di Maurizio Blondet 9 dicembre 2013
Saccomanni vola a Wall Street a convincere gli speculatori ad approfittare delle ultime «privatizzazioni» che il governo Letta si appresta a fare, ossia la svendita definitiva dei beni che gli italiani hanno pagato e ripagato dal dopoguerra. E cosa fa Letta? Riceve Netanyahu assicurandogli l’eterna servilità italiota, gli offre spazi nazionali per le sue esercitazioni anti-Iran, partecipa a grandi manovre con Sion, in pratica ci allea a nostra insaputa con lo stato criminale e genocida.
Nessuna meraviglia, in fondo: per questo ci è stato dato questo governo, per svendere, servire, ed applicare la volontà persecutrice dell’eurocrazia al soldo della Germania. A prezzo della vita di tutti noi italiani. Cade dalle nubi (come Checco Zalone) l’economista ufficiale (ancorché keynesiano) Gustavo Piga, che scrive nel suo blog:
Come può pensare il Presidente Letta che le imprese possano tornare ad investire di fronte ad un documento, il DEF, firmato di suo pugno, dove, nel giro di 4 anni, 2014-2017,si promette (sarebbe meglio dire si minaccia) di far scendere il deficit in rapporto al PIL dal 2,5% allo 0% di PIL, ovvero di 40 miliardi? Lo sanno tutti come, se mai veritiero, verrà raggiunto questo risultato: bene che vada per 2/3 con aumenti di tasse e 1/3 con tagli lineari di spesa, facendo collassare la domanda interna. Chi mai investe in questo contesto? Chi?
Ma no, professore: Letta non pensa affatto ad invogliare le imprese, non pensa affatto alla ripresa dell’Italia (se mai, ad Israele); quella che applica è la ricetta Merkel, anzi aggravata per mostrare lo zelo di servire: più austerity, più tasse di quelle che chiede Berlino. Tutto ciò che il governo Letta è chiamato a fare, è farci restare nell’euro. Sapendo benissimo che ci sta distruggendo. Sono lì per quello, Saccomanni e Letta. Tanto, loro, mica perderanno il lavoro.
Saccomanni non ha perso la poltrona a Bankitalia. Letta anzi è chiamato a più alti destini eurocratici. Votare per cacciarli? Niente paura, ci hanno pensato i ladri pubblici (detti giudici) della Corte Costituzionale: non hanno abolito il Porcellum, l’hanno cesellato, in modo da ridurlo a un proporzionale puro. Esattamente quello che vuole da sempre un Casini, per dire. L’ingovernabilità assicurata in eterno, dunque per sempre «governi» per delega di Berlino e Bruxelles. Come quelli che abbiamo dal 2011, per vergognoso abbandono dell’euforico demente Berlusconi, a cui hanno fatto balenare la speranza che, se svendeva il suo elettorato e la volontà della maggioranza, lui avrebbe avuto un salvacondotto. E ci ha svenduti.
Questo per dire le pulcinellate italiane. Sul cui sfondo avvengono le cose serie, tragiche addirittura.
In tutta Europa, la massa monetaria generale (M3) sta calando tragicamente. La Banca Centrale Europea, BCE, con Mario Draghi, doveva fornire massa monetaria pari al 4,5% in ottobre; ha fornito solo il 3,9, ossia è andato dell’1,4 per cento sotto il bersaglio.
Lo spettro della deflazione diventa imminente. Da aprile ad oggi, i prezzi (una volta depurati dalle tasse) sono caduti non solo in Italia ma in Grecia, Olanda, Portogallo, Slovenia e Slovacchia – e financo in Paesi non euro, ma legati all’economia europea: Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Lituania e Lettonia. In Spagna i prezzi calano da maggio, in Francia da giugno e anche in Germania, da settembre.
Draghi che ha fatto? Ha ridotto i tassi della BCE allo 0,25%, con grande sforzo (i consiglieri-banchieri tedeschi erano contro). Un tale abbassamento dei tassi è perfettamente inutile, in questo clima pre-deflazione. In Italia, l’effetto nullo è aggravato dallo stallo Monti-Letta (Merkel) imposto alla nostra economia. Come spiega Piga: in Germania, il calo del costo del denaro decretato dalla BCE viene trasferito dalle banche alle imprese. «Ma non da noi: le nostre banche non prestano ma investono in titoli di Stato (bilanci della banche italiane da settembre 2012 a settembre 2013: +20,4%, 66 miliardi, in portafoglio titoli di stato, -43 miliardi di prestiti alle imprese, -4,5%) e non si contendono un mercato anemico di progetti di investimento (chi ha voglia, col pessimismo che circola, di domandare credito?) e comunque rischioso (la recessione fa crescere i crediti incagliati)».
