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venerdì 21 febbraio 2014

UCRAINA, LA MADONNA LO AVEVA RIVELATO A PEDRO!!! AGGIORNAMENTO 8 FEBB.2015


3.396 - 6 novembre 2010

Cari figli, Io sono vostra Madre e sapete bene quanto una madre ama i suoi figli. Non allontanatevi dall’Amore del Signore. L’amore è più forte della morte e più potente del peccato. Allontanatevi dalla malvagità e servite il Signore con fedeltà. Inginocchiatevi in preghiera e non permettete che la fiamma della fede si spenga dentro di voi. Quando siete lontani, diventate il bersaglio del demonio. La preghiera vi avvicina a Dio. Non restate con le mani in mano. Date il meglio di voi nella missione che vi è stata affidata. La croce sarà pesante per gli abitanti dell’Ucraina. Il dolore sarà grande per i miei poveri figli. Soffro per ciò che vi attende. Avanti sul cammino che vi ho indicato. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.



3.748 - 11 dicembre 2012

Cari figli, in questi giorni rimanete alla presenza di mio Figlio Gesù. Non allontanatevi dalla Sua grazia, perché solo così potrete sperimentare la Sua presenza in questo Natale. Ricolmatevi di amore, perché solo nell’Amore avrete la pace. Mio Figlio Gesù è la Pace di cui l’umanità ha bisogno. Calmate i vostri cuori. Nella serenità della preghiera incontrerete Gesù. Siete importanti per la realizzazione dei miei piani. Non vivete lontani. Ho bisogno di ciascuno di voi. Non perdetevi d’animo. Io sono sempre con voi. Vi guiderò a Colui che è il vostro Tutto. Confidate in Lui e tutto finirà bene per voi. Inginocchiatevi in preghiera. Pregate davanti alla croce e supplicate la MISERICORDIA del mio Gesù per gli uomini. Non allontanatevi dalla verità. Coraggio. Soffro per le vostre sofferenze. Quelli che stanno a Poltava chiederanno aiuto e un evento simile accadrà a Entre Rios. Pregate, pregate, pregate. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

n.b Poltava (in ucraino e russo: Полтава) è una città di 308.500 abitanti dell'Ucraina centrale, capoluogo amministrativo dell'oblast' omonimo e dello stesso raion.( da Wikipedia )



3.749 - 13 dicembre 2012

Cari figli, RALLEGRATEVI nel Signore, perché Egli è la vostra speranza e salvezza. Non tiratevi indietro. Voi appartenete al Signore ed Egli si aspetta molto da voi. Non state con le mani in mano. Annunciate a tutti quello che state ascoltando. Non rimanete in silenzio. Dio ha fretta. Non rimandate a domani quello che dovete fare. L’umanità cammina verso l’abisso dell’autodistruzione, ma voi potete cambiare questa situazione. Tornate a Colui che è il vostro unico e vero Salvatore. Inginocchiatevi in preghiera per quelli che stanno a Donetsk. La morte verrà e il dolore sarà grande per i miei poveri figli. Avanti senza paura. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
n.b. donetsk Доне́цк, traslitt. anche Donetsk) è una città di 1 131 700 abitanti (nel 2005) dell'Ucraina orientale, sul fiume Kalmius.( da Wikipedia )





AGGIORNAMENTI PER APPROFONDIRE






Mar Mar 18, 2014 2:05 GMT




I residenti della città ucraina orientale di Donetsk hanno istituito posti di blocco per impedire ai militari l di avvicinarsi al confine con la Russia.

I posti di blocco sono stati istituiti dalla Milizia Nazionale di Donetsk - un gruppo pro-russo di volontari forze di autodifesa.

Il gruppo dice che almeno 100 uomini disarmati hanno aderito, con 20 persone di equipaggio ogni punto di controllo.

Domenica, migliaia di persone che vivono a Donetsk hanno tenuto una manifestazione, chiedendo un referendum per unirsi Russia.

Alcuni manifestanti hanno preso d'assalto  l'ufficio del procuratore generale, rimosso la bandiera ucraina dalla cima dell'edificio e messa su quello russo.

La città industriale è situata vicino al confine con la Russia ed è considerata come una roccaforte del deposto presidente ucraino Viktor Yanukovich.

Consiglio comunale di Donetsk ha rifiutato di riconoscere il nuovo governo ucraino e ha chiesto un referendum sullo status della regione.

Questo avviene quando la penisola di Crimea ha dichiarato l'indipendenza da Ucraina  Lunedi e applicato formalmente  far parte del territorio russo a seguito di un referendum di Domenica, in cui il 96,8 per cento della Crimea ha votato a favore della secessione.

Il parlamento di Crimea ha approvato un decreto dopo che tutti gli 85 deputati presenti hanno votato a favore della secessione dall'Ucraina.

L'Ucraina è stato presa da una crisi politica dal novembre 2013, quando Yanukovich si astenne dal firmare un accordo di associazione con l'Unione europea a favore di legami più stretti con la Russia.

Ucraina, gli Usa: potenziamo Nato e scudo



“La Crimea è russa da sempre”, ha detto Vladimir Putin mentre notificava l’accordo per l’ingresso della penisola nella Federazione russa. E ha respinto al mittente le accuse ricevute. Ma in particolare si è scagliato contro l’America: “Usano la legge del più forte e ignorano le risoluzioni dell’Onu”. Non poteva mancare la risposta degli Stati Uniti, che arriva per bocca di Joe Biden. Il vicepresidente, a Varsavia per incontrare il premier polacco Donald Tusk (nella foto), ha definito l’intervento della Russia in Ucraina “nient’altro che una brutale annessione”, riaffermando l’impegno di Washington a garantire la sicurezza dei suoi alleati, all’estremo confine occidentale della Russia. Biden ha poi voluto ricordare che la garanzia della “sicurezza collettiva” è il motivo fondante della Nato e che Washington farà passi ulteriori per rafforzare l’alleanza nel futuro.



