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lunedì 15 marzo 2010

QUANTO CONTANO LE DONNE IN CINA ED ANCHE IN ALTRI PAESI ??? MENO DI ZERO, IN RISPETTO ALLA POLITICA DEL FIGLIO UNICO !!!


Speriamo che sia maschio



Gendercide, una guerra mondiale contro le



figlie femmine



Tecnologia, calo della fertilità e vecchi pregiudizi congiurano per squilibrare la società. La scrittrice cinese Xinran  Xue  descrive  la  sua  visita  a una  famiglia  contadina a Yimeng, nella  provincia  dello Shandong.

Una donna stava partorendo. “Ci eravamo appena seduti in cucina – racconta – quando sentimmo un gemito di dolore arrivare da dietro la porta della stanza da letto... Il pianto diventava sempre più forte... e bruscamente si interruppe. C’era adesso un singhiozzare sommesso, e una voce maschile e burbera esclamò, in tono accusatorio: ‘Piccola cosa senza valore!’”.



“All’improvviso qualcosa si mosse rapida dietro di me, vicino a un grande secchio dell’immondizia – ricorda miss Xinran. – Vidi una cosa orrenda: dal secchio spuntavano due minuscoli piedini. L’ostetrica doveva averci gettato dentro il bambino, vivo. Feci per alzarmi, ma i due poliziotti (i miei accompagnatori) mi posero due robuste mani sulle spalle: ‘Non si muova, non può più salvarlo, è troppo tardi’.



‘Ma... si tratta d’omicidio... e voi siete la polizia!’. Il piedino adesso era immobile. Il poliziotto mi tenne ferma per qualche minuto. Una vecchia donna, avvicinatasi per consolarmi, mi disse: ‘Fare una bambina non è gran cosa, da queste parti’. ‘Ma era un bambino vivo’ risposi con voce tremante, indicando il secchio. ‘Non era un bambino – mi corresse. – Era una bambina, e non possiamo tenerla. Da queste parti, non puoi fare a meno di un figlio maschio. Le figlie femmine non contano’”.



Lo scorso gennaio, l’Accademia cinese di scienze sociali (ACSC) ha mostrato cosa può accadere a un paese dove le figlie femmine non contano. Entro dieci anni, un giovane uomo su cinque non potrà trovare una moglie per la carenza di giovani donne – una media senza precedenti per una nazione in periodo di pace.



Tale dato è basato sullo scarto tra i numeri di uomini e donne nella popolazione di età inferiore ai 19 anni. Secondo la ACSC, in Cina nel 2020 ci saranno, rispetto alla fascia d’età presa in esame, tra i 30 e i 40 milioni di uomini in più delle donne. Si consideri che gli uomini non ancora ventenni in Germania, Francia e Gran Bretagna sono 23 milioni, in America 40 milioni. Quindi la Cina si ritrova con la prospettiva di avere, tra dieci anni, una popolazione di giovani maschi pari a quella americana, o quasi doppia di quella delle tre più grandi nazioni europee, per la quale le possibilità di trovare una moglie saranno poche o nulle, che presumibilmente non avrà alcuno stimolo a lasciare la casa dei genitori, né raggiungerà il posto nella società riservato a coloro che hanno moglie e figli.



Il “Femminicidio” (Gendercide) – prendendo a prestito il titolo di un libro scritto da Mary Anne Warren nel 1985 – è spesso visto come l’indesiderata conseguenza della legge cinese che impone un solo figlio a famiglia, o di povertà e ignoranza. Ma questi fattori non possono bastare per spiegare tutta la storia. Il “surplus” di scapoli – che in Cina vengono chiamati guanggun, o “rami nudi” – sembra abbia avuto un’accelerazione tra il 1990 e il 2005, in modi non direttamente riconducibili alla politica del figlio unico, che venne introdotta nel 1979. Inoltre, come sta diventando sempre più chiaro, la guerra alle bambine non è limitata alla Cina.