Detto altrimenti: il costo del denaro, abbassato dalla BCE, resta altissimo per le imprese italiote, quando non impossibile ottenere credito. Una bella spinta ulteriore alla deflazione. La moneta è scarsa, e quella scarsa finisce immobilizzata in titoli di stato. Alle imprese sono andati 45 miliardi in meno in un anno. Demenziale.
Ma ciò non preoccupa Letta e Saccomanni né i giornaloni servili. Se ne allarma Evan Pritchard del Telegraph che commenta sarcastico: «Non è vero che la BCE è una copia della Bundesbank. La Bundesbank non avrebbe mai lasciato la massa monetaria M3 cadere di tanto per tanto tempo in Germania, durante l’era del marco tedesco».
È questo il punto, o almeno uno dei punti della tragedia europoide. Berlino domina la BCE, ma non la sente «sua». E la usa per «punire» i Paesi del Club Med, o costringerli a far le riforme alla tedesca. Come la mette Evans-Pritchard: «Lo stimolo monetario tanto necessario (per scongiurare la deflazione, ndr) viene impedito, perché ciò darebbe respiro ai «lavativi». E la definizione di chi siano i lavativi viene determinata da un piccolo ufficio del ministero delle finanze tedesco». Da tempo dovrebbe essere chiaro che questa teoria dell’austerity come rimedio e costrizione alle «riforme» non ha nulla di scientifico: è la copertura con cui il creditore impone il suo interesse immediato. O, nota il giornalista, «la credenza calvinista profondamente radicata che la sofferenza purifica», o addirittura «la tormentosa paura che qualcuno da qualche parte possa essere felice», come non sanno essere i tedeschi e sanno esserlo con poco i mediterranei? Come si vede, si esula dalla scienza economica per entrare nella psicanalisi.
Evans-Pritchard attribuisce a Draghi la chiara volontà di fare quel che occorre (stampare) per evitare la deflazione, solo che ne sarebbe impedito dai consiglieri tedeschi nel consiglio della BCE. Troppo generoso: è stato Draghi ad innescare il rovinoso processo austerità-recessione-depressione-deflazione quando ha intimato, con lettera segreta al Berlusconi, le dettagliate riforme dettate dai tedeschi, tipo flessibilizzazione del lavoro e simili – ordini per cui la Banca non ha alcun mandato, ma che l’Italia di Berlusconi (e poi Monti e Letta) ha accettato. Ed è ancora Draghi a ripetere lo stantio mantra: «Fate le riforme», come vuole Merkel.
Lo scopo non era rimettere in ordine l’Italia, ma di sbattere fuori il Cavaliere. Adesso l’inflazione troppo bassa (chiamiamola deflazione) rende sempre più difficile ai Paesi mediterranei di recuperare competitività tramite svalutazione interna (delle paghe, dei consumi, del tenore di vita): Letta e il suo governo sostenuto da tutti i comunisti e da metà berlusconiani, continua ad applicare quelle ricette. «Gli aggiustamenti incontrano forti ventri contrari dato che la domanda soffre e il peso del debito reale aumenta», ha detto Draghi ai tedeschi.
Che bella scoperta, complimenti Venerato Maestro. Ce n’eravamo accorti: Letta, col suo zelo «europeista», ha promesso a Berlino e Bruxelles di ridurre il deficit non solo sotto il 3%, ma addirittura allo 0%; dunque di continuare ed aggravare la politica con cui lui, Sakkomannis e Alphanos sono riusciti a far aumentare il già immane debito pubblico dal 120 al 133 e oltre %. Incorrendo per giunta nei rimproveri di un kazzone, ex calciatore di un paesetto di nessun peso, tale Olli Renh, solo perché questa nullità si fa ventriloquo di Berlino.
Ovviamente, l’aumento del debito (a parte le malversazioni e gli sprechi che Letta non ha mai tentato di contenere) è la meccanica conseguenza della recessione divenuta depressione grazie all’austerità: siccome il Pil diminuisce, il rapporto del debito sul Pil aumenta.
«È gran tempo di riconoscere il pericolo di deflazione che incombe sull’Europa», dice Jean Pisani-Ferry, commissario generale alle strategie economiche del governo francese: «La BCE deve smettere di piegarsi ai falchi dell’austerity e obbedire al suo mandato». Giova sperare nei francesi, perché nei governanti italiani, è inutile: ce li hanno messi sopra per leccare e servire.