Il vice-presidente americano ha inoltre riaffermato l’impegno di Washington a completare il sistema di difesa missilistico in Polonia entro il 2018 e ha minacciato Mosca che “andrà incontro ad ulteriori sanzioni“ da parte di Ue e Stati Uniti se andrà avanti nel progetto di annettere la Crimea nel suo territorio.



Intanto, dopo aver escluso la Russia dal prossimo G8 (che si sarebbe dovuto tenere a Sochi, sul Mar Nero), la comunità internazionale guarda avanti. Obama ha invitato i leader del G7 e dell’Ue a incontrarsi in Europa la prossima settimana per discutere l’adozione di ulteriori azioni per il coinvolgimento della Russia in Ucraina. Lo riferisce la portavoce della Casa Bianca, Caitlin Hayden, precisando che l’incontro dovrebbe tenersi a margine del summit sul nucleare che si terrà la prossima settimana in Olanda. Il G7 comprende Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito. A ospitare il prossimo summit potrebbe essere Londra.


Ma le sanzioni economiche sono la risposta giusta? Secondo diversi esperti americani non fanno che rafforzare, in Putin, l’idea di un Occidente nemico dal quale bisogna difendersi. “L’idea non è di ricostruire l’Unione Sovietica, ma di circondare la Russia con una serie di satelliti compiacenti, e non vi è maggior premio in questo campo dell’Ucraina”, spiega Eugene Rumer, ex analista dell’intelligence oggi al Carnegie endowment. La Nato e l’Europa si allargano a Est? Per tutta risposta Putin si circonda di zone cuscinetto. Passano i secoli ma la politica non cambia. L’ex segretario di Stato,Strobe Talbott, osserva che come al tempo degli zar la Russia vuole “inglobare territori, in modo da allontanare le forze ostili”. Lecito porsi due domande: quando si sentirà “sazio” e “sicuro”? E si fermerà o, una volta presoci gusto, andrà avanti con le mire espansionistiche della Grande Madre Russia?


  
Ucraina: un’Altra Cosa che non ci Hanno Detto (di Maurizio Blondet)
economia ucraina 1a Ucraina: un’Altra Cosa che non ci Hanno Detto (di Maurizio Blondet)


Ecco un’altra verità taciuta: è in questa mappa. Il Pil pro capite della popolazione ucraina è meno della metà di quello della Russia (15.738 dollari annui contro 6.651); persino quello del Kazakhstan è quasi doppio di quello ucraino.

