tratto da RC (di Maurizio Blondet)
E così, Berlino ha un governo di coalizione – con comodo, loro non hanno fretta – e la Merkel s’è associata all’SPD, che s’è accaparrato sei ministeri. C’era una speranziella di una svolta «progressista», ossia più europeista e «solidale», hanno suggerito i governativi a Roma, come i socialisti francesi di Hollande. Vedrete che Berlino adesso dirà qualcosa di sinistra… Le felicitazioni sono durate poco; poi, il silenzio.
Come mai? È apparsa la verità indicibile: i socialdemocratici si sono completamente accodati al Nein della Merkel verso gli europoidi danneggiati dall’euro. Se avrà un carattere identificabile, il nuovo governo di coalizione avrà questo: la convergenza dei due partiti nel rifiuto della Cancelliera di contribuire ulteriormente all’Unione Europea: no definitivo a non si sa quali piani di salvataggio, no alla messa in comune di debiti europei «per gli investimenti» (preconizzati insieme da Hollande e Letta nel loro incontro: peracottari) no e poi no alle euro-obbligazioni, no a ristrutturazioni dei debiti dei Paesi «aiutati», no alla unione bancaria.
Nein, nein, nein.
E lo dicono in «democristiano» e in «socialista»: che cosa non capite della parola «Nein»? La SPD era per una maggiore solidarietà europea? Macché: nel trattato di coalizione hanno ripetuto il rifiuto dell’Unione dei Trasferimenti, in cui tanto sperava il patetico Sakkomannis. Sicché il terzo governo Merkel con la venatura social-«solidale» sarà ancor peggio di quello di prima: in Europa, porterà la proposta di patti e contratti ancora più stringenti e forzosi per i Paesi in difficoltà, obbligandoli a rispettare obbiettivi ancora più duri di quelli previsti dal Trattato di Maastricht. L’austerità come unica cura dei lavativi ed i terroni d’Europa resta l’unica terapia che Berlino accetterà, anzi più dura ancora. Per esempio, greci e portoghesi dovranno ancora per anni esibire degli avanzi primari, ossia spendere sempre meno e raggranellare sempre più euro per ripagare i creditori, che sono in gran parte i creditori tedeschi. L’estate prossima dovranno chiedere un altro «aiuto»? È certo e inevitabile, essendo ormai noto che l’austerità senza crescita aggrava il debito invece di diminuirlo. Tale aiuto, se mai verrà, precisano i socialdemocratici nell’accordo con la Merkel, sarà assoggettato a «strettissime condizionalità». (Deutschlands Zukunft gestalten)
E lo dicono in «democristiano» e in «socialista»: che cosa non capite della parola «Nein»? La SPD era per una maggiore solidarietà europea? Macché: nel trattato di coalizione hanno ripetuto il rifiuto dell’Unione dei Trasferimenti, in cui tanto sperava il patetico Sakkomannis. Sicché il terzo governo Merkel con la venatura social-«solidale» sarà ancor peggio di quello di prima: in Europa, porterà la proposta di patti e contratti ancora più stringenti e forzosi per i Paesi in difficoltà, obbligandoli a rispettare obbiettivi ancora più duri di quelli previsti dal Trattato di Maastricht. L’austerità come unica cura dei lavativi ed i terroni d’Europa resta l’unica terapia che Berlino accetterà, anzi più dura ancora. Per esempio, greci e portoghesi dovranno ancora per anni esibire degli avanzi primari, ossia spendere sempre meno e raggranellare sempre più euro per ripagare i creditori, che sono in gran parte i creditori tedeschi. L’estate prossima dovranno chiedere un altro «aiuto»? È certo e inevitabile, essendo ormai noto che l’austerità senza crescita aggrava il debito invece di diminuirlo. Tale aiuto, se mai verrà, precisano i socialdemocratici nell’accordo con la Merkel, sarà assoggettato a «strettissime condizionalità». (Deutschlands Zukunft gestalten)
