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mercoledì 5 giugno 2013

VI SIETE DATI UNA SPIEGAZIONE AI GESTI FOLLI A CUI QUOTIDIANAMENTE ASSISTIAMO? IO PENSO CHE DOVE NON C'E' CRISTO C'E' SATANA...



di Marco Della Luna 04.06.2013
L’11.05.13 l’immigrato clandestino ghanese Mada Kabobo, già partecipe di un’insurrezione di clandestini in un centro di identificazione ed espulsione, armato di un piccone, correndo lungo una via di Milano, colpisce 5 persone uccidendone 3. Qualche giorno dopo, un altro africano, nel casertano, armato di una spranga, si mise a colpire all’impazzata i passanti. Kabobo ha riferito di aver agito su istigazione di “voci cattive” e molti lo reputano un folle.

L’ipotesi della follia come spiegazione del suo gesto è ovvia, e va verificata.

Però vi è un’altra ipotesi da verificare: la possibilità che si tratti di un sacrificio umano, cioè di un atto magico, rituale – nel qual caso occorrerà ricercare i mandanti.

Azioni come quelle dei due suddetti africani corrispondono al fenomeno noto come corsa amok (dal javanese meng amoak, corsa omicida), descritto per la prima volta dal famoso Cap. Cook, ricorrente in diverse culture tribali, e considerato come un sindrome propria di alcune culture esotiche, soprattutto del Sud-Est asiatico. Il soggetto viene preso da una furia omicida e attacco tutti quelli che incontra, colpendoli con armi di ogni tipo, o col proprio autoveicolo. Alla fine si arresta come spossato e viene colto da amnesie e abbattimento. Talora l’azione è improvvisa, talaltra preparata anche per anni.

La sindrome della corsa amok, analoga al berserk anglosassone, è descritta dai manuali di psicopatologia come una sindrome dissociativa e di perdita del controllo degli impulsi, conseguente a sradicamenti esistenziali (perdita delle famiglia, del lavoro, del contesto sociale – direi, anche a seguito di emigrazione in un contesto del tutto diverso e alieno).

L’impresa di Kabobo potrebbe rientrare in questa sindrome, nel qual caso il Kakobo andrebbe prosciolto (siccome non imputabile per vizio di mente) e sottoposto a misura di sicurezza per qualche anno, poi liberato se la sua pericolosità risulterà cessata.

Nei paesi di immigrazione, la criminologia scientifica ha da molto tempo osservato che la perdita del contesto sociale, culturale, etico, religioso, espone gli immigrati a un elevato rischio di perdita del controllo dei propri impulsi e dei riferimenti morali, del senso del bene e del male. Soprattutto si è visto che a ciò sono esposte le seconde e le terze generazioni, perché le prime generazioni hanno ancora un codice etico acquisito nel paese di origine, mentre i loro figli e nipoti, anche se acquisiscono la cittadinanza mediante lo jus soli, spesso non acquisiscono quel codice etico, non essendo cresciuti in quel contesto, e non acquisiscono nemmeno quello della popolazione in cui vivono, entro cui sono nati, non sentendosi identitariamente parte di essa. Dunque da un lato le impostazioni razziste e discriminazioniste sono ottuse e inutile, e dall’altro ci attendiamo un crescendo di devianza da parte dei “nuovi italiani” nei prossimi decenni, di dimensioni non ragguardevoli.

L’altra possibilità, che è doveroso indagare da parte degli inquirenti, è che Mada Kabobo abbia eseguito un sacrificio umano. I sacrifici umani sono molto presenti nelle tradizioni anche attuali della sua area di provenienza, e in genere dell’Africa nera, sia come sacrifici individuali, che di massa (sacrificio in massa dei prigionieri, o dei carcerati). Molti rapporti riferiscono che essi sono ancora oggi diffusamente praticati. Essi sono talora richiesti per i riti di passaggio, come condizione per essere ammessi a società segrete, come quelle, notissime, dei Mau Mau. Inoltre, uccidere un uomo non è un atto ispirato da malvagità, serve per impadronirsi della sua forza, o per ottenere in cambio del suo sangue un aiuto dagli dei tribali per la prolificità, per il raccolto, per la vittoria. I sacrifici umani si compiono sia su membri della propria tribù, che su stranieri, che su schiavi e detenuti (Dahomey). Vedasi la bibliografia in calce all’articolo.

Bisognerebbe valutare che valore sacrificale specifico abbia, per la cultura di provenienza del Kabobo, l’uccisione di un bianco. Infatti, per non poche culture tribali africane i bianchi non sono propriamente umani, ma dèmoni (come spalla sua pelle ha scoperto più di una bianca che ha sposato un africano ed è andata a vivere nella sua terra). Questo fatto può rendere i bianchi (ma io non lo so) più o meno pregiati come vittime sacrificali, o addirittura può cambiare il senso dell’ucciderli: se sono dèmoni, allora li si uccide non a titolo di sacrificio, ma perché sono malvagi e malefici.