Come mai questo disastro economico? Essenzialmente, perché l’Ucraina, sperando nell’integrazione all’Occidente, ha eseguito fedelmente gli ordini del Fondo Monetario e ne ha applicato le ben note «ricette di risanamento»: eliminazione di ogni dazio (ossia protezione) per la sua economia, privatizzazioni in massa, svendita del patrimonio pubblico, chiusura di industrie «inefficienti», tagli dello Stato sociale (chi entra in ospedale si deve comprare farmaci, siringhe, bende) e dei salari e delle pensioni, austerità, con il conseguente arricchimento di oligarchi che poi mettono i soldi rubati a Londra e New York, l’odiosa e scandalosa disparità sociale, e la corruzione dei politici arraffoni che dalla svendita dei beni pubblici hanno estratto le loro tangenti… perchédemocrazia è inseparabile dalla corruzione politica, come sappiamo ben noi italiani. 
Contrariamente alla propaganda, Yanukovich non era affatto un filo-sovietico nostalgico del collettivismo; al contrario, lui e prima di lui la bionda Timoshenko sono stati allievi-modello del Fondo Monetario, e della UE, eseguendone le direttive. La stessa devastazione è stata operata in Russia dalla cosca Eltsin e dai suoi consiglieri della Scuola di Chicago. Putin ha raddrizzato la situazione, rallentato le privatizzazioni, recuperato i cespiti strategici nazionali rubati (e mettendo in galera Khodorkovski). Ci sono certo inefficienze nel sistema russo, e in quello kazako; ma alla popolazione è stato risparmiato l’abisso di miseria che rivela la cifra del Pil ucraino pro-capite. 
Quello che Yanukovich stava per firmare co la UE era un trattato di libero scambio totale, che avrebbe eliminato le protezioni su quel che resta della povera industria ucraina già devastata dalle privatizzazioni del 1990 e seguenti: lo svela un documento di 1200 pagine dal titolo orwelliano eurocratico: Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA), il cui primo capitolo annuncia: «LA massima parte delle tariffe doganali saranno eliminate appena l’accordo entra in vigore – L’Ucraina e l’Unione Europea elimineranno rispettivamente il 99,1% e il 98,1% delle tariffe». Significava chiusura di fabbriche e licenziamenti in massa, mentre il Paese sarebbe stato invaso di merci estere. Per di più, c’erano gli incalcolabili costi dello sforzo di conformare la propria legislazione alle 20 mila norme europee (normative tecniche, direttive ambientali eccetera), valutabili in decine di miliardi di euro. E, come non bastasse, il trattato comportava una clausola di armonizzazione tra EU ed Ucraina nella «sicurezza» (leggi: preparazione per l’integrazione nella NATO) in base a cui il Paese, che attualmente destina alla difesa lo 1,1% del Pil, avrebbe dovuto alzarla ali livello dei Paesi membri della UE, oltre il 2%: più spese militari, meno disponibilità per le spese interne. A guadagnarci erano più Northrop Grumman e Lockheed che la gente ucraina. 
A questo punto il Governo Yanukovich deve aver finalmente intuito che l’Europa non era il paradiso promesso. Bisogna dire che le speranze che facevano balenare i politici europei erano straordinarie: in un incontro a Yalta il 20 settembre 2013, il Ministro svedese Carl Bildt aveva detto agli ucraini che, se avessero aderito all’Unione doganale con Mosca, il Pil ucraino sarebbe sprofondato del 40%, mentre con l’adesione alla UE, Bildt prometteva un aumento del Pil del 12%: tassi di crescita da far invidia alla Cina. 
Menzogne sfrontate naturalmente, e il Governo Yanukovich ha cominciato a capirlo. Il suo viceministro Yuri Boyko, invitato dagli occidentali a chiedere il soccorso finanziario del FMI un’altra volta per i costi dell’integrazione economica con la UE, ha dichiarato: «Non contiamo su un aiuto del FMI perché la sua ultima offerta esigeva un rincaro delle tariffe dell’elettricità per le famiglie del 40%».
Un rincaro del 40% della luce, ad una popolazione che produce e guadagna per 6500 dollari l’anno a testa. Il macello sociale, con in cambio la vaga prospettiva di «investimenti esteri» che nella grande recessione europea diventavano sempre più ipotetici. Non si deve dimenticare che già nel 2011 il FMI ha sospeso una linea di credito di 12 miliardi, perché il Governo ucraino si era rifiutato di mettere fine ai sussidi che consentono di fornire il gas alle case ucraine a prezzi politici.
A questo punto l’offerta di Putin, di 15 miliardi di dollari per entrare nella sua Unione Eurasiatica (un mercato comune), è apparso il male minore.
È infatti interessante vedere com’è andata ai Paesi dell’Est che si sono fatti inglobare dalla UE, entrando nel «mercato» libero. Certo, ci sono perdenti e vincenti in ogni nazione. 
Ma per esempio:
Lettonia: ha perso le sue industrie d’auto ed elettroniche. 
Lituania: per l’introduzione delle quote latte, ha dovuto eliminare il 75% del bestiame che allevava. Su ordine della UE, il piccolo Paese ha dovuto chiudere la sua centrale nucleare di Ignalina, e di conseguenza diventare un importatore di elettricità (inoltre, deve procurarsi un miliardo di euro per smantellare la centrale). 
Estonia: ha eliminato l’80% del suo capitale in bestiame, e la sua agricoltura è stata riorientata nella produzione di biocarburanti. Su richiesta UE, ha tagliato la sua produzione di elettricità di due terzi (da 19 a 7 miliardi di kWh). Aveva un settore di macchine utensili: non esiste più. La fabbrica Volta di Tallin, che produceva materiali per l’industria energetica, è stata chiusa.
Nel 2007 la UE ha multato tutti e tre i Paesi baltici perché tentavano di costituirsi delle riserve alimentari al fine di far calare i prezzi: violazione del «mercato». L’industria della pesca dei baltici è stata parimenti stroncata dalle «quote» e dalle «norme di solidarietà» (sic) nell’uso delle risorse marine europee. 
Ungheria: ha dovuto liquidare l’industria di bus e autocarri Ikarus, che negli anni migliori produceva 14 mila veicoli l’anno.
Polonia: presunta storia di successo dell’integrazione nella UE. Un successo basato sui bassi salari e una fiscalità «business friendly», amica degli investitori esteri. Nel successo polacco, c’è che ha vinto e chi ha perso. Hanno perso i 300 mila minatori licenziati appena dopo l’entrata nell’Europa, perché le miniere di carbone sono state chiuse e il 75% dei minatori non ha più lavoro. I grandi cantieri navali di Gdansk (Danzica) che hanno costruito grandi navi per il mercato mondiale negli anni ’60-70, sono divisi in due società, che vanno male. Decine di cantieri più piccoli hanno parimenti chiuso. Quando si è unita alla UE, la Polonia aveva un debito estero di 99 miliardi di dollari; nel 2013, il debito estero era salito a 360 miliardi. Chiamatelo successo…
E a proposito di cantieristica: 
Grecia: aveva una celebre industria navale. Oggi praticamente non esiste più: gli armatori greci, da quando il Paese è entrato nell’euro, hanno comprato all’estero 770 navi; l’esigenza di adeguarsi alle normative eurocratiche ha fatto salire i costi in modo proibitivo. La produzione di cotone è dimezzata, sempre a causa delle normative europee, e causa delle «quote» di solidarietà (sic) imposte da Bruxelles, il settore vitivinicolo è stato duramente colpito. Sempre più gli analisti concordano nel ritenere che l’allineamento sulle normative e direttive europee è stato il fattore preliminare della catastrofe ellenica. 
Spuntano gli oligarchi


