di Maurizio Blondet 1 maggio 2014
Da giorni i media italiani ci dicono che «i ribelli di Slavyansk tengono prigionieri membri della delegazione OSCE», e se fosse vero sarebbe gravissimo, perché l’OSCE è un’organizzazione sovrannazionale in qualche modo neutrale.
Gli ostaggi non sono dell’OSCE
Gli ostaggi non sono dell’OSCE
Peccato che l’OSCE stessa neghi che quelli sono uomini suoi…
«“Gli uomini arrestati a Slavyansk dalle milizie della autodifesa non agivano nell’ambito dell’OSCE e non sono osservatori dell’organizzazione dell’ONU”, lo ha dichiarato e confermato ad un canale televisivo austriaco, la ORF, Claus Neukirch, alto rappresentante dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. “L’Organizzazione non ha mai avuto contatti con le persone ora prigioniere. Per essere precisi essi non sono consulenti per gli affari militari all’OSCE, cioè non sono osservatori militari andati lì con il mandato dell’OSCE. Ora i colloqui con Slavyansk per la loro liberazione non avvengono con l’OSCE ma con il Ministero della Difesa e il Ministero degli Affari Esteri della Germania, sono presenti tre loro militari e un interprete, e con il Governo dell’Ucraina che ha invitato questi esperti militari che poi si sono fatti catturare” ha detto Neukirch». (OSCE: i prigionieri a Slavyansk non sono membri della missione OSCE)
Dunque, questi personaggi sono delle spie militari tedesche, invitate dal Governo (illegale e non eletto) di Kiev, e presentatesi ai posti di blocco di Slavyansk cercando falsamente di farsi passare per «osservatori OSCE» — il che è gravissimo, e calunnioso pere la stessa OSCE. I «terroristi filorussi» hanno fatto benissimo ad arrestarli, perché non curiosassero in giro e non facessero qualche provocazione (1).
Un po’ strano che i media italiani (per non dire degli altri) non abbiano fatto che hanno fatto i giornalisti della minuscola catena austriaca ORF – alzare il telefono e chiedere chiarimenti all’OSCE – e invece continuino a passare la notizia falsa. Forse il Corriere della Sera, La Stampa e Repubblica si sentono già in guerra, e dunque obbligati dal dovere patriottico-occidentalista a trasmettere la propaganda della disinformazione di Washington.
Peccato: se decidessero di dire la verità, i media euro-servi potrebbero confezionare succosi articoli sul numero elevatissimo di false flags, false notizie e manipolazioni sfornati a getto continuo dalla propaganda di Washington, e della rapidità crescente con cui vengono smentiti, sbugiardati e ritirati.
Il New York Times colto a mentire
Il 24 aprile New York Times (nome da far precedere sempre da un «autorevolissimo») ha pubblicato delle foto, ricevute dal Dipartimento di Stato, che a suo dire dimostravano il coinvolgimento diretto delle forze speciali di Mosca fra i manifestanti armati che hanno preso possesso degli edifici pubblici nell’Ucraina russofona. Le foto che il NYT ha pubblicato, opportunamente, a bassa risoluzione (ossia molto sgranate) mostrano un gruppo in mimetica, fra cui spicca un uomo dalla barba grigia (più da vecchio credente che da spetznaz): lo stesso uomo apparso fra i protestatari di Slavyansk sarebbe già stato fotografato anni prima, con tutto il suo gruppo, durante l’intervento russo contro la Georgia. Venivano indicate con circoletti le insegne sulle maniche dei commandos (opportunamente sgranate) per mostrare che erano le stesse, indicavano l’identico battaglione. Anzi, l’autorevolissimo giornalista dell’autorevolissimo giornale era in grado di identificare il cinquantenne dalla barba grigia: si tratta – assicurava – di Igor Ivanovich Strelkov, un operativo dell’intelligence militare russa. Sulla cinquantina avanzata, si dice abbia un grosso dossier per le sue operazioni coperte al servizio del Direttorato Principale d’Intelligence dello Stato Maggiore russo, ultimamente in Crimea lo scorso febbraio e adesso nella città ucraina di Slovyansk».
Molti giornali parimenti autorevolissimi (fra cui Le Monde) hanno sùbito ricopiato le rivelazioni del New York Times, foto sgranate comprese. Purtroppo per gli autorevolissimi, un blogger sul web (precisamente sul sito Reddit) ha mostrato le due foto originali – circolanti in rete, e con alta definizione – le quali mostravano che i due uomini barbuti, quello di sei anni prima in Georgia e quello di Slavyansk, non erano la stessa persona (il primo ha la barba rossiccia); e per di più il fotografo dei ribelli di Slavyansk, tale Maxim Dondyuk, un freelance, ha protestato con il New York Times: avevo postato le mie foto su Instagram, le vendevo per 5 dollari l’una, ma l’autorevolissimo giornale americano me le ha prese senza chiedermene il permesso». Pubblicandole sgranate, per di più, mentre lui le aveva fatte bene.
A questo punto anche la BBC fa le sue verifiche e smentisce il New York Times. Il quale due giorni dopo pubblica (affondata a pagina 9) una limitata marcia indietro, in questi termini: «Una raccolta di foto che, a dire dell’Ucraina, dimostrano la presenza di forze armate russe nell’est del Paese, e che gli Stati Uniti citano come prova del coinvolgimento russo, sono messe sotto esame (under scrutiny)». Un miracolo di reticenza ed eufemismo.
«Antisemiti!». Anzi no.