Parti dell’India hanno medie sessuali squilibrate come nel limitrofo paese più a nord. Altri paesi dell’estremo oriente – Corea del Sud, Singapore e Taiwan – registrano un numero di nascite maschili singolarmente alto. Lo stesso accade, dopo il collasso del comunismo, in paesi ex-comunisti nei Balcani e nel Caucaso. Un tale fenomeno si registra anche in alcune, limitate parti dell’America.



La vera causa, secondo Nick Eberstadt, studioso di demografia al think-tank di Washington American Enterprise Institute, non sono le particolari leggi di una certa nazione quanto “la fatale collisione tra un’ottusa preferenza per un figlio maschio e il diffondersi da un lato delle analisi prenatali, dall’altra di una fertilità in declino”. Eberstadt indica tendenze globali. La distruzione selettiva delle bambine è una tendenza altrettanto globale.



I maschi sono leggermente più soggetti a morire nel periodo infantile. Per compensare, nascono più maschi che femmine, in modo che nella pubertà il numero di maschi e femmine sia uguale. In tutte le società dove vengono registrate le nascite, nascono tra i 103 e i 106 maschi ogni 100 femmine. Tale proporzione si è mantenuta così stabile nel tempo, da far pensare che si tratti dell’ordine naturale delle cose.



Questo ordine è cambiato drasticamente negli ultimi 25 anni. In Cina, il rapporto tra i sessi per la generazione nata tra il 1985 e il 1989 era 108, già oltre la fascia d’oscillazione naturale. Per la generazione nata nel 2000-04, era di 124 (ovvero, 124 neonati per ogni 100 neonate). Queste medie sono biologicamente impossibili senza un intervento umano.



Le medie nazionali forniscono medie stupefacenti se scorporate a livello provinciale. Secondo quanto riferisce una ricerca cinese risalente al 2005 e ripresa dal British Medical Journal*, solo una regione, il Tibet, ha una media dei sessi in linea con quella naturale. Quattordici province – per la maggior parte all’est e nel sud – hanno medie dei sessi di 120 e oltre, mentre tre hanno una media inedita di oltre 130. Come afferma la ACSC, “lo squilibrio dei sessi è andato crescendo anno dopo anno”.



Lo studio del BMJ getta luce su uno degli enigmi riguardanti lo squilibrio dei sessi in Cina. Quanto, questo squilibrio, può essere stato gonfiato dalla pratica di non dichiarare la nascita di una bambina, per mantenere la speranza di avere un figlio maschio al tentativo successivo? Non molto, ritengono gli autori. Se questa presunta pratica fosse realtà, spiegano, ci si aspetterebbe che le medie del sesso cambierebbero repentinamente quando le ragazze che erano state celate alla nascita cominciassero a venir registrate negli elenchi pubblici, per esempio quelli scolastici o dell’assistenza sanitaria. Il fatto è che un tale cambiamento non c’è. La media dei sessi nei quindicenni, nel 2005, non era molto dissimile da quella dei nati nel 1990. La conclusione è che è proprio l’aborto sesso-selettivo, e non la mancata registrazione delle nascite femminili, a determinare l’eccesso di maschi.



Ci sono altri paesi che hanno pesantemente alterato la media dei sessi senza aver introdotto le draconiane regolamentazioni cinesi. Quella di Taiwan era poco più alta della norma nel 1980, nel 1990 era arrivata a 110; attualmente, è di poco inferiore a quel livello. Nello stesso periodo, la media dei sessi nella Corea del Sud è passata da poco più del normale a 117 – nel 1990 era la più alta nel mondo – per poi tornare a livelli più naturali. Entrambi erano paesi ricchi, in rapida crescita e con un’istruzione media di livello abbastanza alto già nel periodo in cui si verificò quest’accelerazione delle nascite maschili.



