di Antonio Socci 15 DICEMBRE 2013
Non dico che l’apparato mediatico mondiale sia un congegno di sistematica disinformazione. Non voglio dirlo. Però sono insopportabili la sua ipocrisia e il suo doppiopesismo. Per le notizie che tace, ma anche per quelle che dà con enfasi e per le mitologie che crea.
E’ la società dello spettacolo “politically correct” di cui Hollywood è il tempio.
MANDELA E LE RISATE DI OBAMA
L’ultimo mito che ha costruito e celebrato è quello di Nelson Mandela. Il quale ha indubbi meriti politici, ma lui per primo avrebbe rifiutato di paragonarsi a Gesù Cristo, accostamento che invece è stato fatto da qualcuno della Bbc.
L’establishment occidentale prima ha sostenuto il regime razzista dell’Apartheid. Quando poi non era più digeribile e si rischiava di tenere fuori dal mercato globale le immense ricchezze minerarie del Sudafrica (anzitutto l’oro) si è trovato un leader della lotta alla segregazione, Mandela appunto (in precedenza ritenuto un mezzo terrorista), che ha avuto la saggezza politica di accettare e guidare – nel nome della riconciliazione – un’uscita pacifica da quel regime, senza bagni di sangue, rese dei conti o processi.
Cosicché la maggioranza nera ha ottenuto il potere politico, mentre la minoranza bianca si è tenuta il potere economico.
Mandela non è stato un santo, ma si è dimostrato un vero leader e uno statista. Come tutti i politici ha avuto le sue ombre e ha fatto i suoi errori, però ha sopportato anni di carcere e gli va riconosciuta una gran dignità.
Lascia a desiderare invece quella dell’Occidente “politically correct” considerando le foto che hanno immortalato Obama (pure con Cameron), allo stadio di Johannesburg, durante la commemorazione del leader sudafricano: ha sghignazzato continuamente facendo il cascamorto con la bionda premier danese, tanto da suscitare l’irritazione della moglie Michelle.
E’ così che l’Occidente liberal “piange” la scomparsa di Mandela?
Del resto che i media abbiano costruito, sui suoi 27 anni di carcere, un martirologio ipocrita lo dimostra il fatto che poi, gli stessi media, sono stati e restano indifferenti a detenzioni più lunghe e orribili di quella di Mandela. Drammi tuttora in corso.
DA 50 ANNI IN CARCERE
Faccio qualche esempio. Monsignor Giacomo Su Zhimin, vescovo cattolico di Baoding (Hebei), ha trascorso 41 anni in lager e prigioni varie, “senza alcuna accusa e senza alcun processo” (come scrive l’agenzia dei missionari del Pime, Asianews).
Egli rappresenta quell’inerme popolo cristiano che, sotto il comunismo, subisce più dell’apartheid: ottantenne, ha passato metà della sua vita in prigione ed è tuttora incatenato, ma non si sa dove e il regime si rifiuta di dare qualsiasi informazione, anche alla famiglia. Tanto il mondo se ne infischia.
Infatti da noi nessuno ne ha mai sentito parlare. C’è qualche giornale che ne abbia raccontato la storia? C’è un solo statista – magari di quelli, anche italici, che sono pappa e ciccia col regime cinese – che ne ha chiesto la liberazione, o almeno qualche notizia?
C’è una mobilitazione internazionale per lui? Le cosiddette organizzazioni umanitarie hanno fatto iniziative sul suo caso? Qualcuno lo ha mai candidato al Nobel? Hanno promosso per lui concerti di solidarietà o iniziative come il “Mandela day”?
Gli hanno intitolato palazzetti dello sport come il “Mandela Forum” di Firenze? Star della musica, del cinema e della politica sono andati a incontrarlo? Si sono fatti film su di lui o almeno reportage televisivi?
Nulla di nulla. Nessuno da noi conosce neppure la sua faccia e il suo nome. Totalmente ignorato.
Eppure quest’uomo buono e grande, abbandonato da quei media che poi beatificano Mandela, non ha mai fatto politica, ma ha solo chiesto diritti umani e libertà religiosa.
E non ha predicato odio e violenza, ma solo l’amore di Cristo. Non cerca e non vuole alcun potere. Sa che non lo aspetta né la libertà, né il Nobel, né una poltrona da Capo di Stato, né gli applausi di Hollywood e gli onori del mondo. Ma solo la morte in qualche lurida e fredda prigione, nell’indifferenza generale. Eppure non rinnega la sua fedeltà a Cristo e al suo popolo. Lui sì che è un santo e un martire.
