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mercoledì 21 agosto 2013

IL POPOLO DEI CIELLINI, IMPREPARATO, HA BEVUTO ED APPLAUDITO....SVEGLIA ! SE NON AMATE L' ECONOMIA E LA FINANZA APRITE LA BIBBIA E FORSE CAPIRETE!!!!

RIMINI: LA FAVO-LETTA CONQUISTA IL POPOLO DI CL
Di Marco Della Luna, 19 agosto 2013





Analisi critica delle false spiegazioni di un merkeliano fedele

Come sempre fanno le istituzioni e quasi sempre la politica, nei loro discorsi a Rimini ieri (uno registrato, l’altro dal vivo), Napolitano e Letta, contro il loro stesso motto “parlate il linguaggio della verità”, hanno spiegato al popolo di CL la crisi e “come uscirne” in termini emotivi, soggettivi, infantili, fasulli. E il popolo di CL, impreparato e irrazionale, ha bevuto, ha applaudito, anzi è stato conquistato.

Immaginate una città colpita da tassi elevatissimi di tumori, con la gente che emigra o manda via i figli per sfuggire al cancro. L’alta incidenza di tumori è causata dai pesticidi degli agricoltori che finiscono in falda, dall’asbesto emesso da una grande industria americana, dalla diossina emessa da una grande industria svizzera, dai metalli pesanti emessi da una grande fonderia tedesca, dal nanoparticolato emesso da un inceneritore di una municipalizzata gestita da mafia e politici corrotti. Le autorità cittadine sanno che le cause sono quelle, non hanno fatto nulla per rimuoverle perché sono condizionate dai capitali americani, svizzeri, tedeschi, mafiosi e perché dipendono dal voto degli agricoltori per restare in carica. 
Quindi ai cittadini non menzioneranno nemmeno pesticidi, diossina, nanoparticolato, metalli pesanti – niente che possa nuocere al business; non diranno che le cause sono sempre lì, quindi la moria di cancro continuerà, salve normali fluttuazioni; ma taceranno le cause. Non diranno: “se l’inquinamento non cesserà, interverremo di forza per rimediare”; bensì diranno: “in passato sono stati fatti gravi errori e non siamo stati diligenti; ora la musica è cambiata; abbiamo sviluppato una consapevolezza igienica e ambientale e alimentare; nella logica del dialogo con i nostri partner stranieri e coi capitali internazionali stiamo elaborando nuove regole; l’uscita dal cancro è a iniziata; guai a chi interromperà il processo di uscita.” E la gente, rassicurata, applaude. E continua a riempire i cimiteri.

domenica 12 agosto 2012

BAGNASCO:"PIU' CATTOLICI IN POLITICA" ....NE ABBIAMO ANCHE TROPPI, MA SIAMO SICURI CHE SIANO SEGUACI DI CRISTO E NON "TECNOCRATI" A SERVIZIO DEL NEMICO DI CRISTO???




 di Antonio Socci 12 AGOSTO 2012


“E’ doveroso che, nella vita pubblica, i cattolici siano sempre più numerosi”, ha affermato il cardinale Bagnasco, presidente della Cei. Infatti i giornali di ieri hanno titolato: “Bagnasco: più cattolici in politica”.

DI PIU’ ?

Ma siamo sicuri che manchino? A me pare che tutti si dicano cattolici. Dagli ultradestri di Forza Nuova ai comunisti Vendola e Crocetta, da Tonino Di Pietro a Silvio Berlusconi, da Monti a Tremonti, da Rosy Bindi a Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi, da Leoluca Orlando a Raffaele Lombardo o Totò Cuffaro, dall’ex pannelliano ed ex verde Rutelli al post-socialista Sacconi, dall’ex radicale Roccella al caso politico del momento, il sindaco Renzi, dall’ex musulmano Magdi Allam a Borghezio, dalla Binetti a Ignazio Marino, da Mantovano a Buttiglione, perfino da Prodi a Sgarbi (che mi pare si dica cattolico).

E’ il caso di dire: troppa grazia…
(......)


Non è chiaro poi cosa abbiano a che fare i cattolici con la tecnocrazia finanziaria rappresentata da Monti, da sempre contrapposta alla Chiesa (già Pio XI, nella “Quadragesimo anno”, tuonava contro l’ “imperialismo internazionale del denaro”).

