da Tempi.it di Chiara Rizzo
Lorenzo Maiolica, imprenditore di Salerno, racconta la sua battaglia contro l’accanimento di una procura che non voleva arrendersi neanche davanti ai verdetti della Cassazione
«Fino al 2003 eravamo un gruppo nella distribuzione di prodotti alimentari, a Salerno, che fatturava 80 milioni di euro all’anno e dava lavoro a 300 dipendenti. Siamo falliti per colpa di un’inchiesta giudiziaria che si è conclusa con il nostro proscioglimento totale e per colpa della testardaggine di un pm, un gip e un gup che, compatti, si sono considerati superiori persino a due sentenze della Cassazione». Così a tempi.it Lorenzo Maiolica, imprenditore, racconta la sua vicenda. «Un caso di malagiustizia» dice.
Ci parli della sua società.
Il gruppo si chiama Centro distribuzione Maiolica, è un’azienda nata da un market di piccole dimensioni, ma cresciuta esponenzialmente nel tempo. Negli anni Novanta ci siamo associati al gruppo Crai (nel cui Cda io stesso ricoprivo cariche importanti) poi nel 2003 siamo arrivati a 30 punti vendita di proprietà, altri 50 affiliati, 300 dipendenti e un fatturato annuo di 80 milioni di euro.
Poi cosa è successo?
A Salerno c’erano terreni industriali dismessi che potevano essere riqualificati. Il 18 novembre 2003, per desiderio di mio padre Antonio, che voleva un’area dove concentrare tutta la logistica per aprire una serie di attività, abbiamo firmato un atto di acquisto di 110 mila metri quadrati di terreno. Acquisto regolare presso un’immobiliare. Le aree avrebbero dovuto essere usate per farne un parco tematico marino, ma il progetto era fallito. La nostra idea era creare un polo agroalimentare e industriale con un grosso impatto a livello occupazionale: 400 unità lavorative in più. Invece – ne sono convinto – siamo finiti nel gioco di alcuni pseudo-imprenditori che speculavano su quei terreni. Il dato oggettivo è che in quel 18 novembre, nelle stesse ore in cui io firmavo a Salerno un regolare atto d’acquisto davanti a un notaio, a Roma si riuniva una conferenza dei servizi che concedeva a una cordata di imprenditori del bresciano il nulla osta alla realizzazione di una centrale termoelettrica sugli stessi terreni.
E quando sono iniziati i problemi?
Quarantadue giorni dopo. Quando un pm di Salerno, Gabriella Nuzzi, allora in forte ascesa, ha firmato un decreto di sequestro preventivo, che è stato poi confermato da un gip, Gaetano Sgroia. Era stata ipotizzata l’astratta configurabilità del reato di lottizzazione abusiva: in parole povere avremmo lottizzato i terreni per fare una mega speculazione. E secondo pm e gip il reato l’avrebbero commesso tutti gli imprenditori che avevano partecipato all’acquisto dei lotti, compresi noi. Il 30 dicembre 2003 il gip Sgroia ha emesso un sequestro preventivo dei terreni. Poi, il 16 gennaio 2004, sono arrivati i carabinieri per eseguire la misura sequestrare i terreni. Ma non sapevano che li avessi acquistati io, e non lo sapevano nemmeno il pm e il gip, infatti questo “dettaglio” non compariva nemmeno sul decreto di sequestro. Eppure, quando l’ho fatto presente, i carabinieri mi hanno risposto con un curioso esempio: «È come se le rubassero un’auto, pulita e immacolata, e dopo vi trasportassero della droga. Noi l’auto dovremmo sequestrarla». Anche la pm Nuzzi non fece una piega.
Avrete fatto ricorso.
Il Tribunale del riesame ce lo ha respinto, quindi siamo andati in Cassazione, che a maggio 2004 ha ordinato il dissequestro perché, letteralmente, non c’era stato nessun reato di lottizzazione dato che noi avevamo comprato i terreni per intero.