La Corea del Sud sta già sperimentando alcune sorprendenti conseguenze. Il surplus di scapoli in quella che è una nazione ricca ha già risucchiato mogli dall’estero. Nel 2008, l’11% dei matrimoni era “misto”, per lo più tra un uomo coreano e una straniera. Ciò sta creando tensioni in una società fino a pochi anni fa omogenea, spesso ostile ai bambini nati da coppie miste. La tendenza è particolarmente forte nelle campagne, dove il governo prevede che, per il 2020, la metà dei matrimoni saranno misti. I bambini nati da queste unioni sono tanto numerosi da aver dato luogo a un neologismo: “Kosians”, ovvero coreano-asiatici.



La Cina, nominalmente, è un paese comunista; ma altrove la crescita dello squilibrio tra i sessi è stata attribuita proprio al crollo del comunismo. Dopo l’implosione dell’Urss, nel 1991, si registrò un aumento della media di nascite maschili su quelle femminili in Armenia, Azerbaijan e Georgia. La media dei sessi passò da quella naturale a 115-120 nel 2000. Un’analoga crescita si ebbe in alcuni paesi balcanici dopo la disgregazione della Jugoslavia. La media in Serbia e Macedonia è di 108. Ci sono segni di squilibrio persino in America, all’interno di alcune comunità di origine asiatica. Nel 1975, secondo i calcoli di Eberstadt, la media dei sessi tra i cino-, nippo- e filippino-americani era tra 100 e 106; nel 2002 è passata a 107-109.



Ma il paese dal record più rimarchevole è l’altro supergigante, l’India. L’India non produce statistiche sul sesso delle nascite, dunque i suoi dati non sono strettamente comparabili con quelli di altri paesi. Ma non c’è dubbio che il numero dei maschi sia aumentato in relazione a quello delle femmine e che, come in Cina, esistano sensibili differenze a livello locale. Gli stati nordoccidentali di Punjab e Haryana hanno squilibri marcati quanto quelli delle province cinesi sudorientali. A livello nazionale, la proporzione tra bambini e bambine di sei anni d’età è passata da un ineccepibile 104/100 nel 1981 a un biologicamente impossibile 108/100 nel 2001. Nel 1991, esisteva un unico distretto dove la media era di 125/100; nel 2001 una tale media si era diffusa in 46 distretti.



La generale credenza in merito a questi problemi è che si tratti del risultato di “mentalità retrograde” tipiche di società arretrate o, nel caso cinese, degli effetti della legge sul figlio unico. Di conseguenza, riformare le leggi o modernizzare la società (ad esempio, migliorando lo status delle donne) dovrebbe riportare il rapporto tra i sessi a livelli normali. Ma ciò non sempre accade e, dove invece accade, la strada per tornare a medie naturali si rivela spesso tortuosa e accidentata.



La preferenza del figlio maschio sulla figlia femmina non è comune a ogni cultura. Ma in quelle dove ciò accade – specialmente quelle in cui il nome di famiglia passa per linea maschile, e dove è l’uomo che, per tradizione, dovrà prendersi carico dei genitori quando anziani – un figlio è meglio di una figlia. Una ragazza è destinata a unirsi alla famiglia del marito dopo il matrimonio, e per i genitori è perduta. Per dirla come gli indù, “crescere una figlia è come dare l’acqua al giardino del vicino”.



La “preferenza del figlio maschio” è visibile – in alcuni casi, travolgente – nei sondaggi. Nel 1999, il governo indiano chiese alle donne quale sesso preferissero per il loro prossimo figlio. Un terzo di quelle senza bambini risposero “maschio”, due terzi non espressero preferenza, solo una piccola minoranza disse “una femmina”. Sondaggi svolti in Pakistan e Yemen hanno dato risultati analoghi. Le madri, in alcuni paesi in via di sviluppo, dicono che vogliono figli maschi, non figlie femmine, nella proporzione di dieci a uno. In Cina, le ostetriche incassano provvigioni maggiori se fanno nascere un maschio invece di una femmina.