Ma nessuno in Occidente si sogna, per lui, di andare a disturbare i crudeli despoti cinesi da cui, anzi, tutti gli statisti e gli gnomi del potere economico si recano per baciare la pantofola.
Un caso analogo è quello di monsignor Cosma Shi Enxiang, vescovo cattolico di Yixian. A 90 anni di età ne ha passati 52 fra lager, prigioni e lavori forzati. La sua via crucis cominciò nel 1957. L’ultima volta è stato arrestato il 13 aprile del 2001 e da allora non se ne sa più nulla.
Si potrebbe continuare con altre vittime. Ma non c’è solo la Cina di fronte alla quale l’Occidente è pavido e servile come davanti al nuovo padrone del mondo.
ALTRI APARTHEID DIMENTICATI
Ricordo il caso di Asia Bibi, la donna cattolica pakistana, poverissima, madre di quattro figli, che da quattro anni e mezzo è detenuta in condizioni subumane ed è stata condannata a morte solo per essersi dichiarata cristiana e aver rifiutato la conversione all’Islam.
I cristiani del Pakistan vivono in condizioni peggiori dei neri del Sudafrica durante l’apartheid. Ma per loro e per Asia Bibi nessuno si batte e i media se ne infischiano.
Le situazioni di apartheid in cui vivono i cristiani o altri gruppi umani non fanno notizia e non suscitano scandalo. Lo ha dimostrato anche un caso di questi giorni.
E’ accaduto che in India – per iniziativa di un leader nazionalista indù – un tribunale ha reintrodotto la norma che punisce col carcere la pratica omosessuale.
Chi ha difeso gli omosessuali? La Chiesa cattolica. Il cardinale Gracias, arcivescovo di Mumbai, ha attaccato questa sentenza opponendosi a chi criminalizza i gay.
In Occidente la decisione del tribunale ha fatto clamore, ma è passata quasi inosservata l’opposizione della Chiesa e anzi qualcuno ha messo (arbitrariamente) indù, cristiani e musulmani nello stesso fronte, d’accordo col tribunale. Non è così.
Del resto la (giusta) sensibilità dei media occidentali in difesa dei gay indiani purtroppo non si nota in difesa dei dalit, i “senza casta”, i “paria” (che significa “oppressi”), quelli che nell’antica religione indù erano considerati meno degli animali.
Infatti nessuno scandalo internazionale è scoppiato per la manifestazione, tenutasi mercoledì a New Delhi, per i diritti dei dalit cristiani e musulmani, durante la quale la polizia ha picchiato vescovi, sacerdoti e religiosi e ha addirittura arrestato l’arcivescovo monsignor Anil JT Couto.
I dalit cristiani sono anch’essi in condizioni uguali o peggiori dei neri sudafricani sotto l’apartheid. Ma nessuno grida allo scandalo. Eppure la Costituzione indiana sulla carta avrebbe abolito le caste.
Ma i dalit, circa 200 milioni, sono rimasti in condizioni miserrime e vittime di tanti abusi. Per questo molti di loro si sono convertiti al cristianesimo e all’Islam, per avere dignità umana e liberarsi dall’orribile teologia induista delle caste.
Queste conversioni hanno scatenato le violente reazioni degli indù. Inoltre il Parlamento indiano ha riconosciuto diritti solo ai dalit che restavano nell’induismo. Niente ai dalit cristiani e musulmani.
“Una discriminazione che viola la Costituzione”, ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale indiana. Ma per questo regime di apartheid tuttora praticato dalla democrazia più grande del mondo, nessuno si scandalizza. Nessuno propone sanzioni.
Intanto i vescovi cattolici vengono arrestati per la loro lotta in difesa dei dalit proprio negli stessi giorni in cui il mondo, i potenti della terra e i media esaltano Mandela e la sua lotta all’apartheid sudafricano.
La Chiesa disprezzata e bistrattata dall’Occidente laico e dai suoi media, continua – oggi, come ieri e come sempre – a difendere tutti gli oppressi da ogni apartheid. E lo fa pagandone le conseguenze, cioè persecuzioni, sofferenze e tanti martiri.
C’è qualcuno, nei media, che se ne accorgerà?
Antonio Socci
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