I PALETTI DELLA CHIESA

E’ evidente allora che la richiesta di Bagnasco in realtà non riguarda il numero di politici cattolici. Ma la qualità e la loro direzione di marcia.

Probabilmente il suo intervento è stato provocato dal crollo del centrodestra il cui governo per la Chiesa fu perfino più favorevole di quelli della Dc.

Alla Cei e anche alla Segreteria di Stato vedevano assai di buon occhio la leadership e la candidatura di Alfano, che speravano si alleasse con l’Udc, ma poi tutto è naufragato.

Così Bagnasco ha riproposto i fondamenti di una seria presenza politica dei cattolici: i valori non negoziabili come base e i valori sociali come sviluppo. Ha posto dei paletti preventivi.

Perché la cosiddetta “Cosa bianca” non sembra nascere alla scuola del magistero Wojtyla-Ratzinger, né in continuità con la tradizione democristiana, ma sull’equivoca “operazione Todi”, uno degli episodi più umilianti di subalternità culturale e politica dei cattolici ai salotti laicisti del “Corriere della sera” (i più accanitamente anticattolici).

DA DON STURZO A DON LURIO

E’ pur vero che a Todi, Bagnasco fece un ottimo intervento per bocciare l’intenzione dichiarata del “Corriere” – gran burattinaio del convegno – di condannare l’epoca Ruini.

Ed è vero che lo stesso Bagnasco ribadì la centralità dei “valori non negoziabili” come base anche per una sana politica sociale (lo ha ripetuto in queste ore).

Tuttavia a Todi non ha prevalso la linea Bagnasco, ma quella del Corriere. Infatti l’evento è poi servito per le manovre politiche che hanno portato al potere Monti, Passera e Riccardi.

mercoledì 25 agosto 2010

MEETING RIMINI 2010: ASSUNTINA MORRESI FA IL PUNTO SULLA RU486

Ru486, quattro anni dopo. Cos’è cambiato?

Assuntina Morresi mercoledì 25 agosto 2010




 Ieri, al Meeting di Rimini, Eugenia Roccella ed io abbiamo presentato per la prima volta la nuova edizione del nostro libro La favola dell’aborto facile – miti e realtà della pillola Ru486(ed. Franco Angeli). Abbiamo scelto di parlarne al Meeting insieme a Giancarlo Cesana, come quattro anni fa,quando, nell’agosto del 2006, il Meeting ci offrì l’occasione di presentare la prima edizione, fresca di stampa.
Eugenia Roccella lavorava come saggista e giornalista, ed era una firma de Il Foglio e di Avvenire; io, docente di Chimica Fisica all’Università di Perugia, collaboravo agli stessi quotidiani. Ci eravamo interessate alla pillola abortiva per tutto l’inverno precedente, quando ancora c’era la sperimentazione in Italia: insieme avevamo scoperto che almeno tredici donne erano morte dopo aver abortito per via farmacologica, nel silenzio della stampa europea.

Avevamo esaminato praticamente l’intera letteratura scientifica in merito, deducendone che l’aborto con la Ru486 era più lungo, doloroso, incerto e pericoloso di quello solitamente praticato, e che la sua diffusione era possibile solo con un forte sostegno di medici e politici. Ma soprattutto avevamo capito che il vero obiettivo dei suoi sostenitori era introdurre, insieme alla pillola, l’aborto a domicilio, trasformandolo in una personalissima pratica privata, da effettuare fra le mura di casa.


Con quella presentazione, quattro anni fa, insieme a Giancarlo Cesana, la battaglia contro la Ru486 uscì dalle pagine dei giornali e iniziò ad essere conosciuta e condivisa da tanti, a cominciare dal popolo del Meeting. E’ stato quell’incontro che ha segnato l’inizio della mobilitazione pubblica e capillare contro l’aborto fai-da-te.

Non avrei mai potuto immaginare, allora, che quattro anni dopo sarei tornata con un testo aggiornato, insieme alle stesse persone, ma in tutt’altro contesto: nel 2007 Eugenia Roccella è stata portavoce del Family Day, mentre io sono entrata a far parte del Comitato Nazionale per la Bioetica. L’anno successivo, il 2008, Eugenia Roccella è stata eletta deputato nelle liste del PdL, ed è diventata sottosegretario al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, con deleghe ai cosiddetti “temi etici”, e cioè, fra l’altro, salute materno-infantile, aborto, procreazione medicalmente assistita, fine vita.