Intanto il debito cresce (perché il Pil cala) dappertutto. Il debito pubblico al 133% non dice tutto: la somma di debito pubblico e privato in Italia ammonta al 276 del Pil, ed è quasi leggere rispetto a Spagna (330%), Portogallo (389%) e Grecia (300); ma data la rigogliosa crescita che vi hanno impresso Monti e Letta (entrambi con il sì di Berlusconi, per non parlare del PD) certo supereremo presto i primi.
Berlino ci dice: fate come noi, esportate di più (e Kommissari annuiscono). Ma la quota di export sul Pil italiano è il 34%, sullo spagnolo il 30: non abbastanza per trascinare la ripresa e diminuire il debito in rapporto. Inoltre, scrive Evans Pritchard, il continuo rafforzamento dell’euro rende sempre più impossibile esportare: la nostra cara moneta unica s’è apprezzata del 6% in un anno, e siccome metà dell’export italiano va’ nelle aree a monete indebolite (dollaro e yen), le nostre esportatrici sono penalizzate; un tale rafforzamento ha ingoiato i guadagni di produttività dovuti a feroci tagli sul costo del lavoro, e ha ridotto a zero i margini delle aziende, già scheletrici. Peggio: lo sforzo disumano (e anti-umano) di chiudere il deficit in stato di depressone, provocando masse di disoccupati di lunga durata, erode le competenze lavorative e dunque, degrada la possibilità di crescita a lungo termine: è la sudamericanizzazione, o napolitanizzazione di Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.
Ma naturalmente nulla si muove, finché la Germania non decide qualcosa. E la Germania – forse la popolazione in generale più ancora che i dirigenti – continua ad essere dell’idea che i lavativi vadano puniti, e non sente su di sé già gli effetti della deflazione. Come abbiamo visto, la riduzione dei tassi BCE allo 0,25 in Germania si trasferisce alle imprese dando ad esse denaro sempre più facile, la popolazione può rallegrarsi che ad ottobre l’inflazione dei prezzi alla produzione (PPI) è calata dello -1,4%. Sì, i prezzi si fermano quando ci si avvicina alla inflazione zero, ma poi le cose cadono rapidissimamente, e quando la deflazione è conclamata, non c’è più niente che la banca centrale possa fare. Specie la BCE, privata com’è di strumenti elementari. E – dice Julian Callow, analista strategico alla Barclays – la caduta può essere precipitata a sorpresa da un fatto esterno: la FED che rallenta la stampa, la Cina dove scoppia una bolla… Già adesso la Cina «esporta inflazione»: a ottobre, i prezzi alla fabbrica sono calati dell’1,5%. Siccome nello stesso periodo i salari cinesi – udite udite – sono cresciuti del 13,6%, è chiaro che essi sono pagati dalle imprese limando i propri profitti fino all’impossibile. Il contraccolpo può prodursi in qualunque momento, contro l’Europa immobile.
Giustamente Evans-Pritchard paventa che la UE ripeta l’errore del Giappone anni ’90: anche lì l’inflazione zero o quasi-zero sembrò innocua, fino a quando avvennero eventi esterni disastrosi: la bancarotta della Russia e la crisi dell’Est Asia del 1998, poi (come non bastasse) la bolla delle dot.com esplosa nel 2001. Allora il Giappone è entrato nel «decennio perduto» . La Banca Centrale giapponese non fece nulla. Anzi il governatore di allora, Masaru Hayami, si disse contento della deflazione, perché questa avrebbe obbligato la classe politica a «fare le riforme», a rendere più efficiente il sistema. Il suo successore, Toshihiko Fukui, dichiarò che l’aumento della disoccupazione «era cosa buona» perché avrebbe ridotto i salari e flessibilizzato il lavoro… Immagino che ciò vi ricordi qualcosa.
Anche in Giappone, la paralisi della Banca Centrale fece calare la massa monetaria M3. La mancanza di mezzi monetari indotta dalla Banca centrale è la causa del decennio perduto: è perché il Pil giapponese non ha potuto crescere per via del denaro raro e costoso che il debito pubblico giapponese è salito, nel decennio, al 245 % del Pil.
Sì, decisamente ricorda qualcosa. Solo nel 2012, la decisione politica – sovrana – di Shinzo Abe di stampare a manetta yen (infischiandosene del debito) sta facendo uscire Tokio dal buco, certo con molti effetti collaterali e in modi «sporchi», ma tuttavia pare riuscire. Se dico «pare», è appunto perché dalla deflazione, nessuno sa veramente come uscire, guerra a parte. Come si deve dalla tabella qui, Draghi è in ritardo rispetto ad Abe: è come Fukkui.