Il Governo auto-proclamato di Kiev ha nominato due oligarchi come governatori delle regioni di Dnepropetrovsk e del Donetz: Igor Kolomoisky (Privat Bank) e Sergei Taruta; e i due hanno ricevuto l’appoggio di un terzo oligarca, il più ricco di tutti, Rinat Akhmetov. I primi due sono legati al «sistema Timoscenko», è gente di pessima reputazione, con collegamenti alla malavita. Ciò permette di capire meglio uno dei moventi del putsch: alcuni oligarchi si sono vendicati del clan Yanukovich.
economia ucraina Ucraina: un’Altra Cosa che non ci Hanno Detto (di Maurizio Blondet)
 Igor Kolomoisky
economia ucraina 1 Ucraina: un’Altra Cosa che non ci Hanno Detto (di Maurizio Blondet)
 Rinat Akhmetov
Igor Kolomoisky è presidente del Congresso Ebraico ucraino, e grande finanziatore di organizzazioni ebraiche; la sua elevazione al potere, da parte di un Governo in cui sono ampiamente rappresentati partiti e formazioni «antisemiti» come Svoboda, intende forse rassicurare la comunità giudaica internazionale. Ma l’ambasciatore israeliano a Kiev, Reuve Din El, ha aperto un contatto permanente con Dmitri Yarosh, capo delle formazioni militari Pravi Sektor, il quale ha assicurato l’ambasciatore che «prenderà tutte le misure» per combattere «l’antisemitismo». Ciò è ritenuto un colpo verso il partito Svoboda, che ha espresso posizioni «antisemite». (Israeli envoy opens ‘hotline’ with Ukrainian ultra-nationalist)
D’altra parte, gli oligarchi dispongono di proprie forze di piazza nelle tifoserie calcistiche violente, che loro controllano. Il candidato dei russofoni nella regione di Donetsk, Pavel Gubarev, che voleva opporsi all’oligarca Taruta scelto da Kiev, è stato sequestrato, portato a Kiev e condannato dalla procura (che è del partito Svoboda) a due mesi di prigione. Ma attivisti russofoni di Donetsk hanno impedito il rapimento di altri esponenti della loro parte, impadronendosi del pullman in cui venivano trasportati. Va segnalato che l’oligarca Taruta, forse per ingraziarsi la componente russofona, ha tenuto un durissimo discorso contro il Pravi Sektor.
Ucraina: L’avventurismo USA-EU ci Porta alla Guerra (di Maurizio Blondet)
Fra le immagini che vengono dall’Ucraina, una mi spaventa di più. No, non è la gigantografia della Timoshenko (già fischiata dalla piazza), e nemmeno la grande scritta – in inglese per la CNN ed Al Jazira (i 5 miliardi della Nuland bene spesi).
ukraine war Ucraina: L’avventurismo USA EU ci Porta alla Guerra (di Maurizio Blondet)
No, sono il gran crocifisso di là, e ancor più l’immensa immagine del Cristo Misericordia, l’immagine carissima rivelata a santa Faustina Kovalska, assunta come simbolo di parte. E la scritta («Confido in te») in caratteri latini e non cirillici.
Ora, ciò che proprio manca all’Ucraina, sarebbe unire ai conflitti che la travagliano e la spaccano anche la ferita aperta religiosa: cattolici contro ortodossi, una guerra di religione. Le centrali occidentaliste possono ottenerla facilmente, aizzando gruppuscoli fanatici filo-polacchi come hanno già risvegliato le covate neonaziste… e i neocon giudeo-americani al comando della crisi hanno una solida esperienza in questo campo. Abbiamo ben visto come hanno ravvivato la fitna, la frattura tra sciiti e sunniti in ogni Paese islamico in cui hanno «espanso la democrazia», in esecuzione delle «direttive» israeliane, scritte 30 e più anni fa sulla rivista ebraica Kivunim (che significa appunto «direttive»). Quelli sono capaci di tutto. 
Lo dicono i commenti dei grandi media americani e britannici (quelli italiani, ovviamente seguono), dei governanti di Londra, di portavoce della Nomenklatura eurocratica da Bruxelles: nemmeno una briciola di resipiscenza, non un granello di ammissione che con profferte di integrazione all’Europa, hanno acceso una miccia incontrollabile in un Paese storicamente fratturato e piagato, provocato Mosca con intromissioni e ingerenze intollerabili; no, è tutta colpa di Putin, è aggressivo e brutale: «La Russia minaccia guerra» urlano i giornali della superpotenza che è in guerra da un decennio in Afghanistan, Iraq, e una dozzina di altri teatri con operazioni coperte; , «Abbracciamo il popolo ucraino» (George Osborne, il ministro britannico); Washington e Londra E Bruxelles promettono «assistenza finanziaria» (a vanvera) al nuovo ordine di Kiev che ancora non si sa quale sia; Catherine Ashton vola a Kiev a riprendere, anzi accelerare «l’integrazione alla UE» (una integrazione che, non era mai stata fatta balenare prima, ed è impossibile).