I sacrifici sono sovente richiesti da stregoni che sono, al contempo, capi di sette o di comunità. Come avvocato, ho avuto clienti che facevano i maghi di professione. Clienti italiani. Questi mi segnalavano un’intensa attività di loro colleghi africani, in Italia e in Africa, dediti alla magia nera, comprendente sacrifici animali e umani. Mi dicevano che questi stregoni erano molto obbediti e temuti dagli altri africani, che essi inducevano, con la minaccia di severissimi castighi, a commettere crimini come spaccio e furti, nonché alla prostituzione – ovviamente a scopo di lucro. A tal fine, minacciavano di colpire i loro familiari mediante i poteri della magia nera e mediante i loro sicari. Anche i miei clienti li temevano molto. Mi dicevano che tali stregoni avevano grande potere e influenza sugli immigrati presenti e futuri, ed erano anche loro a tirare le fila del flusso migratorio in questione, al fine di espandere la loro influenza e le loro fonti di reddito in Europa.

Gli inquirenti indaghino dunque possibili rapporti di Kabobo con organizzazioni criminali e settarie. La sua corsa amok potrebbe essere stata indotta e preordinata da suggestionatori professionali, quali sono maghi e stregoni.

Si sa che molti italiani, e non solo i c.d. negri, credono nella magia nera. Il voodoo nasce in Africa. La potenza del pensiero magico è non solo immensa, ma contagiosa e immortale… è la più grande delle magie. E fa presa sui popoli.

Poi guardiamo le scene del taglio della gola di un soldato britannico a Londra eseguito, al grido “Allà è grande!” da due cittadini britannici di stirpe nero-africana, nati e cresciuti nel Regno Unito, suoi cittadini, come quelli delle bombe nella metropolitana del 2004. Erano integrati? Sì, avremmo detto tutti, finché non han fatto ciò che sappiamo. Non erano integrati, bensì adattati superficialmente e instabilmente (come quell’ingegnere nordafricano che anni fa nel mettere una bomba alla Questura di Milano, se la fece scoppiare in mano, perdendo mani e occhi, o come il maggiore medico psichiatra della base dei marines in Texas che fece strage di commilitoni inneggiando sempre al Dio di Maometto): dobbiamo distinguere tra integrazione effettiva e adattamento funzionale al farsi accettare.

La matrice psichica di simili gesti ovviamente non è britannica né yankee, ma legata a un fondo ancestrale che permane per una o due generazioni. D’altra parte gesta di quel tipo non sono espressione della pratica islamica, anche se questa può prescriverla in ben determinate circostanze, ma di un fattore psicologico legato a certe aree geo-antropologiche, o allo spaesamento del trapiantato. Fattore che però ora si è messo a combinarsi con certi tratti dell’integralismo islamico, del jihadismo.

Come osserva un mio amico, il kabobismo che si unisce al jihadismo su larga scala tra le decine di milioni di immigrati da quelle aree, mette davvero i brividi a chi non è pronto ad essere sacrificato.

Come vedete, ci sono molte domande e cose da accertare, in ambito antropologico-culturale, e che hanno importanza pratica per la nostra sicurezza, per la prevenzione di atti criminali dovuti a fattori che non rientrano e non possono essere nemmeno immaginati, finché si resta entro la nostra cultura e non ci si apre allo studio delle altre culture, delle culture dei gruppi etnici che stiamo ricevendo tra di noi in dosi molto massicce e con cui interagiamo sempre più strettamente. Un’apertura che deve avvenire con rispetto non solo del metodo scientifico,quindi evitando le grossolane generalizzazioni di gusto biecamente razzista, ma anche nel rispetto dell’altro, dell’antropologicamente diverso, senza incolparlo per reazioni a vicende che lo colpiscono e lo vedono vittima di flussi migratori imposti da dinamiche oltre il suo controllo, la sua volontà, la sua comprensione.

Dobbiamo soprattutto liberarci dalla pigra e provinciale aspettativa di fondo, che tutte le persone, di qualsiasi cultura e provenienza, condividano o debbano (imparare per legge a) condividere la nostra logica, la nostra sensibilità, la stessa nostra percezione della realtà. Vi sono popoli con mentalità e schemi completamente diversi, portati a reazioni altrettanto diverse. Le variabili culturali sono ampie e ne abbiamo diverse sotto gli occhi: per l’induista è orribile che noi mangiamo la mucca, e per noi è orribile che i cinesi mangino cani e gatti. Per noi l’infibulazione è un crimine e una causa di infiammazioni e infezioni, ma per molte culture è indispensabile per potersi sposare etc.; le stesse bambine la vogliono. E lo stupro? In Uganda è lecito, se praticato su una lesbica al fine di guarirla dall’omosessualità. Si chiama “stupro terapeutico”. E non parliamo della poligamia… come possiamo rifiutarci di riconoscere legalmente il matrimonio con più mogli, ormai? O i matrimoni combinati – noi, che ci estinguiamo perché non facciamo più figli? Il diritto è in chi dà la vita, non in chi la trattiene.

Insomma, dobbiamo pensare multiculturalmente, e perlomeno capire a quali nuovi fattori dovremo adattarci, anche per decidere se restare o emigrare anche noi, visto che resistere è pressoché impossibile, oltreché politically incorrect.








04.06.13 Marco Della Luna


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