A caccia di cuccioli
La cosa insolita sulle preferenze figlio/figlia è che sorgono soprattutto per le seconde o terze nascite. Tra le donne indiane con due bambini (di qualunque sesso), il 60% dice di volere un figlio maschio, quasi il doppio rispetto alle preferenze per il primo parto. E’ anche la preferenza di quelle che hanno già due figlie. La percentuale sale a 75 per quelle con tre bambini. La differenza nell’atteggiamento dei genitori rispetto alle prime nascite e a quelle successive è ampia e significativa.



Prima degli anni Ottanta, la gente dei paesi arretrati poteva fare poco per assecondare le proprie preferenze: prima della nascita, la natura seguiva il suo corso. Ma in quel decennio, le analisi prenatale, in particolare l’ecografia, hanno permesso di scoprire il sesso di un bambino prima che venga alla luce: queste tecnologie hanno cambiato tutto. In India, i medici iniziarono a fare pubblicità all’ecografia con slogan del tipo “Pagate 5.000 rupie (110 dollari) per salvare 50 mila rupie domani” (il costo si riferiva all’ammontare della dote per la figlia). Milioni di coppie che volevano un maschio, ma rifuggivano dall’idea di sopprimere una figlia femmina, scelsero di abortire.



L’impiego selettivo degli aborti è stato vietato in India nel 1994, in Cina nel 1995. E’ illegale in quasi tutti i paesi (sebbene la Svezia lo abbia legalizzato nel 2009). Ma dato che è praticamente impossibile provare che un aborto è stato effettuato per selezionare il sesso, la pratica resta diffusa. Un’ecografia costa circa 12 dollari, una spesa alla portata della maggioranza delle famiglie cinesi o indiane. E’ accaduto che in un ospedale del Punjab, nel nord dell’India, le sole bambine nate dopo una tornata di esami ecografici siano state erroneamente scambiate per maschi, o siano nate in parti gemellari assieme a un maschio.



La diffusione delle tecnologie grazie alle quali è possibile ritrarre il feto non soltanto ha squilibrato la proporzione tra i sessi, ma fornisce anche la spiegazione di quello che a prima vista sembrerebbe un enigma: la squilibrio tra i numeri di maschi e femmine tende a salire assieme al reddito e al grado di istruzione, cosa che non ci si aspetterebbe se fossero davvero le “mentalità retrograde” il fulcro del problema. In India, alcune delle regioni più prospere – Maharashtra, Punjab, Gujarat – mostrano i peggiori squilibri. In Cina, più alto è il grado di alfabetizzazione, più alta è la proporzione di maschi. Tale proporzione cresce anche con il reddito pro capite.



Nel Punjab, Monica Das Gupta, funzionaria della Banca mondiale, ha scoperto che le seconde e terze figlie di madri di alto grado di istruzione hanno il doppio di probabilità di morire prima dei cinque anni rispetto ai coetanei maschi, prescidendo dal loro ordine di nascita. La discrepanza è assai minore nelle famiglie meno benestanti. La Das Gupta ritiene che le donne non utilizzino necessariamente un’istruzione o un reddito superiore per venire incontro alle proprie figlie. Le famiglie più istruite e benestanti condividono le preferenze delle famiglie più umili loro vicine, ma dato che tendono ad essere più piccole, sentono ancor di più la pressione di avere un figlio e un erede, qualora la prima nascita sia stata un’indesiderata figlia femmina**.



Così, la modernità e la crescita del reddito rendono più facile e più desiderabile selezionare il sesso dei propri figli. Da ciò discende un’ulteriore conseguenza: la piccolezza della famiglia combinata con una maggiore ricchezza rinforzano l’imperativo di fare un figlio maschio. Quando le famiglie sono numerose, di certo salterà fuori un figlio maschio che tramandi il nome del casato. Ma se si hanno solo uno o due bambini, la nascita di una figlia femmina può essere considerata come “a detrimento” della nascita di un maschio. Così, con redditi in aumento e fertilità in diminuzione, sempre più gente si trova a far parte di piccole e benestanti famiglie in cui è grande la pressione di avere un figlio maschio.



