesi, o singolare incapacità dei giornalisti: non sono andati a intervistare le famiglie di tanti morti ammazzati. Non scavano sugli eventi di contorno, tremendamente sospetti.
Helric Fredou
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Per esempio, il suicidio di Helric Fredou, vice-commissario di polizia di Limoges, incaricato dell’indagine sull’eccidio di Charlie Hebdo. Ricevuto l’incarico, il commissario si sarebbe ritirato nel suo ufficio e sparato un colpo in testa. Incredibilmente, la curiosità dei giornali francesi non si è spinta oltre. Fatto ancor più stupefacente è stata una tv indiana, Zee News, nel suo speciale Daily News & Analysis (DNA), a indagare sulla morte del commissario e a parlare con i suoi familiari.
Né la sorella né la madre dell’agente Fredou credono affatto al suicidio. La sorella: «Mio fratello era a casa quella sera, e siccome era reperibile, l’hanno chiamato ed è andato al commissariato verso le 23.30… la giornata era stata tesa secondo i colleghi… erano presenti dei poliziotti da Parigi quella sera… (Mio fratello) doveva redigere un rapporto, ma c’erano state delle frizioni, non so perché. Ha detto che doveva fare una telefonata urgente e, quando dopo un po’ non era ancora tornato… hanno mandato un collega a cercarlo… e lo hanno trovato morto! Non ha lasciato nessuna lettera né il distintivo sulla scrivania» (molti dei poliziotti che si suicidano, lasciano il loro distintivo in vista). Dei personaggi sono venuti da Parigi per spiegarci come era successo…Ci hanno portato via i computer e il suo cellulare privato; ci hanno preso tutto e questo ci ha colpito, ma ci hanno detto che era la procedura».
Nel pomeriggio dell’8 gennaio, gli agenti hanno frugato il domicilio del defunto collega in presenza di madre e sorella. Le due donne hanno dovuto insistere perché fosse consentito loro di vedere il corpo del loro caro alla morgue: «Aveva una benda sulla fronte. Sul lato, trapanato a causa dell’autopsia. Dietro il cranio, non c’era niente».
Ma che relazione aveva scritto o doveva scrivere il vice-commissario? Sembra certo che si dovesse occupare non degli assassini, ma della convivente di un assassinato: Jeannette Bougrab, la compagna del direttore di Charlie Hebdo, al secolo Stephane Charbonnier detto Charb. La convivente, un’avvocata di affari, ex segretaria di Stato, «araba atea» per sua ammissione, ha pianto in tutti i talk shows proclamando che il suo amato Charb doveva essere inumato nel Pantheon delle glorie nazionali. E indicativo pero che la famiglia del morto neghi questa relazione e convivenza… strano. Strano.
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