Ieri, in tarda serata, sul canale "RAI storia" hanno trasmesso un documentario sui Presidenti della Repubblica Italiana. In particolare mi ha colpito la biografia di Sandro Pertini. Effettivamente è stato un grande uomo, uno che poteva vivere tranquillamente ed agiatamente, essendo avvocato, ed ha invece deciso di lottare per i suoi ideali, pagando con il carcere, con l'esilio, con la miseria. Ha fatto la resistenza, rischiando la vita sulle montagne, e si oppose, per dignità, alla richiesta di grazia che la madre presentò al duce allorquando versava in gravi condizioni di salute.
Possiamo condividere o meno gli ideali di una persona, ma non possiamo non riconoscere la grandezza di coloro che pagano prezzi spesso altissimi alla loro coerenza. Questa è una delle ragioni per le quali ammiro i guerriglieri afgani, dotati di quella dignità a noi oramai sconosciuta.
Pertini fu uno dei componenti dell'assemblea costituente, insieme a tantissimi altri che ebbero una storia simile alla sua, spesso motivati da ideali diversi. E sono state queste persone, di grandissimo spessore, che hanno traghettato l'Italia dalla dittatura alla democrazia e, cosa forse più apprezzabile, dalla miseria al benessere.
Ci chiediamo spesso come abbiamo fatto a ridurci nelle condizioni in cui siamo. Ma credo che basti guardare le facce dei Rutelli, dei Gasparri, degli Scillipoti, dei Casini, per capire tutto. Quando persone senza alcuna qualità, senza alcuna storia e senza alcuno spessore, prendono nelle mani il timone del Paese, il naufragio è inevitabile.
Mi torna spesso alla mente ciò che disse Andreotti in occasione del crollo del muro di Berlino: "le Germanie debbono restare separate".
Allora le sue parole parevano blasfeme, ma dobbiamo avere l'umiltà di riconoscere che aveva ragione. Di Andreotti si può dire ciò che si vuole, ma non che non fosse un vero uomo di stato, o che gli mancasse l'acume di comprendere i meccanismi veri della geopolitica. Senz'altro un gigante rispetto ai quaquaraquà che oggi siedono in parlamento, servi del potere finanziario e passivi esecutori di disposizioni di cui non capiscono assolutamente nulla.
Dove sono gli Einaudi, i De Gasperi, i Fanfani, i Saragat, i Moro, i Berlinguer? E' possibile fare un paragone tra loro e l'accozzaglia di ciarlatani che stanno infestando la vita politica del nostro Paese? Non credo; la loro distanza mi pare incommensurabile.
Se gli alberi si giudicano dai frutti, dobbiamo restare ammirati e quasi stupiti da ciò che fecero i governi nei primi 20 anni della Repubblica. Trasformare un paese in uno stato di estrema miseria, con fabbriche distrutte, con un tessuto industriale arretrato, senza infrastrutture, con masse di analfabeti e disoccupati, completamente digiuno di democrazia, in una delle potenze industriali del pianeta, con eccellenze industriali in tutti i campi, è qualcosa che ha davvero del miracoloso. Non che allora non esistessero la corruzione o il clientelismo. Queste cose esistono da quando è stata fatta l'unità d'Italia. Direi che fanno parte della natura degli italiani. Eppure, semmai fosse necessario, questi vizietti tipicamente italiani non hanno impedito il miracolo economico.
L'intervento pubblico, che allora era massiccio, consentì la nascita dei colossi industriali e l'occupazione di milioni di lavoratori. E sebbene sia vero che spesso le grandi aziende di stato pagassero un numero di stipendi superiore al necessario, è pur vero che quello si rivelò un mezzo per immettere liquidità nell'economia, con la conseguenza che a beneficiare di quegli stipendi furono anche i commercianti, gli artigiani, i piccoli imprenditori. Si ebbe, in sostanza, una crescita economica della quale tutti beneficiarono, comprese le casse dello stato. Potremmo dire che in quel periodo lo stato creò moneta dal nulla, che stimolò la produzione, e che fu riassorbita proprio dalla crescita economica. Mi pare che si chiami politica Keynesiana: e funzionò. Mi chiedo spesso cosa sarebbe successo se lo stato, prima di spendere, avesse aspettato di incassare, martellando fiscalmente un paese poverissimo. Non sono un economista, ma credo che la crescita che ci fu sarebbe stata solo un miraggio.
Resta il fatto incontestabile che, attraverso una certa politica, un paese poverissimo divenne ricco, mentre, con politiche diametralmente opposte, un paese ricco sta diventando povero. Coloro che sostengono queste politiche dai risultati disastrosi, si giustificano sostenendo che i problemi attuali derivino proprio dalle politiche precedenti, e che il contesto internazionale sia mutato, con la conseguenza che quelle politiche non sarebbero più attuabili. Io sostengo che si tratta di fandonie. Se ci fosse la volontà, sarebbe possibile attuare politiche diverse da quelle attuali, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Aspettarsi, purtroppo, che la feccia umana che occupa gli scranni parlamentari, abbia la capacità di imporsi rispetto a coloro che stanno muovendo i fili del teatrino mondiale, è pura follia. Non siamo di fronte a dei corrotti o a dei venduti, la qual cosa sarebbe poco grave. Il dramma è che siamo di fronte a degli incapaci, degli emeriti assoluti incapaci. Gente che vota leggi di cui non sa assolutamente nulla, e si presenta in televisione sostenendo tesi che non comprende.
Intanto un Paese dalle enormi capacità produttive, con un invidiabile tessuto industriale, con infrastrutture, conoscenze, prestigio, si sta spegnendo. Forse ha ragione Vico. La storia si muove tra alti e bassi, e questo è il momento della discesa. Come la catastrofe della guerra generò una classe politica all'altezza della situazione, così forse la catastrofe economica e sociale genererà una nuova classe dirigente capace di tenere a dovere le briglie del cavallo impazzito chiamato Italia.
Viva l'Italia.
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