Alfaniani, bersaniani, europeisti, letiani o renziani e perecottari, non so se ve ne siete accorti: la SPD ha voluto rendere addirittura più stringenti queste condizionalità. Berlino ormai, come caposaldo della sua politica europea, vuol vedere «la partecipazione al proprio salvataggio» dei Paesi in crisi. Il che significa, detto chiaro: il Bundestag non voterà mai più in favore di un aiuto del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), se non c’è un preventivo finanziamento dello Stato «aiutato» dal MES. In pratica, dovranno pagare i correntisti e depositanti di quello Stato: il «modello Cipro», in cui per salvare le banche i depositanti di quelle banche sono stati tosati, oppure il modello Irlanda, Paese che per le banche, nel 2010, ha svuotato il suo fondo pensionistico. Cipro vive da allora nel collasso e nell’asfissia di liquidità, imprese sane hanno dovuto chiudere per mancanza di credito, è scoppiata la bolla immobiliare, la disoccupazione è salita alle stelle e nonostante questo – o appunto per questo, per la tosatura dei depositi – le banche cipriote sono ancor più malate di prima, un quarto dei loro prestiti sono «non performanti», ossia di fatto perduti. L’Irlanda avrà il problema di finanziare le pensioni, e naturalmente, il peso cadrà interamente e inevitabilmente sui salariati irlandesi. Ma non si deve disturbare i l contribuente tedesco, il solo vincitore di questa Europa.
Unione bancaria: liquidata. La SPD s’è allineata alla Merkel anche sulla questione della unione bancaria. Anzitutto, Berlino è riuscita a sottrarre alla supervisione bancaria unica (da parte della BCE) le sue banche con bilanci inferiori a 30 miliardi, il che esclude le casse di risparmio e le casse mutue tedesche, dove si nasconde il marcio più oscuro, le commistioni fra politica locale ed imprese e probabilmente più di un caso Montepaschi. Saranno i tedeschi stessi a certificare la sanità di quelle banche, e guai a chi dubita della loro correttezza.
L’unione bancaria ipotizzata aveva un solo scopo: «spezzare il legame tra rischio sovrano e rischio bancario», perché non fossero gli Stati ad accollarsi integralmente i crack delle loro banche, permettendo al Meccanismo di Stabilità di intervenire direttamente a sostenere le banche. Ma i tedeschi devono contribuire al MES, e dunque: Nein, Nein, Nein. O più precisamente: siano prima gli Stati coinvolti dalle loro banche ad intervenire (la chiamano «soluzione privata») e solo poi il MES interverrà («soluzione pubblica»). Insomma, si torna ad accollare agli Stati (e ai correntisti, ai risparmiatori cittadini nella soluzione cipriota) il rischio bancario.
E allora perché fingere persino di parlare di unione monetaria? La Germania non vuole nemmeno accedere alla garanzia unica sui depositi fino a 100 mila euro in tutta Europa, perché – dice – ciò limita la «soluzione privata», ossia il prelievo forzoso, ai depositi oltre quella cifra. E soprattutto, puzza di solidarietà inter-europea fra depositanti, che Berlino esplicitamente rigetta – vedendovi il nucleo di una «unione dei trasferimenti», che aborrisce in modo assoluto. L’unione bancaria sognata dagli euro-peracottari è stata silurata e giace sul fondo, gli Stati devono continuare a reggere il peso dei crack (spesso provocati da banche tedesche, che hanno prestato troppo a greci e spagnoli , portoghesi e italiani, perché strapiene di euro e sicure che in qualche modo il loro rischio sarebbe stato coperto dalla UE).
E ricordatevi che la Germania, unica, dispone di un veto per il MES, può decidere sovranamente se applicarlo oppure no. Infatti la nota sentenza della Corte costituzionale di Karsruhe ha stabilito che la legislazione europea è legittima e cogente, soltanto se ratificata dal Bundestag. Di fatto, così, la Germania è l’unico Paese sovrano rimasto fra servi sciocchi che della sovranità si sono spogliati, e ne hanno spogliato noi cittadini.