Il 18 aprile, il presidente Obama esprime pubblicamente «disgusto» per un evento antisemita avvenuto nella città di Donetsk, sotto il controllo dei pro-russi: dei manifestini incollati al muro di una sinagoga invitavano gli ebrei a «registrarsi» presso il comune, pagando 50 dollari, sotto pena di espulsione. L’ingiunzione era firmata da Denish Pushilin, dirigente della giunta ribelle di Donetsk. Immediatamente, il segretario di Stato (il luminoso, autorevolissimo John Kerry) era saltato su diramando via agenzie la sua indignazione: «Nel 2014, dopo tutto il cammino percorso dalla storia, questo non è solo intollerabile; è grottesco. È al di là dell’accettabile!».
«Antisemitismo rivoltante!» ha strillato Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale, aggiungendo che ciò dimostrava che i ribelli filo-russi «non hanno posto nel ventunesimo secolo». Obama ha «espresso francamente il suo disgusto». (Ne avevamo parlato qui)
Peccato che nessuno avesse informato il presidente Obama che quel manifestino, ormai da 24 ore, era stato denunciato come un falso e una provocazione dalla stessa comunità ebraica di Donetsk.
La firma di Pushilin era stata falsificata, come ha denunciato furente lo stesso Pushilin. Anche il settimanale americano The New Republic aveva già smascherato il «rivoltante evento» come un falso.
«Alla CIA è l’ora del dilettante», ha commentato Justin Raimondo. Ma la pioggia di disinformazioni e falsi da quattro soldi sembra originare piuttosto dal Dipartimento di Stato, magari dagli uffici di Victoria Nuland (in arte Nudelman): la grossolanità e il crudo pressapochismo di queste provocazioni non traggano in inganno; i neocon sanno per esperienza che, quando si ha la complicità dei grandi media autorevolissimi, la più stupida e mal-concepita menzogna, ancorché immediatamente smascherata e smentita, resterà comunque nella testa del «grande pubblico» disinformato. Basta ricordare i «messaggi di Bin Laden» che scopriva sul web una certa Rita Katz e solo lei, in siti estremisti islamici che sfuggivano ai servizi segreti del mondo intero, e che i media riprendevano come fossero oro colato… La parte avvertita e consapevole dell’opinione pubblica che ha preso coscienza di queste falsificazioni, resta una minoranza senza peso politico.
Così, per esempio, pochi sanno che, mentre l’Europa ufficiale si scaglia contro l’imperialismo neosovietico di Putin, studia sanzioni sempre più feroci e sostiene il Governo di Kiev come fosse legittimo, oltre trecento (300) intellettuali ed industriali tedeschi hanno inviato a Putin una lettera di appoggio, piena di rispetto a gratitudine. Dopo aver ricordato che la Russia ha liberato l’Europa dal nazismo «con perdite incomparabili di vite umane», i trecento tedeschi danno atto che nel 1990 la Russia «è stata pronta a sostenere la riunificazione tedesca, a sciogliere il patto di Varsavia e ad accettare l’adesione della Germania riunificata a alla NATO»; l’Occidente ha ricompensato tanta generosità con l’espansione aggressiva della NATO alle porte della Russia, tradendo gli accordi sanciti e sottoscritti.
È largamente provato, continua la lettera, che «gli Stati Uniti hanno approfittato delle giustificate proteste della popolazione ucraina per perseguire i propri obbiettivi»; di fronte a questa aggressione espansiva, scrivono i trecento e più tedeschi, la ripresa della Crimea da parte di Mosca è «una misura difensiva con un chiaro messaggio: non un passo più in là!».
Nella lettera si ricorda che Putin ha chiamato più volte ad una «casa comune europea da Lisbona a Vladivostok, nella quale l’Ucraina può rappresentare il ponte ideale per una futura cooperazione fra la UE e l’Unione Eurasiatica; e sappiamo, dicono i tedeschi, che «lo scopo di questa ingerenza degli Stati Uniti è di rendere impossibile questo ruolo di ponte»
Ovviamente i grandi media non hanno parlato di questa lettera aperta. Preferiscono abbeverarsi all’Ufficio Informazioni della Nuland.
1) A rendere più succoso il fatto, devo notare mentre scrivo una specie di mezza retromarcia dell’OCSE, evidentemente su sollecitazione esterna: è vero, i delegati arrestati dalle forze di autodifesa di Slaviansk non sono osservatori OSCE, però «sono stati inviati da stati membri dell’OCSE conformemente alla Convenzione di Vienna del 2011 sulla trasparenza militare». Frattanto i presunti ostaggi hanno tenuto una conferenza stampa per dichiarare di non sentirsi ostaggi dei ribelli. Il colonnello tedesco Axel Schneider, capo della delegazione trattenuta a Slaviansk (composta di quattro tedeschi, un ceco, un danese, uno svedese e un polacco) ha dichiarato: «Non siamo ostaggi, siamo degli invitati del sindaco (…) Siamo qui da diversi giorni, e abbiamo molto discusso con i nostri sorveglianti, ed abbiamo compreso la situazione della città secondo i suoi abitanti. Nessuno ci ha fatto del male, dal momento del nostro arrivo il sindaco ci ha messi sotto la sua protezione personale e ci tratta come degli ospiti. Noi agiamo esclusivamente nel quadro del Trattato di Vienna. (…) Agire secondo il trattato significa agire senza armi; siamo diplomatici in uniforme militare. Questo gruppo internazionale non agisce a nome della NATO ma a nome dell’OCSE». Il sindaco di Slaviansk, Viaceslav Ponomariev, ha addetto che «nonostante le sollecitazioni di Mosca», non intende per ora rilasciare i membri della delegazione mezzo-OSCE, in vista di usarli per uno scambio di prigionieri, «centinaia» di filo-russi militanti, arrestati dal governo golpista di Kiev.
Nessun commento:
Posta un commento