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mercoledì 19 settembre 2012

E' DA TEMPO CHE QUESTA EUROPA CI RECA SOLO DANNO.....




(da Italiaoggi di Alessandra Nuccidel 18-09-2012) 

Perché chiude l’Alcoa? Principalmente per i costi dell’energia. L’energia elettrica per le aziende produttrici di alluminio primario forma il 35-40% del costo di produzione e in Italia l’energia elettrica viene a costare circa cinque volte quello che costa in Cina (120/MWh al confronto di 23/MWh). Il dato più sorprendente però è che il costo agli italiani – e non da ora – è molto più alto anche rispetto ad altri Paesi europei. In Germania, ad esempio, la MWh costa 85-90, quasi il 30 % in meno.

Per mettere la produzione di attività energivore in Italia, alle stesse condizioni di competitività dei paesi europei simili, il governo italiano era intervenuto a suo tempo accollandosi in parte i costi dell’energia. Nessun concorrente aveva avuto da ridire, ma nel 2009 ci ha pensato da sé la Commissione europea che ha giudicato l’integrazione ricevuta dall’Alcoa dalla Cassa conguagli italiana (per gli anni 2006 – 2009) come un aiuto sleale, e quindi condannando l’Alcoa a rimborsare la bellezza di 300 milioni di euro.

Ma la mazzata definitiva, informa il sito di Alcoa, consiste nei costi imposti dalla normativa UE a titolo di controllo del cambiamento climatico. Come spiegava in una lunga intervista con la European Energy Review del 7 giugno 2011, il portavoce per le politiche energetiche della Federazione Eurometalli, Robert Jan Jeekel: «Il Sistema di scambio delle emissioni [Emissions Trading System – ETS] per la «decarbonizzazione» delle industrie europee sta rendendo così costosa l’elettricità che non è più possibile continuarne la produzione». L’accusa di Jeekel all’Ue di causare la deindustrializzazione del continente riceve una conferma indiretta dai timori espressi recentemente dal Commissario UE all’energia Guenther Oettinger, il quale ha raccomandato che la spinta «verso un’economia a bassa C02 non perda di vista la necessità di mantenere la base industriale». Le mete europee 20-20-20 «dovrebbero includere – ha detto – anche un altro target: il 20 per cento di contributo industriale al Pil».

Ma, anche in questo campo, si registrano differenze macroscopiche che vedono l’Italia svantaggiata rispetto ad altri Paesi europei sui quali i costi per i diritti di emissione della CO2 gravano molto di meno, procapite, che sull’Italia.

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