Con Maurizio Sacconi prima, e Ferruccio Fazio poi come ministri di riferimento, la Roccella si è dovuta occupare quindi anche della Ru486: per ironia della sorte, l’iter per l’approvazione della pillola abortiva nel nostro paese aveva appena concluso i passaggi decisivi quando il governo attuale si è insediato, ed è toccato a lei seguirne l’ingresso in Italia.

Abbiamo deciso insieme di aggiornare il libro, quindi, raccontando cosa è successo in questi quattro anni, attorno alla Ru486: l’appoggio politico nel precedente governo che ne ha deciso la commercializzazione nel nostro paese, ma anche un congresso americano che ha cercato – invano – di far luce su alcune delle morti a seguito di aborto farmacologico. Poi il drammatico aggiornamento dei decessi, e ancora l’indagine parlamentare e l’ennesimo parere del Consiglio Superiore di Sanità che hanno consentito l’uso della Ru486 solo entro limiti ben precisi, cioè a condizione che l’aborto avvenga in regime di ricovero ordinario, in ospedale.

Abbiamo scelto di non cambiare niente del testo precedente, ma solo di aggiungere i fatti nuovi: l’esperienza di questi anni ha confermato tutto quello che avevamo già scritto, e cioè che la pillola abortiva non è soltanto una nuova procedura, ma una pericolosa svolta dal punto di vista culturale ed educativo, per ciò che riguarda l’aborto. Per questo ce ne continuiamo ad occupare, e abbiamo voluto farlo ritornando al Meeting, da dove il nostro cammino è partito, per poterlo proseguire insieme ai tanti che ci hanno seguito fin da allora.



Fonte:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2010/8/25/LETTURE-Ru486-quattro-anni-dopo-Cos-e-cambiato-/108291/

domenica 30 agosto 2009

OSCAR GIANNINO A RIMINI : SANTITA' GRATA E FELICE A PORTATA DI TUTTI.