E dunque, con i socialisti a fianco della Merkel, è peggio di prima. Il Sovrano dice No: no aiuti, più austerità, pagatevi voi i vostri disastri bancari comuni, nessuna garanzia sui depositi, prelievo forzoso dei vostri depositi e guai se toccate i nostri, non osate gettare uno sguardo nella pancia delle nostre banche…
Quel che dice Berlino è chiaro e inequivocabile: non esiste comunità di destino fra noi e voi. Quindi, nessuna solidarietà, nessun trasferimento intra-euro, nessuna Unione. È finita.
E i peracottari? O non lo capiscono, o fanno finta di non capirlo. Nell’incontro fra Hollande e Letta, i due citrulli hanno emesso un comunicato congiunto in cui hanno raccomandato «la creazione di una vera capacità finanziaria per la zona euro per finanziare investimenti che hanno grande incidenza sulla crescita e sull’occupazione, e come obiettivo di medio termine uno strumento di bilancio comune che permetta di assorbire i contraccolpi economici della zona euro». Patetico.
«Strumento di bilancio comune»?! Merkel e la SPD, uniti, vi hanno appena detto di no. No, niente trasferimenti da Nord a Sud, nessuna comunità di destino.
Patetico Letta con a fianco il frenetico Barroso (che è venuto a dirgli gli ordini di Berlino: austerità, e vi sognate la solidarietà)… ma soprattutto che «L’Europa ha il dovere di appoggiare gli ucraini perché stanno dando un grande esempio», e Barroso si gioca il posto all’Onu se a Kiev non staccano l’Ucraina dalla Russia. Letta si è scagliato contro «gli anti-europeisti miopi che lasciano solo macerie» – intendendo, che so, attaccare Beppe Grillo e Salvini – quando gli anti-europeisti veri, duri e puri sono ormai nel governo a Berlino. Hanno pure evocato, i due pistoloni, anche «il sogno d’Europa». «L’Europa che vogliamo, il sogno che vogliamo è di un’Europa che non sia tecnocratica o burocratica, ma che sia democratica».Barroso ha avuto la faccia di piatire che abbiamo bisogno di «Europa soprattutto per promuovere i nostri valori». Forse alludeva alle nozze gay, forse alle Femen e le Pussy che ballano in chiesa, forse ai bombardamenti della Libia. Siamo pieni di valori che solo come Europa possiamo espandere nel mondo.
Ma Berlino ha detto no. Capito? Basta sognare. Svegliatevi. La SPD non è affatto più euro-solidale della Merkel. Anzi.
Su che cosa si sono accordati i due attori della Koalition? Sull’interno. Sulla politica sociale domestica, per il loro popolo, non per «l’Europa». I socialdemocratici sono riusciti a strappare il salario minimo obbligatorio, che la Germania non aveva. Oh, niente di principesco, cosa credete: 8,5 euro l’ora (i francesi hanno il salario minimo di 9,43). E mica subito: no, nel 2015 si comincia gradualmente, in alcuni settori a dare il salario minimo. Esso sarà esteso a tutte le categorie nel 2017.
Altra concessione strappata dal SPD: le pensioni. I lavoratori tedeschi che hanno versato contributi per 45 anni potranno andare in pensione a 63 anni, anziché ai 67 previsti oggi. Generoso, vero?
