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mercoledì 15 febbraio 2012

I FOLLI REI, ORA NELLE STRUTTURE OPG, IL 31 MARZO 2013 ALLE CURE DI CHI SARANNO AFFIDATI?

Gli ospedali chiudono, i folli restano

di Andrea Zambrano
14-02-2012




Per i più entusiasti è la rivoluzione copernicana della psichiatria, per i sognatori una svolta epocale nella battaglia per i diritti umani. L’annunciata chiusura dei sei opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) attivi in Italia ci sta proponendo un catalogo interessante di reazioni che spaziano dall’epica all’agiografica basagliana.

In pochi però si sono chiesti se sia saggia la decisione di chiudere entro il 31 marzo 2013 le carceri per i “folli rei” senza però costruirvi attorno strutture che rispondano contemporaneamente a requisiti di terapia, sicurezza sociale e cura della persona.
Il dispositivo affida genericamente ad enti locali e Asl la gestione di strutture più ridotte per i malati considerati non più pericolosi, ma non entra nel merito di come queste debbano essere strutturate per rispondere a quei requisiti.

Sullo sfondo le parole del presidente Giorgio Napolitano che più volte ha definito gli opg una vergogna nazionale. Vergogna di fronte alla quale, secondo un modo tipicamente italiano si risponde nel modo più pilatesco possibile: anziché migliorare le strutture, meglio chiuderle. Via il dente via il dolore, secondo un procedimento già visto anni fa con la santificazione di Franco Basaglia e la legge 180.

Ma sarà davvero così? Chi conosce da vicino il dramma della follia sa che il confine tra sicurezza e pericolo è molto sottile. L’impressione è che ci troviamo di fronte un film già visto: quando entrò in vigore la legge 180 i manicomi vennero chiusi e si brindò alla rivoluzione, secondo una strana concezione della psichiatria per la quale la malattia mentale è frutto della società capitalistica e per guarirla basta reimmettere nella società chi ne è rimasto vittima.

Si sognarono case famiglia, strutture all’avanguardia protette in modo che al malato psichiatrico potesse essere offerto un percorso di reinserimento graduale e attento ai suoi bisogni. Ma l’Italia è il paese delle riforme a metà. LEGGI TUTTO

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