Insomma, è sentimento anglo-americano di impeccabilità e infallibilità al suo diapason. La convinzione che la propria superiorità morale e storica, dia il diritto di ficcare il naso , o gli stivali, in zone di storica instabilità dovunque nel mondo; che la «buona causa» del mercato-democrazia consenta qualunque immoralità e irresponsabilità, e destabilizzazione in casa d’altri. Con in più il permanente, ostinato rifiuto di riconoscere che Mosca abbia una legittima pretesa sulla questione, una legittima zona d’influenza o persino un legittimo diritto di avere una posizione sulla destabilizzazione ucraina… Tutto ciò è delirante, e porta ad un solo esito: la guerra. La guerra del Bene contro il Male (Assoluto), sia chiaro. 
Così, Obama si è detto «sbalordito», stunned, quando Vladimir Putin gli ha telefonato, spiegandogli che per difendere i diritti della popolazione russofona della Crimea e dell’Ucraina orientale (dove la gente si sta mobilitando, preparandosi al peggio) è pronto a mobilitare 250 mila uomini, che ha dato ordini ai generali di rafforzare la prontezza ed ha effettivamente mandato un mezzo da sbarco con 200 uomini. 
Ma come mai, si domanda lo sbalordito: come mai Putin è così aggressivo? È geloso della democrazia a Kiev? Ovviamente dimenticando che qualche mese fa, quando l’eurocrazia e gli USA promettevano a Yanukovitch i grandi vantaggi in denaro del cambiare campo, Putin propose un accordo tripartito, in modo – disse – da dare all’Ucraina l’opportunità di avvicinarsi all’Europa senza bisogno di uscire dalla Unione Eurasiatica, il mercato comune gestito da Mosca: e Bruxelles, dura, nemmeno rispose a Putin, ma disse all’ucraino che doveva scegliere: di qua o di là. 
Un atteggiamento ingiurioso che la UE (chissà poi chi) ha replicato adesso: riconoscendo immediatamente come legittimo il «governo» che ha preso il potere a Kiev nel disordine, e il suo presidente ad interim, tale Oleksandr Turchynov. Unilateralmente, e in gran fretta. Ciò spiega la frase del moderato Medvedev, che i giornali nostrani riportano con sdegno, come prova della brutalità russa: «Trattare gli uomini mascherati e brandenti kalashnikov che circolano per Kiev come un governo… la legittimità di tali corpi di governo è francamente dubbia». 
È la voce della ragione, date le circostanze. Ma no, Susan Rice, la consigliera della sicurezza nazionale di Obama, dirama una intimazione: La Russia non usi la forza in Ucraina. Al che, il portavoce di Lavrov (Esteri) ha replicato: «Buon consiglio, la Rice lo dia alla sua amministrazione, per i casi delle truppe americane spedite in tanti posti del mondo, dovunque gli Usa credono che le norme della democrazia occidentale sono in pericolo». (Good advice, wrong address: Russia responds to Susan Rice ‘no tanks to Ukraine’ warning)
I sordi non vogliono sentire. Anzi, si critica Mosca perché ha detto di voler sospendere il prestito (15 miliardi di dollari) che aveva concesso a Yanukovitch in cambio delle promesse (mai veramente concretate) della UE a cui rinunciava. A dicembre, la Russia ha comprato tre miliardi di dollari del debito pubblico ucraino, notoriamente non tanto solido: nessuno in Occidente è disposto a riconoscere che Mosca incorrerà in gravi perdite. No, si critica il fatto che Mosca vuol rallentare le importazioni di generi alimentari, che sono gran parte del suo interscambio con l’Ucraina (questa esporta in Russia il 25% della sua produzione). L’impeccabile Occidente sembra aspettarsi che sia Mosca a finanziare il cambiamento di campo ucraino? (Russia suspends loans to Ukraine during governmental chaos)
«La comunità occidentale intervenga col libretto degli assegni», sbraita Osborne (cancelliere dello Scacchiere, ossia ministro economico. che la verità la conosce: gli assegni sono a vuoto). Certo, come no. Il Ministro ad interim Kolobov ha gridato che in Ucraina è imminente la bancarotta ed ha bisogno subito subito di 35 miliardi di dollari. L’Europa, prima, aveva offerto a Yanukovitch… 160 milioni (milioni) per cinque anni. 
Rehn e Barroso, i provocatori
Adesso Olli Rehn fa balenare al neo-Governo ucraino (che ancora non esiste né è stato eletto) che, se firma subito subito l’adesione alla UE, ciò «consentirebbe a Kiev di ricevere subito 2 miliardi di euro e l’ingresso in un mercato di 500 milioni di consumatori». Anche se in realtà l’Ucraina, spiegano gli analisti, oggi non ha molto da vendere. E benché Karel De Gucht, commissario europeo al Commercio, abbia sottolineato che «l’accordo non significa l’ingresso nell’Ue».