In Cina, la politica del figlio unico ha aumentato ulteriormente quella pressione. Sorprendentemente, è proprio l’ammorbidimento di quella politica, più che la politica pura e semplice, a spiegare la crescita del numero di maschi.



Nella maggior parte delle città, le coppie sono in genere autorizzate ad avere un solo figlio – è questa la politica nella sua forma più pura. Ma nelle campagne, dove vive il 55% della popolazione cinese, ci sono tre varianti della legge. Nelle province costiere, il 40% delle coppie è autorizzato ad avere un secondo figlio, se il primo è una femmina. Nelle province centrali e meridionali a ogni coppia è permesso di avere un secondo figlio se il primo è femmina o se i genitori sono stati colpiti da “avversità”, un criterio la cui valutazione è lasciata ai funzionari locali. Nelle province più a ovest e nella Mongolia interna, le province non adottano alcuna politica del figlio unico. Alle minoranze è permesso un secondo, a volte anche un terzo figlio, qualunque sia il sesso del primogenito.



Queste ultime province sono le sole che si avvicinano a una media dei sessi naturale. Sono scarsamente popolate, e abitate da comunità etniche che non gradiscono l’aborto, né disprezzano il valore di una figlia femmina. Le province con la più alta percentuale di maschi si trovano nel secondo gruppo, quello in cui maggiori sono le eccezioni alla politica del figlio unico. Come mostra lo studio del BMJ, tali eccezioni sono determinanti per via delle preferenze accordate alle seconde o terze nascite.



Ad esempio, si consideri il Guangdong, la provincia cinese più popolosa. La sua proporzione tra i sessi è 120, quindi molto alta. Siamo fuori dalla norma, ma non di tantissimo. Se però si prendono in considerazione i secondogeniti, che sono autorizzati nelle campagne, la proporzione sale a 146 maschi per 100 femmine. E per quelle relativamente poche coppie autorizzate ad avere un terzo figlio, la proporzione diventa di 167 a 100. Ma persino uno squilibrio tanto marcato non è il caso limite. Nella provincia di Anhui, nelle terze nascite si ha un rapporto di 227 maschi per 100 femmine, mentre nella municipalità di Pechino (dove sono permesse eccezioni nelle campagne) tale proporzione raggiunge un difficilmente credibile livello di 275 a 100. In altre parole, quasi tre maschietti per ogni femminuccia.



Monica Das Gupta ha trovato qualcosa di molto simile in India. Le figlie primogenite sono trattate come i loro fratelli; ma per le altre bambine è più facile morire in tenera età. La regola sembra essere che i genitori accolgano con gioia una figlia, se è il primo nato. Ma poi faranno di tutto perché i figli seguenti siano maschi.



Il pericolo dei “rami nudi”



Da sempre, i giovani uomini sono responsabili della grandissima parte di crimini e violenze – in special modo ciò accade in quei paesi dove lo status sociale dipende dall’essere sposati con prole, come avviene in Cina e in India. Una popolazione in costante crescita di giovani “single” annuncia seri problemi.



Il tasso di criminalità è quasi raddoppiato in Cina durante gli ultimi vent’anni in cui è aumentato lo squilibrio tra i sessi, e si sono moltiplicati i casi di sequestro e traffico di donne, di stupri e di prostituzione. Uno studio ha evidenziato l’interdipendenza di tutti questi fattori†, e che la preponderanza anomala di maschi è responsabile di circa un settimo dell’aumento del crimine. Anche in India c’è una correlazione tra i tassi di criminalità su base provinciale e lo squilibrio tra i sessi. In “Bare Branches”†† (Rami nudi, detto cinese per “scapoli”; confronta sopra - ndt), Valerie Hudson e Andrea den Boer ammoniscono che i problemi generati da una sproporzione tra i sessi potrebbero portare a politiche autoritarie. I governi, sostengono, “dovranno limitare il pericolo che questi giovani uomini rappresentano per la società. Un inasprimento delle leggi in senso autoritario per stroncare crimine, bande, contrabbando e via dicendo potrebbe essere uno dei risultati”.