La cosa da fare sarebbe, ovviamente, dare liquidità a iosa, sollevando il Sud d’Europa e dandogli un po’ di respiro per la ripresa possibile. Ma la Germania vuole punire. Gli stimoli di cui si parla vengono intesi non come strumenti tecnici, ma come bastoni politici per premiare i «buoni» (Francia e Spagna hanno avuto un respiro sul demenziale 3% annuo di deficit) e castigare i «cattivi»: tipo l’Italia. Infatti abbiamo governanti pessimi, servilissimi ai diktat eurocratici, incapaci financo di concepire un interesse nazionale. Che è – ripetiamolo – uscire dall’euro e contestualmente, ristrutturare (ossia parzialmente rinnegare) il debito.
Vi fa paura? Eh sì, ci sono in giro i terroristi pagati per spaventarvi, enumerando i disastri che sarebbe l’uscita dall’euro: il vostro potere d’acquisto, i vostri patrimoni, caleranno del 30%, forse più!.. eccetera. Va bene. Ovvio, non sarebbe una passeggiata. Il rimedio ad una immensa criminosa idiozia come adottare una moneta straniera, non può essere facile. Il comandante Schettino ha portato la motonave Italia ad incocciare la fiancata di una super-petroliera; l’ordine «Indietro tutta», ovviamente, farà imbarcare acqua. Bisogna capire se restare incastrati nella superpetroliera, che ci sta inondando il ponte di greggio infiammabile, e seguire «la sua rotta» e non la nostra perché «ormai siamo dentro», sia un’opzione praticabile.
Per saperlo, guardate il Portogallo. La Troika lo sta curando, e lo considera un allievo modelli. I rappresentanti della Troika sono a Lisbona in vista di rilasciare una nuova tranche di «assistenza finanziaria». Sono bravi, i portoghesi: forse i pubblici dipendenti accetteranno un altro taglio del dieci per cento sui loro stipendi. I delegati del Fondo Monetario nella Troika hanno avuto un’altra brillante proposta: nel Paese dove la disoccupazione giovanile è superiore al 36% (in Italia poco meno), essi propongo un taglio del salario minimo a 485 euro mensili… così i portoghesi diventano più competitivi. Va detto che contro questa misura hanno protestato non solo i sindacati (ovvio), ma persino il padronato: a riprova che per quanto mediocre sia una classe dirigente nazionale, è sempre un tantino meglio del FMI, dei Commissari europei, insomma degli «altri».
E, giusto per ricordare: sapete che in questo marasma portoghese, in cui quasi il 20% della popolazione è caduta in stato ufficiale di povertà, i 25 più grandi patrimoni del Paese sono cresciuti del 16%? È il bello dell’Europa solidale e civile, ragazzi.
Letta, portaci lì. O verso la Grecia. Anch’essa ormai da anni sotto le cure risananti della Troika, come va? Dopo anni di tagli salariali, aumento stritolatore dei tributi e disoccupazione salita alle stelle, tutto per salvare le banche e risanare le finanze, la Troika si accorge – chi l’avrebbe mai detto? – che le banche greche hanno in pancia crediti andati a male, o dubbi, per il 30% dei loro prestiti totali. Per lo più, si tratta di mutui immobiliari: i greci hanno dovuto sospendere i pagamenti dei ratei, per mantenere un minimo consumo corrente – alias, non morire di fame. Il governo greco aveva persino concesso una moratoria. Adesso, la Troika pretende l’abolizione di tale moratoria: i greci paghino le rate dei mutui, altrimenti gli si pignora la casa. Almeno 110 mila appartamenti verranno pignorati, se passa il diktat. Che cosa se ne faranno le banche, di tanto invendibile patrimonio immobiliare? Dovranno pagare le tasse (tipo Imu), spendere per manutenzione… ma a questo, i geni della Troika non ci sono ancora arrivati. Lo capiranno la prossima volta, quando torneranno ad Atene per continuare le loro «cure».
Ma intanto, tifosi della Lazio sono – come si sa – in galera in Polonia dove hanno compiuto i noti e soliti atti di teppismo; la famiglie dei teppisti sono insorte, sono andate a Varsavia a manifestare, pretendono da Letta e dalla ministra degli esteri Bonino che ottenga il rilascio immediato dei loro cari, criminali, probabilmente (ci giurerei) stipendiati pubblici, magari assenteisti dell’ATAC…
È questo il concetto di «politica estera» che ha questa parte della popolazione. Che vota, eccome se vota.
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