QUI E ORA/ Giannino: il miracolo di una santità alla portata di tutti

sabato 29 agosto 2009


Non è con emozione, che mi accingo oggi a conclusione del Meeting a parlare di don Giussani al “suo” popolo, in occasione della pubblicazione di una nuova tappa dei suoi tanti inediti che ancora attendono di essere tradotti da registrazioni a opere a stampa. È la riconoscenza, a muovermi. E se non sarò all’altezza, confido nella comprensione innanzitutto sua, di don Gius. Perché questa nuova tappa ci ripropone lo spirito e la dedizione più alti della sua missione di educatore dei giovani, la trascrizione di una nuova serie delle Équipe con i dirigenti e gli studenti Clu di tutta Italia, negli anni 1984 e ’85. Per me che da laico inveterato a un certo punto nella vita è iniziato il cammino verso Cristo, il don Gius che più scava nell’anima è proprio quello che restituisce la forma diretta e sincopata della maieutica che voleva e sapeva esercitare a partire dai rapporti e dalle “domande” dei giovani universitari. Partendo dalle loro esperienze, dai loro limiti, dalle loro ignoranze, dalla loro reattività. Passo dopo passo, richiamo dopo richiamo delle Scritture come dei tanti filosofi e poeti: attraverso un esercizio ferreo di logica discorsiva e dimostrativa. “Qui e ora” – s’intitola così il volume – si imprime nella mia testa e nel mio cuore come se fossi stato presente laddove non ero, come se avessi potuto misurare sulla mia pelle la carezza di quel singolare padre e fratello che per voi tutti che lo avete conosciuto, e per voi che ne seguite il magistero anche se non lo avete conosciuto, è ancora don Gius. E sempre sarà.
Consentitemi una nota personale. Tra poco parlerò a ruota libera, e avrò più agevolmente il modo di richiamare in maniera sistematica ciò che rende a mio modesto giudizio “Qui e ora” un nuovo passaggio obbligato per misurare la vita di ciascuno con l’urgente quotidianità della catena “amare noi stessi-amare gli altri” in cui si esalta - Fatto storico nei fatti concreti della vita di ogni essere umano - il senso della morte e resurrezione di Colui che è tra noi. Qui voglio solo dare qualche accenno. Parto da uno stupore del tutto mio. Mi è recentemente capitato di parlare di don Gius col fratello di mio madre, nunzio apostolico che dopo anni di servizio per il mondo da anni opera oggi nella Segreteria di Stato Vaticana. Quando ero giovane e ribelle alla fede di mia madre – mia madre! di cui mi parlò a sorpresa don Gius lasciandomi senza parole, dicendomi che si chiamava come la sua e che alla sua fede dovevo un riesame di me, nel mio unico incontro con lui! - proprio il fratello di mia madre, don Luigi per noi nipoti, finiva ai miei occhi spesso per rappresentare il peso intollerabile delle contraddizioni della Chiesa istituzione rispetto alle sfide della complessità e della modernità.
Ora che guardo le cose assai diversamente, ho chiesto a don Luigi che cosa avesse rappresentato, per lui, don Gius. La risposta ancora una volta mi ha confermato la bontà del mio rimettermi in cammino guardando in fondo al cuore, al mio come a quello di tutti viventi. “È stato un profeta”, mi ha detto lasciandomi senza parole. “E sai che non userei mai questa definizione con leggerezza, per l’attenzione e l’affezione che porto alla Chiesa e alla complessità della sua storia, e al dolce ma temibile peso dei suoi doveri”, ha aggiunto. “Perché un profeta, allora?”, ho chiesto. “Perché prima e dopo il Concilio ha saputo indicarci ‘dal basso’ il dovere di reincarnarci nel vissuto smarrito di un popolo, il nostro popolo, agli occhi del quale le svolte liturgiche conciliari da sole - che tanto esaltavano noi ‘addetti ai lavori’ - non avrebbero mai potuto restituire l’urgenza dell’unico Fatto senza del quale ogni segno è privo di vita: Cristo”.
Ho sussultato, a quelle parole. Ho pensato a quel che potete leggere a pagina 364, quando don Gius si esalta rivelando agli studenti un passo che lo ha entusiasmato, e che aveva adocchiato per il Volantone della Pasqua successiva. “È un brano di ‘Introduzione al Cristianesimo’ di Ratzinger, che dopo il Papa è certamente la più grande benedizione di Dio per la Chiesa di oggi”. Queste le parole di don Giussani. “La più grande benedizione di Dio per la Chiesa di oggi”, Ratzinger, dopo il Papa che allora era Giovanni Paolo II. Parole di 25 anni fa.
Profeta. Non sta a me dirlo, per carità. Ma, letto il libro, penso che mio zio don Luigi abbia ragione. Tra poche ore proverò a dirvi perché. Ho passato ormai parecchi anni a interrogarmi se l’attaccamento alla Chiesa come patria terrena - così tipica del cattolicesimo che non mi convinceva - non fosse quel filo infinitamente sottile a proposito del quale san Giovanni della Croce dice che, finché non sia stato rotto, impedisce all’uccello di spiccare il volo nella perfezione con la stessa efficacia di una catena di metallo. Non è così. Attraverso la continua “domanda” di don Gius ai suoi giovani - domanda che per don Gius equivale a “preghiera” - ho capito e appreso una terna che esercita effetti fattuali di cambiamento addirittura “micidiali”, se mi passate il termine: il sentimento di sé come gratitudine; l’autocoscienza come appartenenza; il rapporto con qualunque cosa come Bene. No. Quando Cristo consegna a tutti, come suprema virtù, la prescrizione di imitare la perfezione del Padre celeste, non ci indica un sistema di regole deontologiche o un massimario eticista, e nemmeno un impossibile modello perfezionista, tale da farci sprofondare nell’incommensurabile distanza tra la perfezione sua e la nostra natura di peccatori, distanza abissale che tanto opprime ed esalta il Protestantesimo. No. Non è più tempo di “ridiventare” ogni giorno cristiani e cattolici solo dal fondo di una cella di monastero - per quanto anche questo abbia perfettamente ancora senso. Don Gius ci insegna che da noi si attende una santità nuova. Da ciascuno di noi, alle prese con la propria vita, amore, famiglia, professione, studio.