Evidentemente, però, la cosa non è finita così.
Il 18 ottobre 2004 il pm Nuzzi ha chiesto un nuovo sequestro “d’urgenza” dei terreni, con le stesse motivazioni del precendete, firmato il 29 ottobre dal gip Sgroia. Noi abbiamo fatto di nuovo ricorso al Riesame, che questa volta ci ha concesso il dissequestro, ma la pm ha fatto ricorso in Cassazione. E per la seconda volta la Cassazione ha ribadito, pesantemente, che non c’erano reati da parte nostra, «non c’è il fumus commissi delicti». Nel frattempo, però, tutte le nostre attività industriali erano state bloccate, avevamo ordini e non riuscivamo a lavorare, avevo acquistato dei macchinari da 2 milioni di euro e ho dovuto dirottarli in altri siti.
E il 23 giugno 2005 lei, suo padre e suo fratello venite rinviati a giudizio.
Non ce l’aspettavamo. Noi eravamo una parte lesa semmai. Abbiamo consegnato una memoria in cui chiedevamo di liberare i terreni altrimenti saremmo falliti. Invece pm, gip, gup, un tutt’uno tra accusatori e giudicanti, non ci hanno dato retta. Né a noi né alla Cassazione.
È sempre nel 2005 che sono iniziati guai anche a livello economico?
Sì. I giornali locali riportavano le notizie secondo la versione dell’accusa. E un giorno, nel 2005, il direttore della banca che ci aveva concesso il prestito per l’acquisto dei terreni mi ha convocato: «Mi hai tenuto all’oscuro della notizia di un sequestro d’urgenza, l’ho dovuta apprendere dai giornali». Per forza, gli risposi, non lo sapevo ancora nemmeno io! Quella mattina, comunque, mi rifiutarono i carnet di assegni, e con quelli la possibilità di pagare i fornitori. I fornitori iniziarono a non mandarmi più la merce. Un effetto domino che è sfociato nel fallimento di quattro nostre società. Con mio padre e mio fratello abbiamo dovuto patteggiare una condanna per bancarotta semplice. Mio padre, 81 anni, si è visto condannare all’affidamento in prova ai servizi sociali, finirà nell’agosto 2014. Un’umiliazione che non meritava dopo una vita di lavoro e sacrifici.
Però il 20 maggio scorso siete stati assolti.
Sì, nel corso del processo per questi fatti (nel quale è imputato anche il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, ndr), prima ancora della conclusione del dibattimento, il tribunale ha deciso per l’assoluzione mia, di mio padre, del nostro socio, e del nostro tecnico. Anche il nuovo pm subentrato alla Nuzzi aveva chiesto il nostro pieno proscioglimento.
Nel frattempo infatti la pm Nuzzi è stata sottoposto a procedimento disciplinare del Csm e punita con il trasferimento.
Non per la nostra vicenda, però. Lei e altri tre magistrati sono finiti coinvolti nello scontro tra la procura di Salerno e quella di Cosenza sulle inchieste di Luigi De Magistris.
Lei chiederà allo Stato un risarcimento?
L’unico risarcimento danni che chiederei è che lo Stato chieda scusa ad Antonio Maiolica, mio padre, e gli dia una medaglia, lo nomini cavaliere del lavoro e riconosca il valore del suo lavoro. Non c’è altro prezzo per ripagarci. Noi abbiamo subìto un caso di malagiustizia.
Lei da imprenditore pensa di continuare con la sua attività, dopo tutto questo?
Sto continuando e Salerno, al di là di tutto, resta una città piacevole. Qui vivo con mia moglie Sonia e con i miei figli Marco, Stefano e Martina che mi hanno sostenuto in tutti questi anni. I magistrati ci hanno preso tutto, la mia vita, e quella di mio padre, ma non l’avranno mai vinta fino in fondo.
Follow us: @Tempi_it on Twitter | tempi.it on Facebook
Nessun commento:
Posta un commento