da NoBigBanks 31 gennaio 2014
Più che decisioni potremmo definirle rinunce.
Il Governo ha finito per allinearsi all’ideologia della grande finanza e dei suoi rappresentanti nelle banche centrali e nella altre istituzioni sovranazionali, avendo scartato l’opzione Roosevelt, che prevedrebbe invece il ricorso a istituti pubblici attorno a cui aggregare le risorse disponibili come modo di aggirare i paletti inflessibili dei parametri di Maastricht.
Che cosa è stato deciso?
Il Governo ha fissato con un decreto legge i criteri di privatizzazione di Poste e Enav, che disciplineranno la cessione di quote non di controllo.
“La privatizzazione del 40% di Poste e del 49% di Enav rappresenta la prima tappa del percorso per realizzare una riduzione del debito pubblico dopo sei anni di crescita continua – ha spiegato il presidente Letta – con la cessione di quote delle due aziende, comunque non di controllo, la proprietà rimane pubblica”.
I dubbi legati all’apertura ai privati sono molteplici: la raccolta del risparmio postale, il servizio pubblico postale, e infine l’attività nei servizi bancari, assicurativi e di telefonia mobile.
Per garantire i dividendi agli azionisti di minoranza si peggioreranno le condizioni dei lavoratori? Gli uffici postali diffusi capillarmente verranno ridotti? E comunque, sino ad oggi i dividendi restavano nel perimetro pubblico e venivano reimpiegati dallo stato, dato che Poste è controllata al 100% dal ministero dell’Economia.
Ora, stando a quanto si legge, il ramo Bancoposta sarà distinto e non è oggetto di privatizzazione.
Ma Poste Italiane raccoglie il risparmio postale e lo gira alla Cassa Depositi e Prestiti – CdP (di cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze detiene l’80,1% del capitale, il 18,4% è posseduto da un nutrito gruppo di Fondazioni di origine bancaria, il restante 1,5% in azioni proprie www.cassaddpp.it/chi-siamo/identita-mission/identit-e-mission.html) – che lo impiega secondo la sua missione istituzionale a sostegno della crescita de Paese.
La CdP, con le sue ingenti risorse e la missione già votata allo sviluppo economico, potrebbe essere proprio uno di quegli strumenti da utilizzare per garantire l’investimento produttivo, oggi vietato dalle regole liberoscambiste del sistema monetario e finanziario sovranazionale (cioè che vietano al sistema creditizio di favorire le attività dell’economia reale). Usato nel modo giusto, e tanto di più se insieme ad una banca nazionale che imponesse regole anti-speculative, la CdP potrebbe aiutare ad iniziare l’uscita dalla camicia di forza applicata dalla Troika.
Rivalutazione delle quote di Banca d’Italia
Il clamore sollevato dalle proteste sul web ha reso edotti una gran parte di italiani circa la proprietà privata della Banca d’Italia, che seppur istituto di diritto pubblico, è controllata da soggetti che deve controllare. Leggete pure la composizione dei partecipanti al capitale sociale
Dal sito della Banca d’Italia si apprende che «con l’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2013 si è concluso l’iter di approvazione delle modifiche allo Statuto della Banca d’Italia, indotte dal decreto legge 133/2013.»
«Le principali innovazioni riguardano: l’aumento di capitale a 7,5 miliardi di euro mediante utilizzo delle riserve statutarie; la limitazione dei diritti economici dei partecipanti alla distribuzione di dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6% del capitale; i soggetti legittimati a detenere quote del capitale della Banca; l’introduzione di un limite individuale al possesso di quote del capitale e la sterilizzazione dei diritti di governance ed economici per la parte detenuta in eccesso rispetto a tale limite; la facoltà per la Banca d’Italia di acquistare quote in via temporanea, al fine di favorire il rispetto del limite partecipativo.»
La rivalutazione delle quote di BankItalia comporta varie cose:
1) Si tratta di un trasferimento di ricchezza pubblica a soggetti privati.
2) Si dà un po’ di cipria ai bilanci dei grandi gruppi bancari, rafforzando la loro posizione patrimoniale per passare gli stress test. La verità è che ancora una volta si interviene con risorse pubbliche a favore del settore bancario, senza in cambio ottenere garanzie per l’apertura dei rubinetti del credito.
3) Stabilito il tetto massimo del 3% alla partecipazione delle banche private in Bankitalia.
Sarà impegno della stessa Banca d’Italia ricomprare le quote in eccesso al 3% in mano agli attuali soggetti.
Pertanto, si spenderanno altri soldi pubblici per liquidare le quote.
4) Il Parlamento e quindi il Governo ha così scelto il mercato privato, invece del ruolo pubblico come sancito dalla norma del 2005 che prevedeva il ritorno della Banca d’Italia in mano pubblica.
5) Con la rivalutazione del capitale si sbarra la strada alla ri-nazionalizzazione della Banca Centrale, per fare una vera Banca Nazionale, essenziale per affrontare il problema del debito pubblico e aprire le linee di credito necessarie per famiglie e imprese.
Il dogma delle banche centrali indipendenti è parte essenziale della favola liberista, che considera l’intervento statale il male assoluto.
Per concludere, il Governo ha deciso di trasferire risorse finanziarie pubbliche ai mercati, tanto per Poste che per BankItalia.
Del resto, lo stesso Ministro Saccomanni ha annunciato la svolta di Poste italiane al World Economic Forum di Davos, mentre Letta potrà farsi vanto a Bruxelles di questi passi avanti, rassicurando la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea, che più volte hanno bacchettato l’Italia per la lentezza nell’intraprendeere il cantiere delle riforme strutturali.
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