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venerdì 28 giugno 2013

UNA DOMANDA, DOV'E' CHE TROVERANNO OCCUPAZIONE I 200.000 GIOVANI CON "IL PIANO LAVORO" DEL GOVERNO LETTA? SE LE IMPRESE LE AMMAZZI, DOPO, DOVE LI OCCUPI I GIOVANI????


di Matteo Rigamonti 14/06/2013 

Il tempo è scaduto, bisogna tagliare le tasse. Altrimenti i piccoli imprenditori spariranno. A confermare lo stato gravissimo dell’emergenza dovuta alla crisi e all’eccessivamente elevato livello di pressione fiscale sulle imprese italiane, che ormai supera il 70 per cento del reddito percepito, è Ivan Malavasi, presidente di Cna, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa. Dice Malavasi a tempi.it: «Il tempo è scaduto». Ora il governo Letta «deve prenderne atto e ripartire», avendo il «coraggio di scegliere quali sono le priorità» per il Paese

Malavasi, può un imprenditore vivere e lavorare in un Paese dove la pressione fiscale supera abbondantemente il 70 per cento del reddito?

Per farlo ci vorrebbe un eroe o forse un incosciente. Del resto, cosa può farci l’imprenditore? Quella fotografata dalla ricerca della Cna “Città che vai, tasse che trovi” non è che la situazione reale in cui si trova a dover operare un’impresa italiana con cinque dipendenti assunti a tempo indeterminato, di cui quattro alla produzione e uno come impiegato, per un costo complessivo degli stipendi di 165 mila euro e ricavi per poco meno di 400 mila euro.

E ce la fa?

Sì, se dopo aver pagato l’Irpef, l’Irap, l’Imu e la Tares e dopo aver versato i contributi previdenziali, gli rimane ancora qualche soldo in tasca, magari da investire. Sempre che riesca a reggere il colpo dell’imminente innalzamento delle addizionali comunali, provinciali o regionali su Imu, Irpef e Tares, laddove le amministrazioni decidano di elevarle entro il margine di discrezionalità loro concesso.

Non sembra così facile.

Non è per nulla facile. Ormai ci troviamo di fronte a un vero e proprio dramma, quello di una pressione fiscale senza pari in Europa. Una situazione che, oltretutto, aggrava e accelera le emergenze della mancanza di credito e di una burocrazia oppressiva che rappresenta anch’essa un costo. Per di più in un Paese dove pagare il fornitore sembra essere diventato un “optional”.

Ma non crede che sia pericoloso rendere le attività di libera intrapresa economicamente poco convenienti?

Guardi, gli imprenditori possono avere un sacco di difetti, ma su una cosa non sgarrano mai: sanno fare bene i conti. E con una pressione fiscale così elevata non sempre i conti tornano. Quel che è peggio, poi, è che così si spinge la gente ad avere paura del futuro. E la paura del futuro costituisce un deterrente enorme per chi vuole fare impresa.

Chi vuole fare impresa, però, di solito è gente in gamba. Se la caveranno?

Ah, se c’è una cosa che agli imprenditori italiani non manca affatto è la conoscenza, il know how, per riscattarsi, così come non mancano loro capacità di innovazione e stile. Nemmeno possiamo dire di stare attraversando il peggiore momento di sempre, del resto. I nostri padri e nonni, per esempio, hanno superato crisi ben più dure di questa. Però c’è un messaggio che deve raggiungere chiaro e forte le istituzioni.

Quale?

Che non c’è più tempo. Il vero dramma oggi è che serve una risposta immediata, non ipotesi di soluzione della crisi. Per queste il tempo è scaduto. I problemi, così come pure la via da percorrere per uscire, sono chiari da anni.

Da quando?

Da quando, due anni fa, il governo Monti, con la manovra “Salva Italia”, ci ha chiesto di fare dei sacrifici: l’allora presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si sono appellati al nostro senso di responsabilità, noi abbiamo accettato i sacrifici e ne siamo orgogliosi. Adesso, però, basta. Abbiamo raggiunto l’obiettivo di uscire dalla procedura di infrazione sul debito aperta dalla Commissione europea nei nostri confronti – che è una cosa importante, ci mancherebbe! – e ora il nuovo governo deve prenderne atto e ripartire.

Ripartire da dove?

Il primo passo che deve compiere il governo è quello di scongiurare eventuali ulteriori innalzamenti delle addizionali da parte degli enti locali. Occorre poi ridurre fin da subito la pressione fiscale per mettere più soldi in tasca ai lavoratori e far ripartire almeno i consumi e il mercato interno, restituendo così competitività al Paese; una pressione fiscale troppo elevata, infatti, si abbatte sul costo del lavoro per unità prodotta, che in Italia è troppo alto. Dopo di che si dovrà mettere mano alle riforme.

Anche se mancano le risorse?

Non ci aspettiamo certo che il cuneo fiscale venga abbattuto di dieci punti percentuali subito, però di uno, due, tre, punti gradualmente, questo sì. Anche perché per ragionare ormai è tardi e il tempo delle analisi è finito. Non ci sono risorse? Bene, il governo deve avere il coraggio di scegliere quali sono le priorità e passare all’azione.

Cos’altro servirebbe all’Italia?

Oltre che mettere in pratica quello che le ho appena detto, si dovrebbe anche abolire l’Imu sugli immobili strumentali, che è più salata che neanche quella sulla seconda casa. Oltretutto nessuno mi ha ancora spiegato perché bisogna pagarla, se nell’immobile c’è un macchinario che produce beni e ricchezza, contribuendo a far girare l’economia. Poi c’è l’Irap, che è una tassa odiosa, perché è una tassa sulle tasse: andrebbe eliminata. Dopo di che, forse, sarebbe il caso di varare le prime vere politiche industriali mirate.

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