La violenza non sarebbe l’unica conseguenza. Si riferisce che in alcune parti dell’India sia crollato il costo delle doti. Dove la gente paga un prezzo per la moglie (ovvero, la famiglia del marito corrisponde una certa somma in denaro a quella della sposa), quel prezzo è aumentato. Negli anni ’90, la Cina ha assistito all’apparizione di decine di migliaia di “truppe guerrigliere da nascita-extra”: trattasi di coppie originarie di zone in cui vige la legge del figlio unico, che si trasferiscono di continuo da una città all’altra per mascherare la loro prole di due o tre figli all’occhio delle autorità. E, a quanto afferma l’Oms, il rateo di suicidi femminili, in Cina, è tra i più alti nel mondo (come anche in Corea del Sud). Il suicidio è la prima causa di mortalità  tra le donne cinesi di età compresa tra i 15 e i 34 anni residenti nelle campagne, dove tante giovani madri si sono tolte la vita bevendo fertilizzanti agricoli, facili da trovare. La giornalista Xinran Xue crede che siano tutte vittime dello stesso rimorso, nato il giorno in cui rifiutarono con l’aborto, o addirittura uccisero, le loro figlie.



Alcune delle conseguenze di questo squilibrio tra i sessi sono del tutto inaspettate. Probabilmente ha incrementato il tasso di risparmio dei cinesi. Ciò è dovuto al fatto che i genitori con un solo figlio mettono da parte soldi per aumentarne le possibilità di conquistare una donna attraente nel’ultra-competitivo mercato matrimoniale cinese. Shang-Jin Wei della Columbia University e Xiaobo Zhang dell’International Food Policy Research Institute di Washington, DC, hanno raffrontato l’attitudine al risparmio delle famiglie con un figlio unico maschio con l’attitudine al risparmio delle famiglie con figlie femmine. “Non solo abbiamo trovato che le prime risparmiano di più delle seconde, in ogni regione della Cina – riferisce Wei – ma abbiamo anche rilevato che i risparmi tendono a essere maggiori in quelle regioni dove è maggiore lo squilibrio tra i sessi”. Secondo i due ricercatori, all’incirca la metà dell’aumento del risparmio cinese avutosi negli ultimi 25 anni è attribuibile all’aumento dello squilibrio tra i sessi. Se ciò fosse vero, si potrebbe pensare che le politiche economiche volte a rilanciare i consumi saranno meno efficaci di quanto il governo si augura.



Col passare delle generazioni, molti dei problemi associati alla selezione del sesso non potranno che peggiorare. Le conseguenze sociali diventeranno evidenti quando i maschi nati in gran numero nello scorso decennio raggiungeranno la maturità. Nel frattempo, la pratica della selezione del sesso potrebbe ulteriormente diffondersi con l’abbassamento del tasso di fertilità e l’arrivo anche nei paesi meno sviluppati delle tecnologie ultrasoniche di diagnosi prenatale.



Ma la storia della distruzione delle bambine non termina, per fortuna, nella più nera disperazione. C’è almeno un paese, la Corea del Sud, che ha ribaltato la sua tradizionale preferenza per il figlio maschio e inciso sulla sproporzione tra i sessi. Ci sono buoni motivi per sperare che anche Cina e India riescano a fare altrettanto.