Tant’è vero che il padronato ha protestato: così perdiamo competitività…Va da sé che s’erano abituati, l’assenza di salario minimo obbligatorio permetteva loro di far lavorare degli immigrati bulgari anche a 3 euro l’ora. È il bello della Germania. Adesso, l’Economist, ventriloquo degli industriali, prevede per la Germania «una grossa stagnazione» visto l’aumento del salario a 8,5 l’ora. Ma no, non esageriamo. Gli aumenti «sociali» ottenuti dal SPD sono oculatissimi, studiati apposta per non intaccare la famosa competitività salariale tedesca. Va detto che il 43% di quelli che sono pagati sotto gli 8,50 l’ora (stagisti, apprendisti) continueranno ad essere esclusi dal salario minimo almeno fino al 2017. E i titolari di integrazione sociale del salario sono e saranno obbligati ad accettare qualunque lavoro, per qualunque paga inferiore.
Quanto alla grandiosa concessione di andare in pensione a 63 invece che a 67 a chi ha pagato 45 anni di contributi (ossia dieci più del normale), da chi credete sia pagata? Forse dallo Stato? Oh no, farebbe aumentare il debito pubblico. Dai datori di lavoro? Non sia mai, visto che sono chiamati già all’immane sacrificio della paga a 8,5 l’ora. Sarà pagata – tenetevi forte – dai lavoratori stessi: il prelievo previdenziale sul salario lordo non sarà abbassato come si prevedeva a 18,3, ma resterà a 18,9.
Insomma quel tanto che basta per poter dire agli europei: ci chiedevate di rilanciare la nostra domanda interna, ed è quello che facciamo con gli aumenti salariali e le pensioni anticipate; come osate chiederci di più, Esportate, meridionali! I nostri lavoratori sono più ricchi, e consumano di più; il rialzo dei salari fa aumentare le importazioni! Poco poco di più, si capisce. Forse la concorrenza (sleale) verso i salariati degli altri Paesi europei verrà un pochino corretta, ma pochino pochino. È tutto quello che la Germania può fare per voi, peracottari eurofili.
Il fatto è che se i socialisti non avessero gettato alle ortiche la solidarietà europea, l’elettorato tedesco gli avrebbe dato ancor meno voti di quelli che gli ha dato. È esplicita volontà popolare tedesca separare i suoi destini da quello degli europei del Sud. Non vogliono aver più a che fare con noi. I loro media soffiano sul fuoco, mostrando e ripetendo che le euro-obbligazioni, se fossero varate, costringerebbero la Germania a impegnarsi – potenzialmente – per 4 mila miliardi di euro, una volta e mezzo il Pil tedesco. Per chi?! Per i greci, gli spagnoli, gli italiani? Ma siamo matti?! I media fanno circolare statistiche (della BCE) che dicono: le famiglie tedesche hanno meno patrimonio delle famiglie italiane: 51 mila euro contro 175 mila.
Statistica falsa diffusa dalla BCE
Sono falsità, perché si tratta di valori «mediani» (non medi, ma del ceto medio) e per di più formati da valori immobiliari, e i valori degli immobili in Italia sono crollati, anzi sono praticamente invendibili, e il patrimonio immobiliare italiota è nella maggior parte dei casi vecchio e degradato. Però servono a esasperare l’elettorato tedesco. Servono, e sono un indice e un sintomo, del vuoto di senso del comune destino che nutre i tedeschi.
È inutile lamentarsi, quando manca quello. Certo, i tedeschi stanno perdendo (non è la prima volta) l’occasione storica di esercitare il comando, e sempre per lo stesso motivo: non si possono nutrire progetti politici universali con metodi e mentalità più che provinciali, da bottegai. Detto questo, è anche inutile deplorarli.
Succede infatti questo fatto inaudito: che il governo di coalizione tedesco si occupa (un pochino) dei suoi cittadini, ancor più della competitività generale della sua economia, e non del «sogno dell’Europa» degli Enrico Letta e degli altri peracottari italiani o francesi. I nostri governanti, invece, hanno a cuore l’Europa, a cui sacrificano ognuno di noi cittadini e tutta l’Italia. Gli hanno detto di fare così, di tenerci ad ogni costo nell’euro, e così continuano a fare. Anche se ormai, Berlino ha messo fine al «sogno».
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