di Antonio Socci 2 SETTEMBRE 2013
Un vino divino ci voleva, per festeggiare il compleanno di Michelle, il 17 gennaio scorso. Barack Obama, sotto anonimato, ha telefonato al “Caffè Milano” di Washington per far preparare la cena (pochi selezionati invitati: una ventina) e ha scelto lui il vino. Sapeva che in quel locale della capitale hanno proprio quello che lui e la first lady preferiscono.
Lo hanno già bevuto in passato al ristorante “La spiaggia” di Chicago che frequentavano abitualmente.
E’ uno straordinario bianco (ha detto un amico: “è il bianco che Obama predilige”). Si chiama “Costa di Giulia” ed è un’eccellenza del “Made in Italy”.
Ma da dove viene questa delizia? Cosa c’è dietro quel gusto che ha sedotto l’inquilino della Casa Bianca e la moglie?
Sgorga dalle botti di un piccolo viticoltore toscano, Michele Satta, le cui vigne sono un angolo di paradiso “fra cielo, terra e mare”, come recitano i cartelli fra i filari di questa maremma livornese.
“Una volta” ricorda Satta “don Giussani mi disse: lì dove vivi tu guardare è già pregare”. In effetti è facile accorgersene.
Arrivo alla sua cantina il primo giorno della vendemmia 2013, un rito antico e festoso che nelle campagne italiane si sta rinnovando proprio in queste settimane. E che andrà avanti fino a ottobre.
Il vino – che è una cosa sola col turismo – è il nostro oro, il nostro petrolio, ma il sistema pubblico non se ne rende conto e – come vedremo – penalizza in tutti i modi i nostri produttori.
Casa Satta e la cantina sono sul pendio roccioso che sale a Castagneto Carducci. Le vigne si stendono lievi nella valle fertilissima fra Bolgheri e Donoratico.
In alto, a est, sulle irte colline boscose ricche di funghi e cinghiali, sta la torre di Donoratico, che ricorda le incursioni saracene di un tempo e l’antica signoria dei Della Gherardesca (la famiglia del conte Ugolino, immortalato nella Divina Commedia).
In fondo a questa vallata, verso occidente, le vigne lasciano il posto a una verde pineta e a un mare azzurrissimo che nel pomeriggio brilla e infine si colora di rosso nel tramonto. Tutto questo si gusta da casa Satta. Anche in altre stagioni, quando la vigna si fa di mille colori.
Una famosa poesia del Carducci, che crebbe proprio qui, racconta i mesi autunnali: “la nebbia agli irti colli/ piovigginando sale/ e sotto il maestrale/ urla e biancheggia il mare”…
Anche il viale di cipressi di San Guido è stato immortalato dal Carduccione (“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti/ van da San Guido in duplice filar,/ quasi in corsa giganti giovinetti…”).
E in “Idillio maremmano” il poeta ricordò un amore giovanile (“la bionda Maria”) e l’allegria di quegli anni a Bolgheri.
Oggi questa è diventata terra di vip che comprano ville e casali. Ma Michele Satta ci arrivò quarant’anni fa da Varese: venne a studiare agraria a Pisa (dove si è laureato) e intanto faceva il bracciante agricolo nelle fattorie.
“Tutta la mia storia” mi dice “è nata da una forte passione per la terra, che sentivo come il compito della mia vita, e dall’amore per una grande donna, Lucia, che fin dall’inizio mi ha accompagnato nelle mie scelte”.
Con Lucia, presenza silenziosa e forte, nel corso degli anni ha costruito una famiglia di sei figli, cinque femmine e un maschio. Hanno studiato tutti: Anna è violinista, Benedetta ha laurea in fisica e diploma in flauto traverso, Veronica è architetto, Caterina è insegnante e madre, Maria studia lettere a fa teatro infine Giacomo studia agraria ed è sulle orme del padre.
Nel frattempo Michele e Lucia mettevano su una piccola azienda agricola producendo buon vino, pian piano sempre migliore. Infine eccellente.
Oggi vantano vini come il Costa di Giulia, il Bolgheri rosso e rosato, il Cavaliere, i Castagni, il Piastraia, il Giovin Re, il Diambra bianco (ognuno dei quali è una vigna), che non solo deliziano i palati degli inquilini della Casa Bianca, ma che portano Michele Satta ai quattro angoli del mondo: da Hong Kong a Parigi, dal Canada alla metropoli siberiana di Novosibirsk, alla Cina dove i “nuovi ricchi” sfoggiano come status symbol i migliori vini italiani.