La Corea del Sud è stata la prima a registrare anomalie eccezionali nell’equilibrio tra i sessi, ed è stata la prima a muoversi per eliminarli. Tra il 1985 e il 2003, la quota di donne sudcoreane che dichiaravano agli inviati del sistema sanitario nazionale di “dovere avere un figlio maschio” è scesa di quasi i due terzi, dal 48 al 17%. Dopo un intervallo di dieci anni, a partire dalla metà degli anni Novanta lo squilibrio ha iniziato a ridursi, e adesso il rapporto è di 110 maschi per 100 femmine. Monica Das Gupta ritiene che, sebbene la modifica di norme sociali richieda tempi lunghi e la soluzione sia ostacolata dall’introduzione delle ecografie, un cambiamento può comunque arrivare. La modernizzazione non si limita a rendere più facile per i genitori controllare il sesso del nascituro, ha anche l’effetto di mutare i valori di una società, inclusi quelli che portano a preferire un figlio maschio a una figlia femmina. Arriva un punto in cui una tendenza prevale su quella opposta.



E’ possibile che Cina e India stiano raggiungendo quel punto. Il censimento 2000 e lo studio della ACSC mostrano entrambi che il rapporto tra i sessi, in Cina, è stabile: 120/100. Alla fine, sembra che la sua crescita si sia fermata. A livello locale, secondo la Das Gupta†††, le province in cui il rapporto tra i sessi era più squilibrato (e dove risiedono oltre i due terzi della popolazione cinese) hanno visto una decelerazione nella sproporzione a partire dal 2000, mentre in altre province – che ospitano complessivamente un altro quarto della popolazione – la sproporzione è crollata. Un secondo studio mostra che anche in India la preferenza per il figlio maschio è in calo, e che la sproporzione tra i sessi, come in Cina, sta crescendo più lentamente. Nei villaggi della regione di Haryana, in presenza di uomini le anziane stanno sedute, velate e silenti. Ma le loro figlie non si coprono e parlano liberamente perché, spiegano, hanno visto donne scoperte al lavoro o in tv, e dunque una cosa del genere per loro è del tutto normale.



Monica Das Gupta sottolinea che, sebbene i due giganti siano sensibilmente più poveri della Corea del Sud, i loro governi, attraverso leggi e campagne contro la discriminazione, stanno sostenendo sforzi senza precedenti per convincere la loro gente a trattare le bambine come i bambini. Le inattese conseguenze della selezione del sesso sono vaste; potrebbero essere anche peggiori. Ma, alla fine – riconosce la Das Gupta – “sembra stia per arrivare una svolta nel fenomeno asiatico delle ‘ragazze scomparse’”.



•    “China’s excess males, sex selective abortion and one child policy” (L’eccesso di maschi in Cina, aborto selettivo maschio/femmina e politiche del figlio unico) di Wei Xing Zhu, Li Lu e Therese Hesketh. BMJ 2009



** “Why is son preference so persistent in East and South Asia?” (Perché la preferenza per un figlio maschio è tanto persistente nell’Asia orientale e meridionale?) di Monica Das Gupta, Jiang Zhenghua, Li Bohua, Xie Zhenming, Woojin Chung e Bae Hwa-Ok. World Bank, Policy Research Working Paper 2942.



† “Sex ratios and crime: evidence from China’s one-child policy” (Proporzione tra i sessi e criminalità: testimonianze dalle politiche cinesi sul figlio unico) di Lena Edlund, Hongbin Li, Junjian Yi e Junsen Zhang. Institute for the Study of Labour, Bonn. Discussion Paper 3214



†† “Bare Branches” di Valerie Hudson e Andrea den Boer. MIT Press, 2004



††† “Is there an incipient turnaround in Asia’s ‘missing girls’ phenomenon?” (Sta arrivando una svolta nel fenomeno asiatico delle “ragazze scomparse”?) di Monica Das Gupta, Woojin Chung e Li Shuzhuo. World Bank, Policy Research Working Paper 4846.
(copyright Economist. Traduzione di Enrico De Simone)



  Fonte: http://www.loccidentale.it/articolo/gendercide,+unaa+nuova+guerra+mondiale+ma+contro+le+bimbine.0087772 






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