Francesco sta fondando una nuova religione opposta al Magistero cattolico
da il Foglio.it di Mattia Rossi
La chiesa cattolica, da circa sei mesi, ha un nuovo dogma: la continuità. Già, perché chiunque provi a dimostrare la discontinuità innescata da Papa Francesco viene immediatamente additato all’untore e messo al neo Indice da quelli che
Gnocchi & Palmaro hanno efficacemente definito, sul Foglio di mercoledì scorso, “normalisti”, ovvero quelli secondo cui nulla è cambiato a prescindere. Va da sé che la continuità, in quanto superdogma, non viene mai effettivamente dimostrata, ma, perfettamente in linea con l’odierna prassi ateoretica squisitamente conciliarista giunta al Soglio, lanciata solamente attraverso slogan.
Gnocchi & Palmaro hanno efficacemente definito, sul Foglio di mercoledì scorso, “normalisti”, ovvero quelli secondo cui nulla è cambiato a prescindere. Va da sé che la continuità, in quanto superdogma, non viene mai effettivamente dimostrata, ma, perfettamente in linea con l’odierna prassi ateoretica squisitamente conciliarista giunta al Soglio, lanciata solamente attraverso slogan.
La realtà, invece, è chiara: con Papa Francesco è in corso la fondazione di una nuova religione, di una neo chiesa in netta rottura, non solo con i predecessori, ma con il Magistero cattolico perenne. Il Papa venuto “dalla fine del mondo” sta operando – ed è un’evidenza, per chiunque la voglia vedere – una veloce dissoluzione della dottrina cattolica che, attraverso un erosivo “magistero liquido”, va a intaccare il sensus fidei così come trasmesso dalla Tradizione, che è la seconda via della Rivelazione. Non occorre aggiungere molto altro alla magistrale requisitoria del duo Gnocchi-Palmaro (sul Foglio citato poco sopra), ma valga come esempio su tutte le varie dissoluzioni bergogliane la doppia concezione di Redenzione e Incarnazione secondo Papa Francesco.
Nella celebre intervista concessa a Eugenio Scalfari, Bergoglio arriva a sostenere che “il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza”. Quindi, per il Papa, che fa dell’antropocentrismo spinto e della “teologia dell’incontro” la cifra distintiva del suo pontificato, sparisce la finalità redentiva della kenosis del Figlio. Cristo si è incarnato per redimere l’uomo dalla schiavitù del peccato originale (anche questo sparito dal “magistero” bergogliano in luogo di un inaccettabile e pernicioso cainismo) e, attraverso la croce, farlo rinascere alla vita nuova della Risurrezione. Questo dice il cattolicesimo. Qui e solo qui è possibile la vera fratellanza in Cristo che non è quella umanitarista da ong e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile, di Papa Francesco.
Ad Assisi, poi, nel discorso ai bambini disabili, Papa Francesco è tornato sul tema incalzante dei “poveri-carne-di-Cristo” con parole che, se non lo sono in pieno, rasentano fortemente l’eresia: “Sull’altare adoriamo la Carne di Gesù; in loro troviamo le piaghe di Gesù. Gesù nascosto nell’Eucaristia e Gesù nascosto in queste piaghe. […] Gesù è presente nell’Eucaristia, qui è la Carne di Gesù; Gesù è presente fra voi, è la Carne di Gesù: sono le piaghe di Gesù in queste persone”. Come è possibile bere in tutta tranquillità parole di una gravità inaudita come queste? Come è possibile accettare che venga messa sullo stesso piano (e per di più se lo fa un Papa) la presenza reale nell’Eucaristia e quella nei poveri/disabili? L’inganno, perpetrato senza alcun supporto teologico, è molto sottile ed è intollerabile dal cattolico: la “carne” dei poveri è quella di Cristo solamente per analogia, non realmente come nocivamente buttato lì da Bergoglio; in essi è, sì, riconoscibile Cristo da servire, ma è cosa ben diversa dalla “carne” vera e viva di Cristo rintracciabile solamente nelle specie dell’Altare. Qui si rischia di far passare l’idea che curare i poveri, oltre che considerarli figli come il Figlio, equivalga all’attingere alla stessa “mensa” (la terza, dopo quella già ampiamente ambigua “della Parola”?). Non è da confondere (e, certo, l’antropocentrismo di “Gaudium et spes” al numero 22 non aiuta) la “carne” di Cristo, il Verbo fattosi uomo in Gesù attraverso l’Incarnazione, con quella genericamente umana dei poveri.
Parrebbe giunto il momento di dire davvero basta a questo continuo stillicidio e disgregazione del cattolicesimo, ma chi può farlo se non l’Autorità che, al momento, sembra remare a tutta forza in direzione opposta?
di Mattia Rossi
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