Arrivo alla cantina di Michele, scavata nella roccia, aperta anche durante la vendemmia, e mi accorgo che è un via vai di tedeschi, polacchi, americani.
C’entrano come si entra in una cripta, sono affascinati dal religioso silenzio delle botti e dei tini, dal profumo di mosto, ma soprattutto ammaliati dagli assaggi dei vini che poi comprano.
Quello che colpisce di Michele è l’allegria. Oggi certo per la festa che è la vendemmia (ogni giorno si controllano le diverse uve, in ogni vigna, e si calibra il momento giusto per ogni tipo di vino).
Ma lui sorride sempre, anche quando mi racconta – amareggiato – che un’azienda come la sua, che in qualunque altro paese sarebbe ritenuta un gioiellino, deve lottare di continuo per sopravvivere e per crescere.
“Perché, a parte le tasse opprimenti e la crisi economica, il sistema bancario, se hai piccole dimensioni, neanche ti considera” dice Satta. “La burocrazia ti crea problemi colossali per ogni piccolo investimento sulla cantina. Poi le leggi sul lavoro che non ti permettono di assumere e far lavorare secondo i tempi delle campagne. Questa è una mentalità sovietica, che distrugge il lavoro, la ricchezza, che manda tutto in malora”.
“Come se non bastasse” riprende Satta “in Parlamento ti fanno pure leggi contro il vino come quella del codice della strada…”. Commenta da uomo concreto: “è assurda, non solo perché se uno pranza con mezzo bicchiere di rosso rischia la patente, ma concettualmente, perché finisce per equiparare il vino alla droga, Ma il vino è cultura e civiltà. Così criminalizziamo la nostra ricchezza nazionale”.
Michele, laureato in agraria, ha mani da contadino, dita rocciose di chi lavora sodo la terra. Ma è un uomo colto e spiritualmente elevato.
Alla sua cantina organizza eventi culturali: concerti di Jazz e musica classica, letture di poeti, insieme con assaggi guidati dei vini (l’evento più noto è “Semetipsum” dove gli artisti vengono a esprimere la loro esperienza personale).
Fuori dalla cantina ha fatto realizzare una scultura. S’intitola “Ascensione”. Proietta verso l’alto tutti gli strumenti di lavoro della campagna: zappe, forbici, seghetti, martelli, chiodi, vanghe. In cima c’è una grande chiave.
Lo interpreto così: Gesù Cristo è asceso al cielo e lui, che amava così tanto gli esseri umani e il loro lavoro da aver lavorato lui stesso come carpentiere per anni, trascina con sé, nell’abbraccio del Padre, noi e tutti gli strumenti del nostro lavoro, tutte le nostre fatiche.
Michele aggiunge un suo pensiero: “il lavoro della campagna è drammatico perché fai continuamente esperienza del deperimento di tutte le cose: fatichi per produrre pesche e poi, quando le porti al mercato, alle 12, se non le hai vendute, sono da buttare. Invece il vino no. Passano dieci anni ed è sempre più buono. Il vino è una promessa di eternità. Mostra che l’uomo è fatto per vivere per sempre. Per questo ho voluto l’Ascensione…”.
Ride Michele scherzando con alcuni suoi operai. Gli chiedo se è il suo vino che mette a Obama la voglia di far la guerra. Lui ribatte: “al contrario. Direi, alla Benigni, che il vino ti fa far l’amore con tutto il creato”.
Lui lo esporta nel mondo per far conoscere questo gusto per la vita. E’ appena tornato da un vicino monastero di trappiste a cui ha consegnato un po’ di bottiglie. Le suore sono povere e sono amiche di Michele e Lucia. Loro si alzano alle quattro del mattino per lodare il Creatore. Un po’ come si fa nelle vigne di Michele.
Che nel suo sito internet ha riportato queste parole di Benedetto XVI: “Il vino esprime la squisitezza della creazione, ci dona la festa nella quale oltrepassiamo i limiti del quotidiano: il vino ‘allieta il cuore’. Così il vino e con esso la vite sono diventate immagini anche del dono dell’amore, nel quale possiamo fare qualche esperienza del sapore del divino”.
Antonio Socci
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