Irresponsabili, che eccitano speranze infondate ad una piazza rovente con promesse campate in aria, che tutti sanno vane. Ma come ha detto il ben noto Olli Rehn, al G20 di Sidney, «è importante per l’Europa indicare una chiara prospettiva europea per il popolo ucraino, che ha mostrato il proprio impegno per i valori del Vecchio Continente».

«Speriamo che la Russia lavori assieme a noi», dice adesso Barroso: dopo tante provocazioni, fatti compiuti unilaterali, senza mai non dico consultare, ma avvertire Mosca , ecco Barroso: non si sa se lo possieda più la malafede, oppure l’idiozia. 
Ed oggi, il Fondo Monetario Internazionale ripete che è prontissimo ad aiutare la nuova Ucraina a modo suo, purché si sottoponga alle dolorose misure di austerità, ricette di risanamento, svendita di beni pubblici, privatizzazioni, che già aveva proposto a Yanukovitch, onde rendere il Paese «competitivo sui mercati mondiali». 
Tutto ciò mentre il Governo ad interim e il Parlamento ad interim, che obbedisce a quelli mascherati col kalashnikov, sta arrestando ex Ministri, sancendo il divieto della lingua russa, mentre nel Nord russofono a gente pesta le minoranze che cercano di scendere in piazza a in sostegno degli eurofili di Kiev, e Mosca estende la cittadinanza a tutti gli ucraini che abbiano un avo russo…
E a Kiev, la folla «vede troppe facce familiari rientrare nel Parlamento dopo al rivoluzione», ammette un inviato del New York Times.(Ukrainian Protesters See Too Many Familiar Faces in Parliament After Revolution)
La piazza ha fischiato la Timoshenko ben ricordando che questa non è meno corrotta di Yanukovitch. La piazza si stupisce e ruggisce: «Di nuovo vediamo arrivare queste Mercedes e BMW con dentro i deputati che si suppone ci rappresentino. Non li vogliamo più vedere»: il trasformismo fulmineo dei parlamentari voltagabbana li scandalizza e li disorienta. Si vede proprio che sono nuovi nella «democrazia». Dovevano chiedere a noi italiani, potevano informarli sulle solite facce che ci vediamo sopra da 50 anni, Amato, Napolitano, Prodi, e che il voltagabbanismo, della democrazia, è il corollario, come la corruzione (del resto, Yanukjovitch è un prodotto della democrazia, l’hanno votato). Vorrebbero mandare al Governo, senza mediazioni, gli «eroi di piazza Maidan», cosa non poi tanto facile (ma è l’utopia della Rete alla Grillo che ben conosciamo), urlano che il Parlamento deve aumentare le pensioni, trovar lavoro ai disoccupati, riaprire gli ospedali privatizzati, che la «politica» risolva i problemi di tutti e di ciascuno, e intanto ecco le immagini del Cristo cattolico usate come segnale di identità: non è una «rivoluzione» ma un forum del web, pieno di trolls, provocatori, agenti stranieri e tizi che brandiscono il kalashnikov e sull’orlo del precipizio, della disperazione e della fame. 
Ma da Londra, i circoli globalisti guardano a tutto ciò con euforia: anche una guerra civile tipo Siria non deve spaventare, perché – scrive sull’Independent Andrew Wilson, docente di studi ucraini all’University College de Londres e autore di un libro esaltante laUkraine’s Orange Revolution, l’avvento della democrazia in Ucraina susciterà una «evoluzione democratica» in Russia, un «effetto domino» che sarà la rovina per Putin… (Why a new Ukraine is the Kremlin’s worst nightmare)
Dunque il senso di tutte l’ingerenza, la provocazione e le promesse vane, è sempre quello: rovesciare Putin, umiliare la Russia, farle male… È l’avventurismo totale, unito al trotzkismo nichilistico della rivoluzione (democratica) permanente che ossessiona i neocon americani, in una mescola delirante; e tutto sulla pelle degli ucraini, pedine e stracci del «grande gioco» britannico. 
Un lettore che abita a Varsavia mi cita un passo di Roman Dmowski. Padre del realismo politico polacco e fautore di un orientamento geopolitico filorusso, nel 1931 scrisse parole profetiche «… non esiste forza umana capace di impedire che un’Ucraina staccata dalla Russia, e trasformata in Stato indipendente, diventi un assembramento di affaristi da tutto il mondo, banditi e organizzatori di ogni sorta di prostituzione [...]. L’Ucraina diverrebbe un ascesso nel cuore dell’Europa, il cui vicinato sarebbe per noi polacchi funesto. Per una nazione come la nostra è meglio avere come vicino uno Stato potente, persino ostile, che un bordello internazionale. Quelli che sognano la creazione di una nazione ucraina culturale, sana e forte, che si sviluppi in un proprio complesso statale, si convincerebbero ben presto di avere, invece del proprio Stato, un mercato internazionale, e invece di un sano sviluppo, un rapido avanzamento della dissoluzione e della corruzione». 
Quando si dice una profezia azzeccata. E anche noi italiani avremmo da meditare: se l’Ucraina non è mai stata veramente indipendente, mai unita e unitaria, sempre sotto qualche dominio, influenza o soggezione straniera, c’è qualche profondo motivo. L’incapacità di quel popolo all’autogoverno ce lo fa, tristemente, vicino. E le piazza Maidan, come le piazzali Loreto, non bastano a costruire un popolo. 
Morire per Kiev? 
Ora, la convinzione occidentalista di essere impeccabile, di non aver sbagliato mai nulla, la sua offensiva contro Mosca che non vuol riconoscere come tale, forse costringerà Putin – per farsi prendere sul serio – a mobilitare non battaglioni ma reparti e divisioni, richiamare forze più decisive, prendere decisioni militari; a cui risponderanno le decisioni militari in crescendo dell’unica superpotenza rimasta: si entra in quel genere di corridoio senza uscite laterali, che già nel 1914 portò l’Europa dritta nel carnaio della grande guerra, ed ancor oggi gli storici se ne chiedono perché fu inevitabile.