Dio ci chiede e si attende un libero sforzo d’invenzione. Una santità quotidiana è un’invenzione dirompente. Chateubriand oppose il genio del cristianesimo all’aridità livellatrice di teste della Rivoluzione francese. Francesco d’Assisi al merito della roba che costruiva le gerarchie feudali. Noi possiamo e dobbiamo provarci, rispetto a un mondo che ha creduto di fare del solo uomo il metro di tutto, per scoprire da ciò che nessun metro valeva più nulla rispetto agli altri. Santità grata e felice, consapevole che il santo non è colui che mai cade, ma chi ogni volta tenta di rialzarsi. Questo proverò a dire tra poche ore. Finché il mio lume era l’ottimo Kant, la bellezza era una finalità che non contiene alcun altro fine. Con don Gius, la bellezza in me suscita affezione per un fine di appartenenza a un comune destino. Quello di amare il reale, in memoria e grazie a Colui che si è sacrificato perché noi comprendessimo di che cosa siamo liberamente capaci. 

martedì 25 agosto 2009

GRANDE OSCAR GIANNINO:"SOLLETICA E CHIEDE RIFLESSIONE" AL CRISTIANO DI OGGI CHE DEVE ESSERE ATTIVO DI FRONTE ALLA CRISI.

SPECIALE MEETING 2009

Meeting di Rimini




MEETING/ Giannino: quell’avvenimento che l’economia di oggi non ha ancora capito

Oscar Giannino

domenica 23 agosto 2009


Non si può far sì che un fatto non sia un fatto, diceva la Scolastica di Tommaso d’Aquino. La traccia scelta per il meeting di Rimini quest’anno ci riconsegna a una delle piste fondamentali che don Giussani ha tenacemente voluto ripercorrere, per ridare “tangibilità” al fenomeno cristiano. Il Cristo che si fa Uomo non è un’alta scuola sapienziale o un banale elenco di consigli morali per vivere meglio, le due alternative in cui l’umanesimo razionalista da sempre ha cercato di ridurlo nel tentativo di riaffermare una reductio ad unum da parte di una coscienza umana intesa come unico metro e senso delle cose. Don Giussani ci ha obbligato nuovamente a prendere in considerazione il Fatto – l’avvenimento, appunto, ciò che si fa nella storia del mondo – che è la vera base fondante del Cristianesimo. E uso questo verbo “obbligare” nel senso della coazione logica da premessa a conseguenza, non nel senso di un’obbligazione etica, visto che la libertà dell’uomo resta essenziale. Uso il verbo “obbligare” perché per me proprio questo “obbligo” logico è stato l’effetto voluto da don Gius: per me ha significato molto, le sue parole come acqua tenace hanno scavato lentamente la mia pietra.

Per il Cristianesimo la fede non diventa qualcosa di realmente vissuto se non colpisce e penetra l’intelligenza che ho di me stesso e delle cose, cioè la ragione. Il processo di verifica dell’avvenimento-conoscenza mette in gioco le esperienze originarie di ciascuno di noi, in modo che ciascuno possa elaborare la propria conoscenza delle cose volgendola a certi fini. In questo consiste la cultura. Un libero processo di autoesame in cui l’io accetta di divenire, da sorgente di coscienza del reale e cioè idealmente centro del mondo, specchio periferico in cui si riflettono altre libere sorgenti di luce, pensiero e fatti reali.

La conoscenza-avvenimento è per i cristiani uno strumento affilato nel campo prioritario della filosofia, l’ontologia. La conoscenza-avvenimento separa due diverse versioni di che cosa sia, in che cosa consista e come si esplichi, l’Essere. Per il relativismo di cui si è impregnato il terribile Novecento, figlio della crisi della modernità e della prevalenza del linguaggio sulla realtà, la cultura è diventata un mero scaffale descrittivo in cui si annega la prevalenza del Non-Essere. È l’esito inevitabile di un Logos solo umano, ridotto a incapacità teorizzata di produrre scale di preferenza tra le diverse scelte e preferenze, istituzioni e organizzazioni, società e relative leggi, alle quali l’uomo può aver dato vita nella concreta esperienza storica. L’impossibilità del giudizio diventa unico criterio condiviso, se si parte dal presupposto che l’Uomo-Ragione fonda in sé e solo in sé ogni suo presupposto: al massimo – e questo vale solo per le democrazie occidentali – il criterio di giudizio diventa quello per il quale l’unico giudizio possibile è quello condiviso da una maggioranza. Ma ogni maggioranza può cambiare giudizio, e per Paesi in cui non esistano democrazie ogni giudizio basato sul monopolio della forza diventa criterio di valore di fronte al quale l’Uomo-Sola-Ragione finisce per dover piegare il ginocchio.