di Marco Della Luna 01.09.14 
Le menti geostrategiche di USA e UE avevano già convincentemente manifestato il loro livello di intelligenza e lungimiranza nelle campagne di pacificazione, stabilizzazione e democratizzazione di Iraq, Afghanistan, Libia, Egitto. In Siria mesi fa stavano per aiutare gli insorti jihadisti bombardando l’esercito siriano, e ora, costretti dai fatti, aiutano l’esercito siriano bombardando i jihadisti.
Mentre le fabbriche licenziano e chiudono e l’economia comunitaria si contrae perfino in Germania, e mentre si avvicina un freddo inverno, le sullodate menti si lanciano in una campagna di sanzioni, dirette a parole contro la Russia, ma nei fatti contro le imprese, i lavoratori, i consumatori dell’Europa Occidentale. Penso alle ditte che, a seguito delle sanzioni, non possono più esportare verso il più grande paese del nostro continente. Quindi vanno a gambe all’aria. Con le sanzioni in vigore ad oggi e con le contromisure russe, l’Italia rischia 800.000 posti di lavoro e, solo di esportazioni agroalimentari, perde 200 milioni, cioè il 24%.  L’UE perderà circa 5 miliardi.
Qual è il fine degli illuminati strateghi? Indurre Mosca a decurtarci i prodotti energetici per costringerci ad affidarci ai fornitori USA, così da aumentare anche la nostra sudditanza politica verso Washington, e con un passaggio per forti rincari, che si tradurranno in maggiori costi per riscaldarsi, per viaggiare, per fabbricare?
Dopo che la loro geniale e felicissima guerra in Libia (voluta da Londra e Parigi, appoggiata da Washington, e a cui Berlusconi fu spinto a partecipare da Napolitano) ci ha privato di quella preziosa fonte alternativa, in cui avevamo investito molto, è logico che adesso puntino a privarci anche del fornitore russo, per metterci completamente in pugno a quello americano.
Intanto – ripeto – è assodato che queste stupide sanzioni ci stanno facendo perdere punti di pil e guadagnare punti di disoccupazione.
Ma per distrarre l’opinione pubblica dai veri problemi, dalla depressione economica, da chi fa gli affari sulla pelle delle nazioni, da chi si mangia i diritti della gente – per distrarre gli europei dal problema dei conflitti oggettivi e interni di interessi all’UE, tra paesi dominanti (Germania in testa) e paesi subalterni,  si costruiscono conflitti esterni e nemici esterni, meglio se con connotazioni morali e ideologiche. E’ una costante storica.
Non meno balorda è la motivazione delle sanzioni medesime. Le menti strategiche dei nostri leaders, dopo aver inglobato nella NATO e armato contro la Russia diversi paesi dell’area ex-sovietica, anche nel Caucaso e nella zona altaica, fino all’Afghanistan, ora vorrebbero estendere la NATO all’Ucraina, portando i loro missili a poche centinaia di chilometri da Mosca. E’ pensabile che Mosca accetti ciò senza combattere? Che accetti un accerchiamento che le arriva sotto casa? Quanto vogliamo tirare questa corda? Non è meglio, non è più sicuro, magari, creare uno Stato-cuscinetto nel Donbass, libero da armi strategiche? Non è meglio lasciare alla Russia le sue tre provincie storiche ed etniche, piuttosto che rischiare una guerra nucleare, o anche solo un ulteriore tracollo economico?
Infatti, la Russia rivuole semplicemente indietro le sue tre provincie, che da secoli sono abitate in maggioranza da russi, e che Krushev, a tavolino, aveva passato amministrativamente all’Ucraina nel 1953, in un contesto che rendeva pressoché indifferente questo passaggio. E’ chiaro che i recenti rivolgimenti in Ucraina hanno cambiato le carte in tavola, che è emersa e si sta consolidando una forma di nazionalismo ucraino il quale, verso la minoranza russa, va dal non amichevole all’ostile, e che politicamente si estende dal liberismo capitalista al fascismo. Santa Julia Timoshenko, celebrata leader filoeuropea ed eroina della democrazia di Kiev, è stata intercettata mentre diceva di voler eliminare i separatisti russi con le armi nucleari. Dopo questo, e dopo le stragi che sono state consumate, come si può onestamente pensare a una pacifica convivenza della minoranza russa con la maggioranza ucraina entro il medesimo Stato e sotto il medesimo governo?
La divisione umana che si è aperta è incolmabile e insanabile; meglio prenderne atto, e tracciare un confine che metta fine alla guerra e alle carneficine, prima che prenda corpo il fenomeno che già è iniziato, ossia dei volontari stranieri, perlopiù di estrema destra, che vanno a combattere in Ucraina contro i comunisti russi, e che, a differenza dei soldati ucraini, non si fanno scrupolo di sparare anche sui civili, identificandoli come nemico etno-ideologico. Si aggiungono i mercenari e i contractors occidentali, i mercenari delle multinazionali USA che supportano Kiev, assieme a neonazisti svedesi. Combattenti francesi, americani, serbi, polacchi, israeliani, britannici, etc., già versano il loro sangue, perlopiù  per motivi ideali, soprattutto a difesa dei russi. Hanno formato una brigata sotto il nome “United Continent”.
Stanno così risvegliandosi gli odii atavici e tradizionali del Vecchio Continente, complicati, oltre che dalla stupidità dei vari fanatismi, dalla contrapposizione ideologica e dalla valenza di lotta paneuropea contro l’invadente presenza del capitalismo americano.
Una deriva, questa, di cui i cauti media non ci informano, ma che è ovviamente assai pericolosa, che tende a coinvolgere altri paesi e a far evolvere un conflitto etnico locale in qualcosa di incomparabilmente peggiore e che può portare all’uso di armi nucleari in Europa, quindi a conseguenze mortifere o persino peggio che mortifere anche per noi dell’Europa occidentale.
La guerra di Ucraina è già adesso una guerra europea. Assomiglia alla guerra civile spagnola. Ma a differenza di quella, tocca direttamente una superpotenza nucleare.
Perciò ripeto: basta sanzioni idiote contro la Russia, tracciare un confine per separare le opposte forze armate, porre fine alla guerra, lasciare alla Russia ciò che è della Russia, e prendersi pure il resto. Ma senza piazzarci armi strategiche.
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Il TurkStream, Dopotutto, forse si farà… 

(di Maurizio Blondet  8 febb.2015)