Per i cristiani, la conoscenza-avvenimento del Cristo che si fa Uomo disegna un orizzonte molto diverso. Il Cristo come Fatto non è per nulla un’ipostasi mistica da contemplare tirandosi fuori dal mondo e dalle sue scelte. È lo strumento di trasformazione continua, basato sulla Persona che “vuole” Essere. E che fonda questa scoperta continua d’inveramento del sé attraverso la propria libertà, e misurandosi con ogni tipo di esperienza concreta che ci tocchi nella vita di ogni giorno: nello studio e nel lavoro, nella famiglia e nella vita associativa e ricreativa, culturale e politica.

Per me come divulgatore e studioso di economia, la conoscenza-avvenimento significa per esempio tre domande, di fronte alla più severa crisi dal secondo dopoguerra che l’intero pianeta sta affrontando da ormai due anni a questa parte. Tre domande che girerò personalmente a chi mi ascolterà al meeting, dove sono stato indegnamente chiamato a parlare proprio di don Giussani.

Prima domanda. Siamo reduci da vent’anni in cui il meglio del meglio delle intelligenze accademiche, economiche e finanziarie mondiali, aveva incentrato l’intera industria finanziaria su una teoria del valore basata sugli “intangibili”: brands, brevetti, licenze, corporate governance, reputazione. Nel creare e rivendere spacchettati prodotti finanziari a sempre più alto rischio, e con doveri di solvibilità sempre più attenuati per emittenti e intermediari, questa teoria è stata centrale. La conoscenza-avvenimento della crisi epocale che tale teoria ci ha consegnato ci obbliga a pensare a una teoria dello sconto assai più basata sul capitale umano che sugli intangibles d’impresa e banca, oppure no? Se la sentono, gli economisti d’impresa cristiani, di affrontare questa sfida producendo modelli del valore coerenti a quanto dicono nei convegni, oppure no?

Seconda domanda. Siamo reduci da decenni nei quali l’imprenditore cristiano non esiste più – tranne rare eccezioni – se non in forma di timida dichiarazione d’appartenenza, in forme associative che si dedicano soprattutto a programmi culturali o di aiuti umanitari. Nel qui-e-ora della storia che si fa avvenimento continuo, è “obbligatorio” per i cristiani tornare a cercare di dare alla dimensione cristiana del fare impresa una specificità concreta, basata su una diversa attenzione al capitale umano della propria azienda, e capace di offrire a banche e intermediari finanziari innanzitutto, e poi a propri clienti e fornitori, dipendenti ed ex dipendenti, un “valore specifico” fondato su una capacità di creare e distribuire reddito secondo un metro di preferenza incardinato sull’Uomo?

Terza domanda. Chi è e che cosa deve fare, oggi, il banchiere cristiano? Vogliamo credere davvero che la sua specificità sia solo quella – meritoria, per carità – di tenere alto il lume degli studi cristiani con finanziamenti alle libere università, dell’associazionismo sussidiario mediante i contributi delle fondazioni bancarie sul territorio, o magari di partecipare a volte ad alate conferenze sull’etica che discende da Bibbia e Vangeli? Oppure è nella sua concreta attività professionale, nella distinzione tra merito di credito ai clienti secondo classi di rischio non solo – dico “non solo”, non propongo di abolirli, ovviamente – basati su meri coefficienti patrimoniali, che il banchiere cristiano può e deve ambire a proporsi come un organizzatore “diverso” di allocazione del risparmio?

Badate bene che io non penso affatto che l’economista, l’imprenditore e il banchiere cristiano non debbano porre il profitto al centro della propria attività. Non confondo affatto pauperismo e cristianesimo. Vi faccio osservare che è il laicissimo Padoa Schioppa a scrivere, sul Corriere, che i paesi avanzati devono rassegnarsi alla crescita zero. Io non lo penso affatto. Penso invece che o il cristianesimo è capace di un incontro con l’altro capace di dar contenuto diverso alla totalità dei rapporti umani, oppure la sua comunione si stempera in uno dei tanti volti del caleidoscopio di una società senza preferenze