Comunque ve la raccontino i media in seguito, non c’è dubbio: l’incontro con Putin di Merkel ed Hollande a Mosca è stato una brutta sorpresa per i forsennati di Washington, assetati di guerra. Per capirlo, bastava constatare il mutismo dei media anglo-americani. Non una parola sul New York Times e il Washington Post, non parliamo degli inglesi. Bastava leggere il Kiyv Post, l’organo della giunta di Kiev: «La missione Merkel Hollande a Mosca è sbagliata», «Kerry ci consegna aria calda di parole mentre Putin consegna carri, missili e truppe». Il segretario di Stato ha portato «la simpatia del popolo americano», ma non l’armamento. Tutto un trasudare di rabbiosa delusione.
Nelle prossime ore vi diranno che la mossa Merkel-Hollande è stata appoggiata dagli americani, già il duo europeo ha fatto sapere di essersi coordinato con Kerry. Già, come no: un colloquio tanto rigorosamente a tre, da non aver avuto nemmeno la presenza delle rispettive delegazioni, interpreti, diplomatici, il tipo di persone che poi «spifferano» ai giornalisti, e i giornalisti americani sono stati tenuti all’oscuro.
In qualunque modo ve la medicheranno, è stata la prima volta che s’è rivelata una spaccatura politica e profonda all’interno della NATO fra il padrone e i vassalli: la paura di avere una Libia spaccata, piena di milizie neonazi e super-armate di missili anticarro USA ai confini della Germania, o peggio una guerra occidentale contro la Russia, ha dato alla Merkel il coraggio che non aveva. Hollande ha seguito (forse senza capire, quei due si sono parlati in tedesco). Per la prima volta, s’è mostrato che gli interessi europei divergono da quelli americani in modo fondamentale. E Kerry ha dovuto dire che era d’accordo a soprassedere, per non rendere più evidente la divaricazione dell’alleanza.
Cinque ore di colloquio, senza orecchie indiscrete, che – per giunta – ha preso come base l’accordo di tregua di Minsk, concepito da Putin a settembre e continuamente violato dalla giunta disperata ed avventurista di Kiev, nella speranza di trascinare nella sua guerra civile la Russia e dunque – al suo fianco – la superpotenza USA: questo piano concepito a tre è poi stato presentato a Poroshenko perché lo accetti. Se questo non è uno scacco diplomatico americano, non so cosa lo sia.
Certo, la nuova tregua è fragile, i forsennati attueranno qualunque trucco e false flag per mandarla all’aria. Ma intanto riconosce i 1500 chilometri quadrati che i ribelli del Donbass si sono conquistati in più nel contrattacco all’avventuristica spallata di Kiev, propone un’interposizione di Caschi Blu… e in ogni caso ha guadagnato tempo. E il tempo non è a favore della giunta di Kiev: in piena bancarotta, e divorata dalla corruzione, minacciata dalle stesse milizie neonazi che ha alimentato, potrebbe essere costretta alla fuga coi suoi oligarchi e il suo bottino, prima del previsto.
Accordo fatto tra Gazprom e Turchia
Il progetto di costruire un secondo gasdotto – oltre a quello già esistente che passa sotto il Mar Nero e affiora sulle coste turche – va avanti, anzi viene precisato, nonostante i bassi prezzi del petrolio. Gazprom e la Botas Petroleum Pipeline Corporation hanno firmato l’accordo relativo. Nel comunicato finale, si dice addirittura che la prima fornitura (15,7 miliardi di metri cubi, interamente destinatial mercato turco) sarà pompata in questo nuovo gasdotto nel dicembre 2016. «Data l’esistenza in funzione della stazione di compressione Russkaya (che serviva per il cancellato SouthStream, ndr) e della maggior parte della rotta offshore della tubatura, si tratta di un termine realistico». Ci sono ancora da determinare di comune accordo «il punto di emersione dal mare, il punto da cui il gas sarà fornito ai consumatori in Turchia, e il punto dove il gas traverserà il confine turco-greco»: dunque è chiara l’intenzione di Gazprom di far arrivare, attraverso la Grecia, il gas ai clienti del Sud Europa : l’Italia che è il più vorace consumatore e la più danneggiata dalla cancellazione del SouthStream, ma ovviamente Serbia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Grecia… Dove la delusione europeista sta formando una nuova zona d’influenza moscovita.
Il prezzo attuale del greggio non rende conveniente questa seconda linea, ma ben si sa che il Cremlino ha una visione ampia, in senso temporale e politico. Quasi certamente il petrolio rincarerà fra un anno o poco più, fornendo di nuovo a Mosca i mezzi per la sua politica estera. Soprattutto, come commenta il sito del Minsitro Lavrov, «entro il 2019 la Russia sarà in grado di consegnare le forniture di gas all’Europa non passando per l’Ucraina». Il potere di ricatto di Kiev consistente nel chiudere i rubinetti o rubare il gas russo, chiunque sia al potere allora, sarà neutralizzato; e la «carta ucraina» in mano agli americani, polacchi, baltici e neocon vari, per minacciare ed aggredire Mosca, diventa una scartina.
Il vecchio gasdotto e il cancellato SouthStream. Il nuovo ne ricalcherà in parte il tracciato
Non stupirà apprendere che l’accordo in via di perfezionamento fra Mosca ed Ankara per il secondo gasdotto è stato furiosamente criticato dalle «capitali occidentali». Washington ha urlato che il gasdotto ha«solo uno scopo politico» (eh già). Il commissario europoide Maros Sefcovic ha lamentato: «La decisione russa di fornire l’intero ammontare del gas attraverso la Turchia invece che attraverso l’Ucraina è un colpo all’immagine di Gazprom come fornitore affidabile».
Si vede che Sefcovic non ha trovato una scusa migliore. Una simile dichiarazione, comica o da ospedale psichiatrico, merita la definizione che Yanos Varoufakis, il ministro greco, ha dato dell’Unione Europea:
«Un personale politico inetto, in stato di denegazione della natura sistemica della crisi, persegue politiche che si configurano come bombardamenti a tappeto dell’economia di fiere nazioni europee, allo scopo di salvarle».

Maurizio Blondet

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